Ira funesta

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«IRIS, NO!!» urlarono tutti all'unisono.
«NO!!» gridò ancora Serena appena vide sua figlia volare di sotto. Tese la mano in basso tentando disperatamente di toccarla, ma non ci riuscì, ovviamente.
«L'hai uccisa! Come hai potuto?! Brutta...» urlò Michele, scagliandosi verso di lei, preso dalla rabbia. Lacrime calde di dolore gli scendevano sulle guance e l'ira che si spargeva nel suo petto. Venne però bloccato da Christian.

In tutto ciò la polizia era arrivata e Federico aveva appena assistito attonito a quello che si era svolto tanto velocemente davanti a lui. Era sceso un attimo per dare le direttive alla squadra di poliziotti e quando era salito aveva sentito Iris urlare contro sua madre e poi l'aveva vista cadere. Non riusciva a muoversi, intorno a lui tutti agivano, alcuni urlavano, quelli in divisa andarono ad arrestare Serena che fu portata di forza via dalla balaustra, dopo aver minacciato di buttarsi più volte, poi non la sentì più urlare, simbolo che non era più con loro.

All'improvviso sentì due braccia stringersi al suo collo e un urlo di disperazione propagarsi nella sua testa.
Era Michele, aveva riconosciuto solo la sua voce, perché, anche se aveva li occhi aperti, non riusciva a vedere nulla. Due palle di vetro sgranato aveva al posto degli occhi.

«I-iris non c'è più! Quella puttana l'ha uccisa! Io l'amavo cazzo! Me l'ha portata via!» gridò ancora il biondo ragazzo, affranto e distrutto.
«Anche io. Da molto più tempo di te.» disse Federico, sussurrando quelle parole come se se ne vergognasse. Una lacrima solitaria scese lungo la sua guancia. Era congelato, ma il suo cuore stava bruciando.

***

Erano tutti già stati interrogati più volte, rilasciato dichiarazioni contro Serena ed era stato deciso che la mattina seguente ci sarebbe stato il processo per condannare quella donna meschina e calcolatrice, per omicidio, sette anni prima, corruzione di Gennaro Zena per incarcerazione forzata e infine causa della morte della figlia, Iris. Nessuno però aveva avuto il coraggio di andare a vedere il corpo senza vita della ragazza, martoriato dalle ferite, con quasi tutte le ossa rotte e gli occhi spalancati dalla paura.

I risultati dell'autopsia avevano riscontrato problemi cardiaci, cause forse dell'infarto precedente e dell'occasionale affanno che aveva quando faceva le scale. Il tessuto cardiaco aveva sofferto e le aveva causato delle vere e proprie cicatrici sul cuore. L'impatto con la macchina aveva provocato inoltre lo scoppio di un arteria, dando luogo ad un'emorragia interna che l'aveva uccisa in pochi minuti. Sarebbe anche potuta sopravvivere, ma a causa di quelle complicazioni era morta prima che si potesse fare qualcosa. Non era stato pervenuto invece il registratore che i testimoni avevano affermato avesse nella tasca della felpa. Venne archiviato come oggetto non ritrovato e quindi di indubbia presenza effettiva negli indumenti della vittima.

Quello rimasto più sconvolto fu Federico però. Anche dopo ore dalla morte della ragazza, era rimasto come impietrito. Non parlava con nessuno, non reagiva, non rispondeva. Perché era morto anche lui, insieme a lei. Dentro il petto del ragazzo non c'era più nulla. Solo un costante vuoto silenzioso. Assomigliava ad una statua di marmo, con un pezzo di acciaio nel sopracciglio, che sembrava una vera pacchianata, su quel volto scolpito di dolore.

Michele invece era andato via appena aveva finito la testimonianza, perché non sopportava quell'ambiente e quella situazione. Si era infilato in uno sporco bar alle due del mattino e aveva richiesto un bicchiere di scotch. Era forte e sapeva che avrebbe colpito subito alla testa se lo avesse bevuto velocemente. Così fece finché non fu ubriaco e con la rabbia che arrivava oltre a ogni limite. Aveva chiamato suo padre e gli aveva urlato contro ancora più forte della volta prima e Davide lo aveva minacciato di mandarlo di nuovo nel centro degli alcolisti anonimi se non avesse smesso di bere. Ma lui non poteva capire il dolore che stava provando Michele in quel momento. E non lo avrebbe capito mai.

Christian era devastato. Non riusciva ancora a credere a tutto quello che era successo in una sola sera. L'ira funesta che provava verso quella donna spietata, che aveva amato, non era nemmeno paragonabile al pezzo di cuore di cui era stato privato: Iris per lui era una figlia, una che non aveva mai avuto. E che mai avrebbe avuto più. Le voleva bene e aveva avuto il sentimento ricambiato quando lei lo aveva chiamato papà, quella volta in ospedale. Aveva temuto di perderla, ma Lassù il Signore era stato clemente e gliel'aveva lasciata ancora per un po'. Però non avrebbe mai immaginato che l'avrebbe persa così, senza poterle dire addio. Se fosse stato pronto a prenderla, probabilmente sarebbe ancora lì con loro. Però non poteva farsene una colpa, non lo aveva previsto e il futuro era difficile da predire.

Un altro padre che era stato privato della propria figlia biologica e tenuto allo scuro della sua effettiva paternità, era Gennaro. Come gli altri non riusciva a capacitarsi di quello che era accaduto. Gli sembrava impossibile di aver appena ritrovato sua figlia, averla sentita pronunciare la parola papà, e poi averla vista volare giù dal dodicesimo piano, per mano della donna di cui era stato innamorato. Sperava che le dessero l'ergastolo, in modo che potesse capire veramente cosa volesse dire stare in carcere. Non aveva la più pallida idea di quanto fosse dura, soprattutto per uno come lui, un innocente.

A questi quattro individui che condividevano un amore infinito per Iris, non restava altro che vegliare sulla sua salma e pregare che la sua anima avesse un buon futuro in paradiso, insieme ad Antonio.

Il segreto di IRIS (COMPLETATA)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora