Mrs Clayton continua a parlarmi, anzi a sputarmi sentenze addosso, con estrema disinvoltura, come se fosse la cosa più naturale al mondo per una che si professa madre modello, sempre impeccabile nei propri abiti firmati, nei capelli sempre freschi di parrucchiere, con la manicure all'ultimo grido e con una figlia, la sottoscritta, considerata alla stregua di una spina nel fianco.
«Amelia! Perché non ti sei messa quel bel vestitino a fiori che comprammo in centro, un po' di tempo fa?» chiede.
Ma cavoli, mi sta prendendo in giro o vuole mortificarmi ancora? Non ce la faccio più. Ora sbotto senza freni e poi ne riparliamo.
«Intendi quello che abbiamo comprato l'ultima volta che siamo uscite insieme a fare shopping? Avevo dieci anni mamma, ora ne ho quasi diciassette, non ti sembra sia passato un po' troppo tempo magari, se non te ne sei accorta, la moda è cambiata ed io con lei» detto questo serro i pugni, mi stacco dalla presa di Elliot e fuggo in bagno piangendo.
Sento la voce di mia nonna, ormai alle mie spalle, mentre rimprovera aspramente mia madre. Elliot mi chiama ma poi lascia che io mi chiuda nel mio mondo, lo stesso che, ora come ora, vorrei mi inghiottisse per sempre eliminando ogni traccia di me.
Fuggo senza guardarmi indietro, né avanti, apro una porta che credo sia quella del bagno e sospiro quando mi accorgo di essere finalmente da sola.
Immobile, attaccata alla fredda parete di maioliche, il calore lascia lentamente il mio corpo. Vorrei non essere qui ma ho bisogno di riversare proprio qui dentro tutta la frustrazione ed il dolore che provo per poi tornare a respirare.
Mi avvicino ad uno dei box sistemati accanto alla parete alla mia destra quando, improvvisamente, la porta di uno di questi si spalanca e lo vedo.
Una colata di lava incandescente mi investe, le guance vanno in fiamme per l'imbarazzo. Il cuore smette di battere. Annaspo.
«Che accidenti ci fai qui?» ringhia sorpreso Matt.
Non riesco a parlare perché un nodo mi serra la gola impedendomi persino di respirare. L'unica cosa che riesco a fare e mettermi le mani davanti agli occhi.
«Non ho visto niente. Lo giuro» squittisco.
«Non hai letto che questo è il bagno degli uomini?» ribatte con voce lievemente più calma, sembra quasi che stia cercando, con tutte le sue forze, di mantenere il controllo.
«Mi dispiace sono mortificata» dico mentre le lacrime continuano più copiose a bagnarmi i palmi delle mani.
Indietreggio sperando di trovare la porta il prima possibile ma sbatto contro la parete fredda che mi fa trasalire.
«Aspetta» dice lui e sento il rumore dei suoi passi avvicinarsi a me.
«Ti chiedo ancora scusa» dico con la voce rotta dai singhiozzi. Con una mano cerco alle mie spalle la superficie di legno che mi indichi la porta ma non la trovo.
Non voglio che qualcun'altro possa ridere di me, tolgo anche l'altra mano dal viso e mi volto di scatto rendendomi conto che la porta è proprio accanto a me.
Afferro la maniglia e la tiro verso il basso. Il battente si spalanca ed io sono fuori.
Mi guardo attorno e noto la piccola targhetta con sopra scritto Toilette Donne e mi fiondo dentro l'ennesima porta azzurra.
Respiro a fondo con la testa poggiata al legno dello stipite, con gli occhi ancora chiusi.
Mi avvicino ai box e mi chino spiando sotto le varie porte per assicurami di essere sola.
Finalmente.
Entro in uno e richiudo la porticina di acciaio alle mie spalle.
Eccomi.
Tiro indietro i capelli lunghi e li fermo con una mano in una sorta di coda di cavallo, mi inginocchio davanti al gabinetto ed infilo indice e medio lentamente nella bocca.
"Ora finisce tutto e starai meglio" continuo a ripetermi come un mantra.
Sento già la saliva aumentare nella mia bocca mentre le dita scivolano sulla lingua fino a toccare la parete della gola. Avverto il sapore salato delle patatine e del ketchup che ho mangiato poco fa e di cui sono impregnati i miei polpastrelli. Erano ottime anche se hanno sostato poco nel mio stomaco.
Arriva istantaneo il primo conato e subito mi chino di testa nella tazza del water per svuotare dentro quel poco che ho mandato giù durante la cena. Nulla di digerito ovviamente, ma solo una poltiglia che mi fa venire da vomitare ulteriormente. Ecco anche le patatine ed il sugo della pizza. Un brivido mi scuote ulteriormente.
Tremante alzo il braccio e con la mano premo contro il pulsante dello sciacquone poi lascio che i capelli ricadano sulle spalle e mi aggrappo alle pareti del box cercando di rimettermi in piedi.
Prendo una salvietta dal dispenser e mi asciugo la bocca.
Sono viva. Questa è Amelia Clayton.
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[IN REVISIONE] A midsummer night's dream (The Seasons Saga)
Roman d'amour"Io mi chiamo Amelia. Amelia Clayton. Ho sedici anni e sto terminando la terza liceo presso la Roosvelt High School di Seattle. Non c'è molto da dire su di me. Davvero. Lo giuro. Allora mi chiederete perché abbia deciso di cimentarmi nella scrittura...