Matt. Qualche ora prima.
Sono in camera mia, sdraiato a pancia in su sul mio letto e fisso il soffitto chiazzato delle ombre prodotte dalla luce del sole che tramonta. Qui dentro non c'è praticamente più nulla di mio, a parte i ricordi dei quali sono intrise le pareti, ormai spogliate dei poster e delle foto.
Sulle mensole vuote si è già accomodato un sottile strato di polvere e, ad un lato della stanza, uno scatolone pieno dei libri di scuola mi fa sentire ancora nel mio posto, quello in cui sono nato e vissuto per diciassette anni.
Sulla poltrona ai piedi del letto, invece, fa capolino la mia valigia aperta dalla quale fuoriescono i vestiti non ancora sistemati e che metterò nei giorni avvenire prima della partenza.
Improvvisamente mi metto seduto ed il mio sguardo ricade sull'asse di legno sotto la libreria. Dovrò trovare un nuovo posto per la mia seconda vita, spero di essere fortunato nella mia nuova dimora.
Il mio contatto è stato prontamente avvisato dell' imminente trasferimento e pare abbia già organizzato ogni cosa affinché io possa continuare anche da Seattle.
Vorrei solo che lei fosse al sicuro, finalmente, lontana da quell'animale nauseabondo. Un moto di bile mi risale su per la gola ma subito lo ricaccio indietro così come i pensieri pesanti che mi tengono sveglio la notte.
Ora però devo pensare alla mia dolce Amelia. Colei che ha stanato il Matt che credevo ormai scomparso dalla faccia della terra. Lei ha liberato il mio cuore dalla sua gabbia ed ora vive nella mia mente come un impulso vitale che mi permette di mettere i piedi a terra la mattina.
Un brivido, scaturito dal ricordo di ciò che è accaduto nel pomeriggio, solo un paio di ore prima, mi scuote risvegliando in me l'eccitazione.
Mentre mi crogiolo in queste sensazioni sento il mio cellulare squillare e, con violenza, ritorno alla realtà.
Guardo il display ed immediatamente capisco di chi si tratta. Il cuore inizia ad incespicare in battiti più veloci. Subito, però, a mente lucida, mi rendo conto di quanto quella telefonata sia inopportuna e contrariato rispondo in tono piuttosto acido.
«Che cazzo credi di fare? Sai che non puoi chiamarmi, è troppo pericoloso» ringhio parlando tra i denti serrati.
«Lo so, lo so. Avevo bisogno di sentire la tua voce. Sto impazzendo chiusa in questo buco. Certo mi trattano bene ma sto sola tutto il giorno e le ore diventano interminabili. Avevi promesso che saresti venuto a trovarmi, di tanto in tanto. Che c'è, non sono più adatta a te, Padrone?» ribatte provocatoria.
Sospiro e mi sento frustrato dalle sensazioni che provo ogni volta che sento la sua voce, soprattutto, quando mi chiama a quel modo. Il mio sesso preme contro la stoffa dei pantaloncini. Cerco di contenermi.
«Devi avere pazienza. Mi hanno detto che sono vicini ad incastrare quel fottuto bastardo e poi...» mi fermo perché non riesco a dire altro per non deluderla.
Non posso dirle di Amelia, non ora che siamo vicini alla resa dei conti, potrebbe sfuggirci la cosa di mano. Potrebbe fare un passo indietro ed avremmo perso un anno di tutta questa merda che ho dovuto mandar giù per lei.
«Quando tutto questo sarà finito, io e te potremo di nuovo stare insieme e nessuno ci potrà più separare» riprende lei completamente rapita dall'estasi del momento provocata da quello che sembra il suo sogno più importante.
So che la deluderò ma almeno le avrò ridato la libertà.
«Joshua. Ti desidero più di ogni altra cosa al mondo. Ho bisogno di te. Ora. O... potrei fare una sciocchezza» incalza con la voce che si è fatta flebile.
A quelle parole i nervi si contraggono in tutto il corpo.
«D'accordo. Verrò da te non appena possibile» le prometto.
«No. Verrò io da te. Mi hanno dato il permesso di uscire per venirti a prendere, poi ce ne staremo in un posto tranquillo soli io e te» ingiunge e mi rendo conto che in tutta questo tempo è sempre stata lei a dominarmi e non il contrario.
«Io...».
«Saremo li tra venti minuti, mi hanno detto. Quindi fatti trovare pronto» proferisce lasciandomi impietrito.
«Ma che accidenti stai dicendo? Non puoi venire qui. E se ti vedessero? È pericoloso» sbraito.
Non possono permetterle di vedere dove abito, scoprirebbe la mia vera identità anche se ormai conosce il mio volto ed io il suo, non posso permettere che questa cosa invada anche la mia vita normale.
«Non se ne parla. Tu non puoi venire qui. Parlerò personalmente con chi di dovere» riaggancio prima che possa ribattere.
Lancio il cellulare sul letto e mi getto per terra per tirare fuori la scatola da sotto il pavimento.
La apro e prendo l'altro cellulare che accendo immediatamente.
Compongo il primo numero in rubrica ed aspetto che, dall'altra parte rispondano. Dopo cinque squilli sento quella voce, la stessa che mi contatta da quasi un anno ormai.
«Pronto. Parola d'ordine» ordina.
«Il canto della Fenice» rispondo.
«Di cosa hai bisogno De Luca? Spero per te che sia qualcosa di importante altrimenti...» brontola.
«Oh. Eccome se lo è. Voglio sapere a chi è venuta la splendida idea di far uscire dal nascondiglio Veronique per farla poi venire fin qui a casa mia?» ringhio.
«Abbassa i toni, ragazzino. Non so chi le abbia dato questo ordine ma mi informerò immediatamente, puoi starne certo. Ora chiudi. Ti richiamo io tra cinque minuti» tuona.
Riaggancio e mi metto a fare su e giù per la stanza stringendo il cellulare fra le mani.
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[IN REVISIONE] A midsummer night's dream (The Seasons Saga)
Romance"Io mi chiamo Amelia. Amelia Clayton. Ho sedici anni e sto terminando la terza liceo presso la Roosvelt High School di Seattle. Non c'è molto da dire su di me. Davvero. Lo giuro. Allora mi chiederete perché abbia deciso di cimentarmi nella scrittura...