Sette anni e mezzo dopo

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Anche quel giorno Iris aveva marinato la scuola e si era appostata sul molo a guardare il mare grigio, con il vento che le scompigliava i capelli, come faceva quando non aveva voglia di seguire le lezioni. Ma quel giorno sentiva una strana sensazione, come di essere osservata da qualcuno. Degli occhi puntati sulle sue spalle.

Spense la sigaretta schiacciandola per terra poi prese il suo zaino e fece per andare via. Quando si girò vide un ragazzo, un suo compagno di classe che la guardava incerto su cosa fare. Non ci diede tanto peso e continuò per la sua strada: ora che aveva scoperto il suo rifugio doveva trovarsene un altro.

Lui però si avvicinò sempre di più finché non furono a tre metri di distanza. Lei sbuffò e alzò gli occhi al cielo. Cosa vuole da me ora?  pensò leggermente spazientita.
«Iris.» disse finalmente Federico tentando di sostenere il suo sguardo. In quel momento fu preso dal panico perché non sapeva nemmeno lui cosa dirle. Però almeno si sentiva fiero di sé stesso per averle rivolto la parola.
«Che c'è?» chiese lei, scortese come sempre. Ormai le buone maniere le aveva dimenticate. «Allora?» insistette vedendo che lui non fiatava.
«No, niente.» disse infine, ricacciando indietro la curiosità su di lei. Erano anni che la studiava e non riusciva proprio a spiegarsi perché fosse così fredda e distaccata con tutti, non avesse amici e trattasse male chiunque.
«Bah!» sbuffò lei e se ne andò, lasciando Federico lì impalato. Aveva sprecato un'occasione di poterle finalmente parlare, ma era contento lo stesso che lei fosse stata disposta a sentirgli dire solo "no, niente".  In realtà lui la temeva un po'. Ogni volta che incrociava il suo sguardo per sbaglio sentiva un brivido lungo la schiena e il cuore che batteva fortissimo. E in effetti era la tipica reazione che avevano tutti i compagni di classe di Iris: avevano paura di lei, ma era proprio quello che voleva. Voleva farsi odiare da tutti, in modo da non avere nessuno a cui confidare il suo segreto, perché una volta che avesse deciso il momento della vendetta, se la sarebbe gustata da sola, perché solo lei lo meritava.

Federico si mise a camminare senza una meta precisa, mentre sperava che nessuno lo vedesse quando doveva essere a scuola. I suoi genitori lavoravano tutto il giorno come al solito, quindi poteva anche tornarsene a casa. Ma quello che lo stupì fu che i suoi piedi lo stavano conducendo sulla stessa strada di Iris. Perché la stava seguendo? Cosa sperava di ottenere? Non lo sapeva nemmeno lui, ma si fermò solo quando lo fece anche lei.

La vide mentre buttava lo zaino a terra e iniziava ad arrampicarsi su un albero con un ramo più grosso, sul quale si sedette. Iniziò a giocherellare con la corteccia, incidendola con un piccolo coltellino svizzero, mentre i capelli ricci e neri le cadevano sul volto.

I suoi boccoli erano come quelli di sua madre, mentre i suoi occhi erano quelli di Antonio, suo padre. I lineamenti dolci del viso e della pelle diafana contrastavano con le calze a rete, gli anfibi e la mini gonna neri che indossava. Aveva una maglia stretta che lasciava scoperta la pancia, e sopra una felpa rosa fluorescente che stonava con tutto il resto. Sul naso aveva un brillantino, sul sopracciglio destro un anellino d'argento e il trucco pesante completava il tutto.

Federico la trovava bellissima, ma non l'aveva mai detto ad alta voce. Si nascose dietro un cespuglio per continuare a guardarla, ma per sbaglio calpestò un rametto che si spezzò. Iris si girò di scatto e lo colse mentre tentava di non farsi vedere, ma lei sapeva che era lui.
«Che fai mi spii ora?» chiese lei puntandolo con quello strano riflesso viola negli occhi.
«No... cioè... non volevo, scusami.» balbettò lui indietreggiando leggermente.
«Cosa vuoi da me?» chiese dopo qualche minuto di silenzio, in cui solo Federico si sentì imbarazzato.
«Perché sei così? Così scontrosa con tutti?» sputò come saliva la domanda che voleva farle da quattro anni e mezzo ormai.
«Perché sono così e basta. E poi non sono affari tuoi.» disse lei, glaciale, quasi più dello stesso ghiaccio che aveva intorno al cuore.
«Non puoi essere così e basta. Ci deve essere pure un motivo.» insistette lui, oltrepassando il limite della sopportazione della ragazza. Lei allora si alzò in piedi sul tronco che resse il suo peso minimo e scese in modo elegantemente inquietante atterrando su due piedi, mentre il cuore del ragazzo fece una capriola. Iris puntò i suoi occhi grigi su di lui, poi si diresse verso il ragazzo prendendolo per il colletto del maglioncino.
«Ti devi fare i cavoli tuoi, hai capito?» ringhiò con il viso a due centimetri da quello impaurito di Federico.
«O-okay.» sussurrò lui poi lei lo lasciò andare, dopo essersi assicurata che dicesse la verità. Lui indietreggio immediatamente e iniziò a camminare veloce, con lo sguardo della belva che lo trapassava come una spada.

Stava sudando: lei lo aveva preso per il colletto e in quel momento erano stati talmente vicini che aveva addirittura sentito il suo profumo. Era dolce e sapeva stranamente di fragola. Ma nonostante tutto restava il fatto che in quel momento era ancora più intimorito da lei, dal suo carattere così forte e da quel tono gelido che aveva usato.

Chiuse la porta della sua casa ancora vuota dietro di sé e ci si appoggiò, per poi farsi scivolare a sedere per terra.
Improvvisamente gli prese una stretta allo stomaco che lo fece sussultare.

Aveva chiaro tutto: era disperatamente innamorato di lei e sapeva bene che a questo suo amore impossibile non c'era rimedio. Guardò in basso e si accorse di un pezzo di carta piegato in quattro o sei volte incastrato tra due travi del pavimento. Ci si avvicinò e lo sfilò un po' a fatica da lì, lo aprì e per poco non gli venne un colpo.

Quello che ho fatto è imperdonabile, ma spero che tu possa farlo, chiunque tu sia che stai leggendo questa lettera. Dì a Iris che le voglio bene e che mi manca tanto. Speravo di riuscire a farlo prima che succedesse tutto quel casino, ma mi è mancato il tempo.

  Antonio Maccadino

Antonio Maccadino... Iris Maccadino! Suo padre!  capì subito dopo. Si chiese come era possibile che quella lettera fosse rimasta così tanto tempo in casa sua e non l'avesse mai notata nessuno. Questo significava dunque che la casa dove abitava era stata quella di... Iris.

Rimaneva soltanto da scoprire il resto del mistero su di lei. Ma come avrebbe fatto senza la sua collaborazione?
Buttò la testa indietro e pensò a un modo per indagare su quell'enigma che aveva ancora tra le mani. Poi si alzò e corse in camera sua al piano di sopra e accese il computer, ignorando quel piccolo pensiero che se ne stava in un angolo della sua testa, sul fatto che quella in cui si trovava non era affatto la sua camera: era quella di Iris.

Il segreto di IRIS (COMPLETATA)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora