Quella notte

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Prendi un foglio. Bianco, senza righe, quadretti o margini, vuoto. Guardalo: è un semplice pezzo di carta di un colore insignificante che non ha nessun valore. Ci puoi fare quello che vuoi, scriverci una lettera d'amore o piegarlo in quattro per rimediare al traballare di un tavolo.

Lui però aveva scritto Iris, in nero. Questo era il suo nome. Lei era bella come un fiore, ma aveva un'oscurità dentro il petto, le ossa, che impediva a sé stessa e agli altri, di vedere la sua vera luce. Una luce viola, come il piccolo riflesso di dolcezza nei suoi occhi grigi.

Era semplicemente nera. Non inteso fuori, ma all'interno. Un grande ammasso di tutte le sfumature di colori che convergevano disordinatamente nella spessa superficie dell'armatura di Iris. Quella dietro il quale si ostinava a nascondersi e a celare tutti i suoi sentimenti. Infatti era quello che pensavano tutti: che fosse senza cuore, completamente vuota. Ma lei non era come il foglio bianco: lei emanava un'aura viola che era repressa per via di un segreto, una cosa che solo lei sapeva. Non l'aveva mai detto a nessuno, però infondo era una ragazza che si teneva tutto dentro e preferiva piangere da sola, che sfogarsi con un amico.

Forse perché di amici non ne aveva. Era sola. Come quel povero iris nero che cresceva nel suo giardino. Era una rarità, lasciata in balìa del tempo atmosferico. Glielo aveva regalato suo padre quando era nata, ma spesso le veniva voglia di strapparlo dal terreno e ridurlo in piccole striscioline con un paio di forbici.

Quanto le mancava suo padre, il suo amato papi, come lo chiamava lei. Ricordava sempre quel giorno, quel frammento di passato si ripeteva nella sua mente senza sosta. Quel giorno in cui l'aveva lasciata da sola, per sempre. È tutta colpa di Serena! si ripeteva perché ne era convinta. Serena era sua madre, ma per Iris, non meritava quel nome. Quello che aveva fatto era troppo grande per essere perdonato. E anche se in tribunale si era dichiarata innocente, Iris sapeva che quel colpo non era partito per caso. E quella pistola non si trovava per caso nella sua mano.

La piccola bambina di dieci anni aveva visto tutto, nascosta sulla rampa delle scale che portavano al piano di sopra.
Aveva sentito mamma e papà litigare, come sempre in quel periodo, quindi era uscita piano piano dalla sua stanza per vedere cosa succedeva.
Lei l'aveva vista sparare e non appena il corpo di suo padre era caduto a terra, esanime e freddo, aveva dovuto coprirsi la bocca per non urlare, altrimenti Serena si sarebbe accorta di lei e magari l'avrebbe uccisa.
Poi aveva visto sua madre inginocchiarsi vicino al corpo del marito, facendo cadere l'arma lontano da lei. Aveva sentito i suoi singhiozzi, che erano simili ai suoi, ma interrotti soltanto da qualche urlo di disperazione. Che cosa ho fatto?! gridava mentre il sangue le macchiava le mani e i vestiti candidi.

Iris non riusciva più a guardare, ad un tratto le veniva difficile anche respirare. Tornò nella sua stanza di soppiatto e non appena fu con la faccia sul cuscino, iniziò a piangere così tanto, che temette di finire le lacrime.

Dopo qualche ora sentì delle sirene e delle persone che entravano in casa.
È entrato un uomo! Gli ha sparato! aveva detto sua madre alla polizia, ma Iris sapeva che non era vero. Lei aveva visto tutto, ma non aveva potuto dire niente. Perché la verità era che aveva paura. Paura di Serena. Che avrebbe potuto fare del male, una volta che la polizia se ne fosse andata. Così stette in silenzio e attese, finché in casa non fu tutto tranquillo.

Abbracciava l'orsacchiotto viola che aveva sempre creduto essere un cane e tenne gli occhi chiusi, per paura che se li avesse aperti, avrebbe rivisto il corpo del suo papà pieno di sangue, tutto pallido e con gli occhi sgranati.

Ad un certo punto la porta della sua stanza si aprì e qualcuno entrò e si mise nel suo letto, stretto a lei. Dal profumo di acqua alle rose, riconobbe sua madre. Perché era venuta da lei? Non la voleva. Desiderava solo continuare a piangere nella sua solitudine. Eppure era congelata tra le braccia di Serena, facendo finta di dormire.

Anche la mamma piangeva e non riusciva a capire perché. Era tutta colpa sua se ora suo marito era morto. E poi, dove aveva trovato quella pistola? Neanche se lo ricordava. Si era sentita come impossessata da una cattiveria innaturale che avevano solo i serial killer. Quindi questo faceva di lei un'assassina. Lo aveva ucciso lei, lo sapeva, ma aveva mentito.

L'unica cosa che la rassicurava era che la sua bambina, innocente e indifesa, non aveva visto né sentito niente. Pensava già di dirle la stessa bugia che aveva venduto ai poliziotti, ma avrebbe raccontato che suo papà era salito in cielo troppo presto per la sua età, senza usare la parola morte, e lei avrebbe capito perché era una bimba intelligente.

Non c'era nulla da temere: il giorno seguente sarebbe andata in centrale e avrebbe raccontato la stessa falsa versione, pur non essendoci testimoni e avrebbe detto di sì, al riconoscimento di quell'uomo che avevano fermato poco fuori dalla città e sarebbe andato in galera al posto suo. Caso chiuso. Un innocente avrebbe scontato gli anni di carcere e lei sarebbe stata salva, trattenendo il senso di colpa che le riempiva il petto.

Ed era questo in sostanza che si teneva dentro Iris. Quello che aveva visto quella notte. Quella notte in cui aveva visto sua madre, l'essere che l'aveva messa al mondo, uccidere suo padre, l'uomo che amava di più al mondo. Ma lei non lo voleva dire a nessuno. Neanche a Serena. Avrebbe atteso il momento perfetto per la sua vendetta, perché la verità era che odiava sua madre. Da quella notte non aveva mai smesso di farlo.

Buona domenica miei carissimi lettori! Questo è la nuovissima e freschissima di scrittura, storia che vi propongo: commentate le vostre opinioni e votate!
Vi voglio bene,
Alice❤

Il segreto di IRIS (COMPLETATA)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora