Inchiostro indelebile

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Michele stava per toccare il tasto per inviare il messaggio, quando si bloccò di colpo. Stava di nuovo cercando di contattare Iris, ma ogni volta che l'aveva scritto e stava per spedirlo, si fermava e ci ripensava. Non doveva fare niente lui. Era lei a doversi scusare. Sì... ma di cosa? Per avergli mostrato il suo vero lato oscuro, sotto quel bel viso da angelo? Non era colpa sua, perché lei aveva ragione. Lui non la conosceva abbastanza e non poteva pretendere di sapere come fosse fatta in realtà dopo un giorno.
Forse doveva mandarle quel messaggio. Sì, voleva rimediare con lei e accettarla in qualsiasi modo lei fosse in verità.
Così scrisse il messaggio da capo per la millesima volta e lo inviò.

"Ciao, Iris. So che probabilmente non vorrai né vedermi né parlarmi più, ma sappi che mi dispiace. Per tutto, per averti baciata d'impulso, senza nemmeno conoscerti prima. Per quella scenata e perché avrei dovuto seguirti ieri e risolvere le cose subito, invece di scriverti uno stupido messaggio. Però ho bisogno di dirtelo ora, e te lo ripeterò, se me lo permetterai.
Spero tu voglia farlo, rispondi presto.

Michele"

Così aveva scritto e poi aveva appoggiato il telefono vicino a lui, nell'attesa che lei avesse risposto. Se mai lo avesse fatto. Lui lo sperava veramente, ma le probabilità erano bassissime.
Però era inutile stare lì a pensarci sopra, così prese la borsa, ci buttò dentro i vestiti da allenamento e andò al campo per fare due tiri e distrarsi dalla ragazza che aveva invaso i suoi pensieri.

Quella ragazza però in quel momento stava compiendo una cosa di cui non si sarebbe potuta pentire: stava stringendo i pugni e i denti per sopportare l'ago che penetrava nella sua pelle e lasciava i contorni neri d'inchiostro di una farfalla stilizzata. Le piccole antenne spuntavano all'inizio del taglio, mentre le ali aperte ne percorrevano la lunghezza, facendolo sembrare un tatuaggio vero e proprio, non una specie di toppa messa su un vecchio paio di jeans per coprire un buco.
Alla fine non era servito il consenso dei genitori e l'omone che le stava tatuando il polso era molto simpatico e per lei fece uno strappo alla regola, dato che era una bellissima signorina, come l'aveva definita lui.
Il risultato fu stupendo: aveva una bellissima farfalla ad ali spiegate pronta a volare con lei, verso una risoluzione migliore delle cose.
O almeno, così sperava.
«Grazie mille! È stupenda! Quanto ti devo?» esclamò lei contenta. L'uomo sorrise dolcemente vedendo quella povera ragazza confusa e che soffriva come un cane sotto quella maschera di felicità.
«Niente, piccola. Vai e vivi la tua vita meglio che puoi.» le disse lui guardando i suoi bellissimi occhi grigi. Lei, colta da una contentezza di cui non sapeva l'esistenza dentro di lei, lo abbracciò goffamente per la grossa stazza dell'uomo.
Poi gli sorrise e uscì dallo studio per tornare a casa.
Mentre camminava, senza riuscire a smettere di guardare la farfalla, ripensò a quello che avrebbe dovuto fare il giorno prima, ma che non era riuscita a fare perché Federico era tornato a casa. Doveva assolutamente escogitare un piano per recuperare la pistola.

Sebbene stesse riflettendo su come entrare in quella stanza e prendere l'arma senza farsi scoprire da quel ficcanaso, le parve ad un tratto che non avesse alcun senso prenderla. Perché avrebbe dovuto tenere tra le mani, o peggio, nascosta in camera sua quella cosa orribile che aveva ucciso suo padre?
Cosa le era passato per la mente il giorno prima? Non riusciva a collegare le sue azioni ai pensieri. Ecco, ad un tratto, che tutto era chiaro: era talmente arrabbiata con se stessa, con la madre e con la vita che voleva provare il brivido di uccidere. Ma chi? Serena! le suggeriva il subconscio, ma non ci credeva nemmeno un po'. Non poteva aver voluto uccidere sua madre. Nemmeno per quello che aveva fatto ad Antonio. Lei si sarebbe vendicata, ma con l'astuzia e senza usare la violenza.
Ed era per quello che le serviva la pistola: per incastrare Serena. Tutto ora aveva più senso.

Era davanti al portone di casa, che ricevette un messaggio sul telefono. Anzi ce n'erano due: uno di sua mamma che le diceva che per quella sera sarebbero stati solo lei e Christian, poiché aveva una cena di lavoro e che al cibo avrebbe pensato Felicia, la domestica. Le rispose con un misero okay con la o minuscola, perché non usava mai le maiuscole all'inizio di un messaggio e passò a quello successivo.

Numero sconosciuto, diceva. Lo aprì ugualmente e capì subito di chi si trattava. Era Michele. Voleva parlarle per scusarsi. Ma lei non sapeva se voleva incontrarlo di nuovo. Certo, a scuola lo aveva visto comunque perché era inevitabile, ma lo aveva ignorato. In realtà avrebbe voluto chiedergli se aveva visto la foto, se gli desse fastidio, se fosse arrabbiato con lei, se potesse perdonarla per quello che aveva visto e quello che gli aveva detto e se poteva avere un altro bacio da lui. No, questo non gliel'avrebbe chiesto, sarebbe venuto da sé. O almeno così immaginava.
Insomma, riassumendo, lo voleva vedere e parlare con lui. Così rispose al messaggio:

"okay. appena puoi suona da me e parliamo"

Appena inviò, sentì uno strano calore allo stomaco e capì che era quella l'emozione che lui le faceva provare. Bastava qualche parola e lei non ci capiva più niente.
Mentre era in ascensore, pensò al bacio che le aveva dato, alla musica che li accompagnava e a quanto si fosse sentita bene in quel momento. Erano quelle le farfalle nella pancia del primo bacio.

Una volta in camera sua si ripassò il trucco e mise dei jeans attillati e neri al posto della tuta che indossava. Poi si mise a controllare ossessivamente il telefono. Non aveva ancora risposto. Era strano, ma si disse che magari era ad allenamento e non poteva guardare il cellulare.

E invece lui era davanti alla sua porta e stava per suonare. Voleva farle una sorpresa. Prese un respiro e premette il dito sul campanello. Dopo qualche rumore di passi, si trovò davanti Iris, ancora più bella del solito. Si trattenne con fatica dal baciarla e lei non fu da meno.
«Ciao» sussurrò soltanto il ragazzo, un po' in imbarazzo.
«Entra» rispose lei aggiungendo un piccolo sorriso. Lo condusse dentro casa, ma ricordandosi che a breve sarebbe arrivato Christian, lo invitò sull'attico, per stare da soli e non essere disturbati.

Il cielo stava per scurirsi, ma per quella sera si prevedevano stelle e luna piena, quindi magari le cose si sarebbero risolte, perché era così che volevano entrambi che andasse. Tutto apposto, per una volta.

Il segreto di IRIS (COMPLETATA)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora