Parte 23

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Matt

Da quando sono tornato a Los Angeles, non faccio che pensare a quello sguardo. Non è giusto che tanta bellezza sia sprecata in un animo tanto triste. Avevo visto il dolore nei suoi occhi, in quello sguardo arrossato dal pianto. Un dolore uguale al mio, forse differente per motivazione, ma di eguale intensità e turbamento. Gibran scrive:"Lo spirito addolorato trova pace se unito ad uno simile. Essi si legano di affetto, come uno straniero si rallegra nel vedere un altro straniero in un paese estraneo".

Avevo visto la bellezza della sua anima fanciulla, ma la mia indole distruttiva, già palesatesi come tratto distintivo del mio carattere, ne aveva incrinato lo stelo. Si piegava docilmente al volere altrui senza alcuna protesta. Successivamente, l'incontro nella pubertà, altra fase che lascia il suo segno in animi sofferenti, ho saggiato la magnificenza della sua persona che, come un bocciolo sodo, si accingeva ad aprirsi al mondo mostrandosi in tutta la sua beltà. Ma lei non ricorda quel momento in cui, per la prima volta ho idealizzato la sua immagine di madonna, quale figura eterea, quasi astratta, costruzione forzata di un desiderio inconscio della mente. Chimera nelle notti senza sonno. Pensavo che la mia vita dipendesse dal fatto che lei esistesse al mondo. In tutti questi anni non ho lasciato ad alcuna la speme di legarmi a doppio nodo a sé, da ultima la stessa Giorgia. Oh. In molte hanno provato ma la mia ragione le ha decretate tutte perdenti di fronte all'illusione di un ricordo, divenuto presto un sogno ad occhi aperti.

Amelia è apparsa come un miraggio, una oasi per gli assetati. Provocando un tonfo rumoroso al mio ego. L'ho studiata in ogni suo movimento, sgraziato eppure soave per me, in ogni suo sguardo vacuo verso una realtà che la richiude in una gabbia senza luce. E poi, in quel bagno, quello che per una sola manciata di attimi, è diventato il giardino segreto della mia fantasia, ove i sogni prendono vita ed io torno a vivere con essi, ho visto la mia luce, il mio miracolo.

Ma, il me ostile, al quale sono legato da un invisibile cordone ombelicale, ombra fatta di oblio e reclusione, fortezza della solitudine in cui mi trovo relegato, ha piegato nuovamente quel delicato fusto già per metà reciso dalla sua stessa radice. L'ho fatta scappare, ed, infine, come colpo di grazia l'ho schernita ulteriormente.

È nella mia natura sfidare la sorte. Così ho svilito anche quella ragazza e l'importanza che ella ha per me.

Mi metto la testa fra le mani e fisso la mensola davanti a me. Sopra ci sono foto di me e mia sorella, della mia famiglia e qualche trofeo.

Sospiro e mi volto verso la mia libreria. Mi alzo di scatto e vado a chiudere la porta della mia stanza a chiave, proprio non vorrei che qualcuno entrasse mentre esco allo scoperto cose che nessuno deve vedere.

Vado nuovamente verso la libreria e mi inginocchio, infilando una mano sotto il mobile dal quale estraggo una cordicella bianca.

La tiro verso di me e l'asse del parquet al quale è collegata si solleva e ruota su sé stesso mostrando il mio nascondiglio segreto.

Improvvisamente, un moto di eccitazione mi distoglie dai miei arrovellamenti mentali. Sono eccitato solo all'idea di cosa ci sia li dentro. Scosto ancora un po' l'asse e mi piego ancora per infilare la mano nel buco.

Tocco una superficie fredda e quel contatto mi fa sussultare. Afferro la scatola di acciaio e la tiro in superficie.

Mi metto seduto sul pavimento a gambe incrociate davanti alla mia scatola segreta. Qui c'è tutta la mia vita. Non quello che ero ma quello che sono diventato. Il cellulare mi squilla facendomi trasalire.

Alzo una natica e me lo sfilo da dietro.

«Pronto!» rispondo ma so chi mi risponderà dall'altra parte.

«Sei pronto per stasera?» risponde la voce dall'altra parte.

L'adrenalina inizia a pompare nelle mie vene.

«Come non potrei» rispondo senza esitazione.

«Ricordati di portare i documenti e tutto il necessario come sempre. L'appuntamento è la davanti alle ventuno. La tua accompagnatrice si chiama Jessica Smith, avete la stessa età, è una dei nostri come te. Cercate di fare bene il vostro lavoro» dice la voce maschile dall'altra parte e poi riattacca prima che possa dire qualsiasi cosa.

Riaggancio e metto il cellulare accanto a me sul pavimento. Mi decido ad aprire la scatola.

Prendo il cellulare che vi è dentro, una mascherina nera di velluto, le chiavi della moto ed i soldi, un mucchio di soldi, richiusi da un fermaglio di acciaio.

Dentro c'è anche una spilla che reca il segno del delta e che mi permetterà di accedere alla serata. Rigiro quell'oggetto, tanto piccolo eppure tanto potente, fra le mie mani. Ancora oggi mi sorprende l'autorità che conferisce ai suoi possessori. Essa rappresenta una chiave di volta, un elemento cruciale che ha scandito il mio passaggio oltre l'inferno ed attraverso di esso.

Rimetto la scatola al suo posto e tutte le cose che ho preso dentro il cassetto della mia scrivania.

Mi avvio verso la porta ed apro la serratura sobbalzando davanti all'immagine di Clara che se ne sta la davanti con le braccia incrociate sul petto ed uno dei suoi migliori bronci.

«Che hai?» le chiedo.

«Non mantieni le promesse. Sei come la mamma» e detto questo scappa via chiudendosi nella sua stanza.

Quelle parole mi colpiscono dritto al cuore. Si perché, nonostante tutto, un cuore ce l'ho anch'io, ancora.

Vado verso la sua stanza quando mi sento chiamare da mia madre per la cena.

«Clara. È pronta la cena. Esci di li e scendi con me» le ordino.

«Non ho fame!» risponde dalla sua stanza e sento dal suo tono che è davvero arrabbiata con me ma non ho la minima idea del perché.

«Avanti, piccola. Esci di li e vieni a mangiare o gli gnomi di Ghibutz verranno a mangiare il tuo pancino vuoto» m'invento ma faccio colpo perché sento la serratura della sua porta scattare.

Eccola li, ancora imbronciata, che cammina verso di me, mi guarda qualche secondo e poi mi passa davanti indifferente.

[IN REVISIONE] A midsummer night's dream (The Seasons Saga)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora