«Ti prego di alzarti. Non ho intenzione di punirti o di farti punire. Non è tua la colpa ma...solo mia. Ora alzati, per l'amor di Dio» le intimo.
Mi alzo e la vedo ancora prostrata, raggomitolata sul pavimento, con lo sguardo fisso sulle sue gambe bagnate dalle lacrime.
Non riesco a vederla così e non comprendo il tumulto di emozioni che mi provoca perché più la osservo così asservita e più avverto crescere in me un'eccitazione innaturale che mi spaventa e sconcerta.
Mi avvicino di più a lei e le sfioro la testa con le dita.
«Per l'ultima volta, alzati. Devo andar via da qui e da te prima che sia troppo tardi» le confido in un sussurro come se la parte restante del pensiero mi fosse morta in gola, soffocata dal rimpianto e dalla negazione forzata della reale natura del sentimento che provo.
Alza lentamente il capo e ci ritroviamo occhi negli occhi. Nonostante le nostre rispettive maschere i nostri sguardi sembrano riuscire a penetrare qualsiasi barriera per arrivare, infine, a bruciare le nostre anime.
Poi i suoi occhi ricadono sul mio sesso che è proprio davanti al suo viso. Non ricordavo di essere ancora nudo davanti a lei e la cosa, per un istante, mi imbarazza perché mi sembra svilisca il pathos del momento.
Ma non ho il tempo di pensare che subito vengo trascinato nell'abisso di un orgasmo che cresce con la forza di un uragano dentro di me. Abbasso lo sguardo e la vedo mentre tiene ben salda nella mano la base del mio sesso, sfiorando con le dita i miei testicoli, mentre con la bocca umida di saliva cerca di mimare l'accogliente ingresso tra le sue gambe.
La lingua abbraccia e si attorciglia intorno all'asta mentre le labbra l'accarezzano delicatamente come farebbero quelle del suo grembo.
Reclino la testa all'indietro mentre il piacere mi trascina a fondo, senza dire una parola e lasciando che sia lei a condurre questo round, poi, nell'enfasi del momento, le mie mani affondano nei suoi capelli, tirandoli leggermente ed accompagnando il movimento della sua testa, forzandolo a tratti, affinché il mio sesso le invada completamente la gola.
Lei, di rimando, senza la minima esitazione, avida, aumenta la velocità dei suoi movimenti, gemendo ad ogni affondo con me, finché le mie gambe non iniziano a tremare, si piegano, il bacino completamente rivolto verso il suo viso ed esplodo inondandole la bocca e vedendo il mio liquido sgorgarle dagli angoli, scendendo fin giù per il collo.
Si stacca da me leccandosi le labbra piene di me, come se mi stesse ancora gustando. I suoi occhi sono fiammeggianti, non vi è più traccia di quello sguardo carico di disperazione di poco prima ma, qualcosa di vagamente diabolico lo illumina. Sogghigna conscia dell'effetto che ha su di me.
Ancora ansimante le afferro il volto tra le mani e mi chino su di lei in modo che i suoi occhi siano nuovamente concentrati sui miei. La mia mente vaga tra mille pensieri, non sono più in me, agisco di puro istinto.
La bacio con tutta la passione che posso esprimere e la riverso dentro la sua bocca con lo stesso trasporto con cui ci si rivolge al Cielo con una preghiera.
Assaporo quelle labbra come ci si perde nell'estasi che si prova nel vivere qualcosa di prodigiosamente intenso.
Veronique geme sotto quel mio attacco ma ricambia senza dibattersi, senza resistenza alcuna e, per un istante mi sembra che un tenue bagliore di speranza alzi il suo vessillo in segno di vittoria ma, mentre il mio cuore esulta di gioia, il buio torna ad impossessarsi del mio animo allorquando, improvvisamente, lei si stacca da me.
«Non posso darti quello che cerchi. Il mio cuore appartiene a Richard, tu sei un Padrone temporaneo ma, questo non significa che non ci rivedremo più. Devi però promettermi che non dirai a nessuno ciò che è appena accaduto, poiché il mio amante è molto geloso e non so come potrebbe reagire». Mi pugnala e poi mi esorta a tenere un segreto, il nostro segreto, poiché teme per la mia incolumità o forse per la sua.
I suoi occhi si muovono veloci sui miei come a cercare il mio placit.
«Perché?» le chiedo e la mia voce trasuda angoscia.
«Cosa?» ribatte come se non avesse inteso.
«Perchè ti preoccupi per me? Perché fai tutto questo? È solo perché ti senti al sicuro dal mondo esterno? Forse il tuo Signore ti minaccia in qualche modo? Non sei una puttana ma ti comporti come tale» quella mia ultima affermazione, dettata dall'amarezza che provo nel vederla sottomessa al volere di un altro che non sia io, un sentimento primordiale che porta a desiderare ardentemente ciò che non si può avere, mi fa guadagnare un ceffone in pieno viso.
«Sei solo un moccioso che non sa niente della vita. Sicuramente, sei uno di quei tipi che pensano di essere incompresi, sei talmente pieno di te da essere miope davanti ai sentimenti degli altri. Sono una persona anche io. Provo dei sentimenti ma, credimi, non potrebbero mai essere rivolti ad uno come te. Smettila di chiamarmi PUTTANA perché non hai idea dell'inferno che ho vissuto, i tuoi problemi da snob del cazzo non ti permettono di giudicare una come me. Tornatene nella tua lussuosa villa, tornatene al tuo denaro, vai via e non farti più vedere» ringhia contro di me mettendosi in piedi anche se barcollando sui tacchi.
La osservo mentre mi vomita addosso tutto il suo risentimento e mi sembra di morire ogni momento di più.
Non so cosa fare, lascio che sia il me di questa assurda serata a prendere in mano le redini della situazione.
Mi avvento su di lei, le afferro i polsi e la trascino verso il letto mentre continua ad urlarmi contro.
Raggiunto il letto, mi siedo ai piedi e la costringo a piegarsi sulle mie gambe in modo da avere il petto poggiato ed il sedere esposto. Non so quale spirito si sia impossessato di me ma inizio a schiaffeggiarle le natiche sentendola urlare ad ogni colpo. Più lei grida maledicendomi, più aumento la forza con cui la colpisco. Dopo una decina di colpi, le sue natiche hanno un colore rosso acceso che spicca sulla carne rosea intorno.
Il segno delle mie dita appare evidente e sento le sue grida affievolirsi tramutandosi improvvisamente in gemiti. Mi afferra i polpacci ed io riprendo a colpirle il sedere con forza. Ansima ed io assieme a lei. Perdo il conto dei colpi quando in preda ad una potente eccitazione che sembra legata a doppia mandata al suo sesso le ficco due dita all'interno delle labbra esposte e mi rendo conto di quanto sia madida del suo umore.
Le afferro i capelli e la tiro facendola rimettere in piedi. Barcolla, paonazza in volto, fissandomi.
Mi alzo anche io e la faccio voltare in modo che mi dia le spalle poi la spingo sul letto lasciando che si tenga ancora in parte sulle gambe mentre il busto è completamente poggiato sul materasso, le cingo i polsi dietro la spalla ed affondo dentro di lei, spingendo fino a farla nuovamente urlare.
Qualche istante dopo ci ritroviamo avvinghiati sul letto, lei affonda la testa nel mio petto ed io la tengo abbracciata forte a me con la stessa intensità con la quale ci si aggrappa ad un bel sogno per paura di svegliarsi e tornare alla realtà.
La osservo e per un attimo non so quale reazione sia più appropriata davanti a quella valanga che mi ha appena travolto.
«É stato fantastico. E per te?» ma so di non aver dato la giusta espressione a ciò che ho provato.
«Sconvolgente e non pensavo che un altro uomo potesse farmi provare cose simili» risponde levandomi il fiato «ti rivedrò?» mi chiede alzando la testa e puntando il mento sul mio petto per guardarmi meglio.
«Vuoi?» rispondo e mi ritrovo a pregare che risponda con un sì.
«Ti aspetterò» e quelle parole mi elevano ad uno status di pura esaltazione.
Alle due sono fuori dalla villa, nel parcheggio antistante. Ci sono ancora molte macchine. Mi domando se ci siano altre ragazze, studentesse, per intenderci, come Veronique, e come facciano a conciliare tutto questo con il loro studio.
Forse, proprio come Veronique, non vivono in questo posto e che non tutte le sere il suo Padrone la fa venire da queste parti.
Improvvisamente una serie di domande e curiosità s'impossessano della mia mente, tutte che riguardano la vita di Veronique al di fuori da questo luogo.
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[IN REVISIONE] A midsummer night's dream (The Seasons Saga)
Romansa"Io mi chiamo Amelia. Amelia Clayton. Ho sedici anni e sto terminando la terza liceo presso la Roosvelt High School di Seattle. Non c'è molto da dire su di me. Davvero. Lo giuro. Allora mi chiederete perché abbia deciso di cimentarmi nella scrittura...