10.2 Giardino abbandonato

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Giampiero arrotolò il sottile foglio di carta su cui aveva appena scritto "Innocente" e lo fece cadere in uno dei vasi di ceramica posizionati davanti a Clara Riutorci. Non si degnò neanche di guardare la donna negli occhi: sapeva che non vi avrebbe trovato altro che indifferenza.

Uscì dalla sala, sperando che Lavinia Lugupe non si fosse allontanata molto dopo aver lasciato il suo voto. La vide nel cortile interno presso cui affacciava il corridoio: un piccolo quadrato verde, con una fontana senza più zampilli al centro. Alcuni cespugli un tempo curati erano posizionati ai quattro angoli, mentre delle panche in ferro battuto ne seguivano il perimetro. Giampiero mosse i primi passi tra l'erbaccia incolta, constatando con dispiacere l'abbandono di quel vecchio palazzo. Avanzò verso la donna, abbandonatasi su una delle panchine, con lo sguardo ancora perso nel vuoto; come se allo stesso tempo comprendesse e non comprendesse cosa avveniva.

Il marchesino si inginocchiò davanti a lei, ben attento a non macchiare i pantaloni scuri con la terra. «Maestà» disse soltanto, sperando che lei si volgesse a guardarlo.

«Tirfusama» mormorò Lavinia. La voce era dolce, affettuosa, ma i suoi occhi completamente assenti. L'incarnato della regina sembrava ancora più pallido visto da vicino e Giampiero ne fu quasi spaventato.

«V-voi vi sentite bene?» le domandò con una piccola esitazione. Temeva la risposta della donna, ma non ne sapeva il motivo.

«Non mi sento più bene da settimane» sussurrò lei, in modo che solo il marchese decaduto potesse udirla. «Da quando gli Autunno hanno minacciato di attaccarci e non l'hanno più fatto. Ora hanno un esercito più forte e se solo decidessero di marciare contro di noi... non oso immaginare cosa accadrà. Se Nicola dovesse cadere, lo Dszaco sarebbe perduto. La mia sola speranza è mal riposta: lui verrà condannato.»

«No, Maestà, no» mormorò Giampiero, premuroso, cercando di confortarla. «C'è ancora una possibilità. Posso parlare con il figlio della Riutorci e provare a...»

«E a quale titolo? Anche se tutti sappiamo che siete qui per conto di Alcina Primavera, voi, caro marchese, non siete lei.»

La dolcezza del tono di voce lo colpì in pieno petto, come una freccia ben scagliata; e l'appellativo lo fece arrossire lievemente.

«Neanche lui ha un titolo, non sarà impossibile per me provare. Nicola è innocente, ne sono certo. Finché sarà possibile, tenterò ogni strada per salvare lui. E voi.»

La regina abbozzò un sorriso, che le illuminò il volto emaciato.

«Nessuno può salvarci, Tirfusama. Gli Autunno si stanno rafforzando e non esiste via per la salvezza... a meno che, per la Luna, non accada loro qualcosa di catastrofico.»

Il marchese non ribatté. Le parole della donna suonavano profetiche alle sue orecchie; come se lei fosse consapevole di un destino ineluttabile e non volesse neanche tentare di opporvisi.

«Giampiero!»

La voce di Roberto De Ghiacci lo richiamò all'improvviso, riscuotendolo dalla conversazione con Lavinia Lugupe. Il Tirfusama si congedò dalla regina, promettendo di tornare da lei, e camminò verso il porticato che circondava il cortile, dove l'altro lo accolse con una scrollata di spalle. Gli occhi azzurri del principe si soffermarono sulla Lugupe, che sedeva assorta in muta contemplazione di una natura abbandonata a sé stessa.

«Dovevi proprio perdere tempo con lei?» bisbigliò senza alcun riguardo all'orecchio del marchesino. «Abbiamo cose più importanti da fare!»

Giampiero scosse appena la testa. Roberto non poteva capire lo stato d'animo della donna: lui ancora aveva qualche speranza di poter salvare il suo regno dall'egemonia crescente degli Autunno; lei non ne aveva alcuna. E il marchesino aveva a cuore le sorti dello Dzsaco, molto più di quanto osasse ammettere persino a sé stesso.

Selenia - Trono rovesciatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora