•Prossimamente, conosciamo jack•

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Dicono che il bello della vita, è che non sai mai cosa ti aspetta

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Dicono che il bello della vita, è che non sai mai cosa ti aspetta. Cosa riserva. È inaspettata.
Già...il bello. Perché è doloroso. Negativo. Buio. Sofferente. Tetro. Spento. Dire che è brutto.
Inaspettato come l'attimo prima ridi, quello dopo piangi.
Ed era quello che mi aspettava. Che mi riservava, l'attimo dopo.

Ci sono dolori che non si possono cancellare, ma quantomeno accatastare in un angolo remoto, sperando che non riaffiorino più.
Poi c'è quel tipo di dolore che ti strazia. Ti dilania. Ti spacca in due e ti apre, e come una mela rossa invitante credi che sia perfetta ma in realtà dentro è marcia.
È così che si sente Jackson. Marcio. Un involucro di se stesso, perfetto fuori e difettato dentro.
Aveva pregato un Dio a cui credeva, di prendere lui al posto di suo fratello, quel giorno di tre anni fa in Wisconsin. Una festa per il suo ventunesimo compleanno, un concerto sensazionale. La risata sguaiata e cristallina di Kyle, la sua argentina e briosa. La sua prima birra. Ed era tutto perfetto. Anche la musica che diffondeva lo stereo, proveniente da una vecchia cassetta nel pick-up rosso di Kyle.
Ed è proprio quando credi che sia il miglior giorno della tua miserabile vita, che il destino ti fotte. Infame e spietato.
Tutto si spegne. Tutto tace, ma dentro grida e non ti dà pace. È un tormento continuo, che gira come una spirale. Un vortice che risucchia e vorresti morire su quel fondale spoglio, senza mai riemergere.
Ma la vita stronza vuole lasciarti in vita, per farti soffrire e piegarti. Perché la morte sarebbe stata meno dolorosa, e troppo silenziosa.
E quella promessa di non divenire come Kyle un lottatore di Boxe...Jackson non potrà mai mantenerla.
Perché combatterà per giustiziare Adam.
Combatterà per salvare la sua dannazione che porta il nome del cielo sereno, cristallino come quegli occhi dove non avrebbe mai voluto immergersi, in cui è accidentalmente annegato.
C'è chi combatte per vincere.
C'è chi combatte per vivere.
E poi ci sono io. Death Silent. Che combatto per giustizia.

***********

Invisibile. Questa parola mi è sempre rimasta affascinante. Curiosa.
Come puoi essere invisibile? Almeno che tu non sia uno dei Fantastici 4, beh, cazzo, non puoi esserlo.
Eppure io lo sono. Cammino per il campus. L'erba umida che sembra finta, da quanto è perfetta e lucida sotto questo sole che picchia. Ringrazio il dolce refolo di vento, che mi smuove i riccioli neri.
I ragazzi si radunano in gruppi. Parlano di stronzate. Di come accaparrarsi l'ultima preda appena giunta. In che posizione fottere le ragazze che accalappieranno, come se fossero delle cagne e loro gli accalappia cani, per sbatterle in un recinto, che sarà il loro letto.
Le ragazze civettano tra loro.
La band degli sfigasassofoni (gli sfigati Nerd che suonano sassofoni e trombe, ma non trombano) creano un sottofondo che mi strazia i timpani. Ma ho le mie cuffie, e chi cavolo lì sente?
Le mani affondate nelle tasche del jeans sdrucito.
Tiro in avanti le spalle per aggiustarmi la giacca di pelle, e lo zaino nero.
Profilo basso. Testa china. Il mondo fuori falso, spento.
Il mondo dentro vero, acceso.

E sto per pigiare quel dannato pulsante che indica fiero -Play-, se una voce stridula non m'interrompesse, seguito dal passo frettoloso delle sue sneakers.

<<Sei sordo? Sei autistico?>> Mi domanda curioso e con quella voce petulante, pel di carota di cui non conosco il nome e neanche me ne frega di saperlo. Mi volto lentamente dalla sua parte, con aria scazzata e indifferente, guardandolo da oltre le lenti a specchio dei miei Ray-ban. Io, invece, mi domando che cazzo di domanda sia la sua. Se l'ha pensata e ragionata prima di cagarla fuori dalla bocca piegata in una linea sbilenca, o se il suo cervello non colleghi bene il filtro, e faccia fuoriuscire parole come merda liquida.

E certe volte vorrei. Oh sì, cazzo se vorrei essere autistico. Perché sarei compreso di più in questa società. Sarei lasciato perdere. Attirerei meno sguardi. Meno interesse. Avrei un valido motivo per non punirmi.
Ma è per questo che io non sono morto nell'incidente avvenuto con mio fratello. La vita mi sta punendo per aver distratto Kyle alla guida con la mia litania stupida e straziante: "Kyle fammi guidare, ti prego, ti prego, dai, è il mio compleanno."
Il mio fottuto compleanno.

Sei una testa di cazzo marcia. Mi voglio ferire a parole, Perché quelle fanno più male di qualsiasi dolore esterno.
Mi voglio flagellare ancora di più dentro, fino a non capire più chi io sia, benché neanche adesso io lo sappia.

Sono passati tre anni, ma a me sembra ieri che lui era lì accanto a me, a scompigliarmi i capelli e chiamarmi -pivello-
Sembra ieri che io, mia madre, e mia sorella Violet, ci siamo trasferiti dal Wisconsin nel New Jersey.
Sembra ieri, e vorrei poter riavvolgere il nastro per impedire quella luce abbagliante, accecante, e quel tonfo assordante che fa sbalzare la macchina come un missile, facendolo girare come una capriola eseguita perfettamente su se stessa, rimanendo capovolta all'ingiù come quelle giostre al luna-park.

<<Ehi, parlo con te...sei Jason Thomson, io sono Adam Spencer, frequentiamo lo stesso corso di biologia>> Persiste nel suo sproloquio, come se davvero lo stessi ascoltando. Ma ormai non sento più niente. Neanche il suo nome. Perché mi sono fermato al mio...Jason.
Così mi chiamava Kyle, per diminuire Jackson.
Serro le palpebre, coperte dalle lenti nere, per non mostrare le mie occhiaie violacee e le iridi verdi spente e arrossate, segno di notti insonni e abuso di pasticche per gli attacchi d'ansia.
Stringo la mano a pugno, tanto da sentire le vene schizzare sotto pelle e i muscoli tendersi come corde di un violino, pronte a essere suonate, pronto a suonarle.
La pazienza che si sta dissolvendo. La furia che scalpita e scalcia. Il dolore che riaffiora. L'autocontrollo che va a puttane, come me che le fotto ogni sera una diversa.

Mi giro fulmineo verso pel di carota. Un sorriso incurvato all'insù si affaccia su quelle labbra sottili contornate da piccole efelidi, come dei baffi.
Ma non ha capito le mie intenzioni, e infatti quando allungo una mano verso di lui, lo vedo abbassare sempre di più l'angolo del labbro e le pupille ingigantirsi vistosamente. Ma prima che si possa scansare o arretrare come un granchio, l'ho già afferrato dal colletto della polo che spunta dalla giacca cognac del giubbotto in pelle stile aviatore, e lo avvicino con prepotenza al mio volto sfigurato dall'ira che ha scatenato solo il sentire il mio nomignolo.
E non vedo le persone del campus attorno a noi. Forse ci accerchiano, come se stessero assistendo ad un esibizione da circo.
Forse si fanno i fatti loro. Forse vicino, forse lontano.
E sono i forse che fottono, e riempiono il mio cervello, di altre parolacce che insozzano.

Sento il suo respiro farsi affannato e pesante, e di scatto ritira appena il volto all'indietro come una tartaruga che si vuole richiudere nel suo fedele guscio.
Ma non mi lascio impietosire.
Un sorriso ora si apre sul mio volto. Un sorriso malevolo e derisorio. Dispregiativo come il tono tagliente che mi esce fuori, quasi incavato e roco da quanto poco parlo.
<<Non osare chiamarmi in quel modo. Sono Jackson. Per te invece sono, nessuno. Questo è il mio nome. E ascolta bene la mia voce, perché non sono autistico, sono semplicemente uno Stronzo che non si confonde con gli sfigati>>  Mollo velocemente e di colpo la presa dal suo colletto, che avevo serrato fortemente nel pugno saldo della mia mano, e lo noto barcollare leggermente su se stesso.
A questo punto dovrebbe sentirsi intimorito. Farsela sotto come lo sfigato che è. Invece che cazzo fa questo coglione pel di carota?
Mi sorride. Cristo Santo, il coglione mi sorride.

<<Tu sei grande...amico>> Ecco come sono diventato esattamente quell'appellativo per Adam.
Ed ecco come mi ricordo la mia totale indifferenza, lo scrollare le spalle avvolte in una giacca di pelle nera. Il mio indice che tirava su la stecca centrale degli occhiali scuri.
E l'arrivo di una Dea dannata, che chiamava a gran voce pel di carota, che dopo tre anni è divenuto il mio miglior amico. L'unico che sa, e tiene tutto per se. Come se la mia confessione fosse stata un dono prezioso, perché Kyle per me lo era. Era la mia parte mancante e senza di lui non sarò più completo.
Questo lo credevo prima di conoscere la Dea dannata dai capelli rossi come il fuoco che brucia e attrae, come se dopo una vita passata sotto una tormenta di neve, tu esiga il calore che emana quel fuoco scoppiettante e ammaliante.
E dagli occhi azzurri come il cielo cristallino, che dopo tanta pioggia rivela un sole accecante.
Sky.

•Death Silent•      1 Vol. Serie &quot;Fight without rules&quot; Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora