Capitolo 7 - Gocce di memoria

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Tutto mi sembra perduto, non sono capace a convincermi che prima o poi le cose andranno meglio. Riesco solo a pensare a tutto il male che quell'uomo che tanto odio fa a me e mia madre, ma lei si ostina a tenerlo con noi, dicendo che ci protegge dalle persone cattive, non si rende conto che in realtà è lui il cattivo.
Mamma ora non è a casa, disolito torna verso sera barcollando, non so perché, ma preferisco non parlarle, l'ultima volta che l'ho fatto non è finita bene. Vorrei tanto che papà tornasse a casa insieme a Trevor, mi mancano come l'aria in questo momento.
Il pavimento ghiacciato mi da un minimo di sollievo, quando ci appoggio le manine sofferenti sopra. Ma in questi casi il dolore peggiore non è quello fisico, ma bensì quello morale e non riesco a capire cosa abbia fatto per meritarmi tutto questo.
Il mio piccolo cuore inizia a battere velocemente e il pensiero di tornare a vivere come un tempo mi sfiora la mente.
Mi aggrappo alla parete accanto a me e cerco di alzarmi, utilizzo tutta la forza che ho in corpo, fino a quando riesco a restare in piedi, anche se appoggiata al muro, Mrs Candy ora è a terra e dal suo orecchio esce del cotone. Non so con quale coraggio inizio a guardare negli occhi l'uomo che mi osserva dall'alto, il suo sguardo ignettato di sangue mi provoca soltanto rabbia.
-ti odio.. - dico piano, quasi spero non mi abbia sentito, non lo vedo reagire, ma la mia stupidità o inconsapevolezza mi fa ripetere le stesse parole per un'ultima volta.
-ti odio! - urlo disperata e una lacrima mi scende sulla guancia ancora rossa, i miei occhi azzurri, in quella casa avvolta dal male, urlano aiuto, attraverso le lacrime.

-ti odio- urlo alzandomi di scatto con il busto, il mio respiro è affannoso e cerco disperatamente qualcosa con la mano a cui tenermi stretta, poi sento qualcuno stringermela e vedo Trevor seduto affianco a me. Resto immobile mentre mantengo la mano nella sua, poi torno lentamente indietro con la testa, fino a quando entro in contatto con i vari cuscini del mio letto.
Lui resta in silenzio, nella stanza si sente soltanto il mio respiro profondo, che ancora non riesco a controllare, il battito irregolare del mio cuore e lo scorrere delle lacrime sul mio viso arrossato.
-cos'è successo.. - chiedo spostando lo sguardo verso di lui, le mie labbra tremano tra le varie parole che pronuncio e in questo momento vorrei solo scoppiare a piangere.
-sei svenuta.. - dice piano stringendomi la mano, i suoi occhi sono pieni di terrore.
-tremavi e piangevi.. ti ho portata in camera e sei rimasta senza sensi per svariati minuti- mormora, sembra spaventato, quasi più di me. Non dico nulla, anche se dovrei dirglielo che soffro spesso di attacchi di questo genere. Ma non ci riesco, pensavo fosse un capitolo chiuso della mia vita.
-in bagno.. per favore prendi la trousse verde- lo guardo negli occhi e prima di lasciarmi la mano fa un grande respiro. Subito dopo torna con ciò che gli ho chiesto e la apro, prendo una piccola confezione di medicinali e estraggo da essa una pastiglia.
-era da molto che non mi succedeva un attacco di panico, anni fa accadeva almeno due volte a settimana, ma sono migliorata con il tempo, ero arrivata ad averne una ogni sei mesi- ingoio la pasticca e chiudo gli occhi per lasciarla agire.
-e sai a cosa è dovuto? - mi chiede e cerco di nascondere il mio sguardo, so anche troppo bene la causa, ma preferisco non parlarne.
-ho consultato alcuni medici a San Francisco ma tutti hanno detto la stessa cosa, è solo stress- riapro gli occhi e sforzo un sorriso.
-perché non me l'hai detto? - mi guarda.
-perché pensavo che una volta trasferita qui si sarebbero placati oppure se ne sarebbero definitivamente andati- dico delusa e cerco di alzarmi mantenendomi al letto.
-dio Cessie.. mi hai spaventato a morte- mi si avvicina e mi porta le braccia intorno al corpo, mi stringe a se e posiziona il suo viso accanto il mio collo. Io ricambio quel delizioso abbraccio, le sue braccia attorno a me trasmettono casa e solo felicità.
-scusa se ho alzato la voce- mi sussurra quasi singhiozzando vicino l'orecchio e sorrido appena, apprezzo le sue scuse, mi fanno sentire meglio.
-ma ho bisogno di farti promettere una cosa- mormora e si stacca per guardarmi negli occhi, mi soffermo ad ascoltarlo.
-non devi più parlare con Aaron, daccordo?- dice serio e mi prende entrambe le mani.
-perché? cos'ha che non va? - gli chiedo non capendo, sono abbastanza grande da scegliere le persone con cui uscire.
-non è che abbia qualcosa di sbagliato, lo conosco da molto- sospira per poi tornare a parlare.
-tempo fa eravamo come fratelli, ma con il tempo lui è cambiato e il rapporto che avevamo prima è svanito insieme al vecchio Aaron- prende fiato e i suoi occhi si fanno più lucidi di prima.
-non è più la persona che anni fa conoscevo, a scuola cerco di ignorarlo, giochiamo nella stessa squadra di football e quindi la compagnia è la stessa, ma una volta fuori dalla scuola siamo come sconosciuti, non è come pensi davvero, non lasciarti manipolare da lui- resto a guardarlo, non voglio prometterglielo, ma se questo riuscirà a farlo stare meglio lo farò.
-okay.. lo prometto- abbasso lo sguardo e lui preso da una sensazione di solievo mi stringe nuovamente le mani, senza farmi male.
-ora chiamo Crawford, per avvisarlo che non veniamo alla festa, tu cerca di riposare ancora un po'- si stacca dalla mia presa e si alza.
-aspetta! voglio andare alla festa- dico ad alta voce e mi alzo in piedi, la pastiglia finalmente ha fatto effetto e mi sento meglio. Ho bisogno di distrarmi, se resto in camera sicuramente tornerò a pensare e a ricordare, l'ultima delle cose che devo fare.
-no Cassie, devi cercare di riprenderti- si avvicina, per farmi tornare a letto.
-ma sto bene, il medicinale mi ha aiutato, per favore Trevor, ho bisogno di divertirmi e non pensarci più- il mio sguardo pare sincero e lui mi regala un grande sorriso di comprensione. Non potrei sopportare l'idea di stare chiusa in casa, sola con i miei pensieri.

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