Capitolo 1

103 10 0
                                    

All'aeroporto c'è più gente di quanto mi aspettassi. Le code sono interminabili e aspetto il check in con impazienza tremando vigorosamente.
Le mie mani sono sudaticce tanto che la maniglia del trolley è diventata troppo calda e umida.
Non ho mai preso un aereo e questa volta sarò da sola; non ci saranno i miei genitori a guidarmi come sempre. Li vedo un po' più in là che cercano di fare i forti per non crollare in un fiume di lacrime, persino la mia sorellina sorride amaramente: sono più forti di me.
Io ho sul serio paura di non farcela, di scoppiare in lacrime, correre tra le braccia di mia madre e tuffarmici dentro come quando ero bambina. Ma non posso, devo crescere, devo farcela, posso farcela. Dovrà bastarmi l'abbraccio che ci siamo dati poco fa per farmi coraggio. 
Senza accorgermene arriva il mio turno e, prima di dirigermi verso l'aereo, mi giro di scatto mandando un bacio alla mia famiglia notando la mamma divincolarsi per dire qualcosa che non riesco a sentire.
Il mio volo viene chiamato così mi volto perdendomi tra la folla. Non ho capito cosa volesse dirmi, ma sarà stata una delle solite raccomandazioni. Salgo sull'aereo. Il mio posto è accanto ad un signore che continua ad agitarsi poiché gli è stato assegnato un posto lontano dalla moglie. Sembra più terrorizzato di me durante il decollo tanto che mi prende la mano in preda al panico ed ho anche paura che rimetta da un momento all'altro. Bell'inizio di viaggio. Oltre al fatto di dover gestire la mia di ansia dovrò anche stare attenta affinché un ultra sessantenne non mi vomiti addosso. Provo a tranquillizzarlo. Gli parlo dolcemente, cosa davvero insolita per me, e così lentamente si calma.
<<Da dove vieni?>>Mi chiede
<<Dalla città da cui siamo appena decollati.>>
<<Oh sei molto fortunata. È davvero un bel posto>>
Continuiamo a conversare e lui ascolta ciò che dico attorcigliandosi con le dita il baffetto bianco. Non fa domande come se stessi trattando la più formale e importante delle discussioni, è davvero buffo. Sembra un tipo tranquillo, pare diverso da colui che ha avuto un attacco di panico non più di mezz'ora fa. Parliamo molto fino a quando lui non cade nel sonno, io allora prendo il mio zainetto, apro la cerniera velocemente e cerco la foto di famiglia. Non ho foto sul cellulare che ritragga noi 4 tutti insieme così ho voluto portarla da casa. Cerco a fondo, ribalto tutto lo zaino, ma non la trovo. Ora sta per venire a me un attacco di panico. Quello era il mio amuleto, la mia forza come per il vecchio, che ho scoperto chiamarsi Joe, era sua moglie. E ora? Ero sicura di averla portata. Ripercorro indietro i miei passi. La mia mente va al check-in , mia madre che prova a dirmi qualcosa indicando il pavimento e finalmente capisco: mi è caduta allora. Dannata distrazione. Perché non chiudo mai completamente gli zaini? Perché non do mai troppo peso alle parole di mia mamma? Ed ecco improvvisamente una turbolenza. Joe si sveglia, ma questa volta non ho la forza di calmarlo e così si piega e il vomito va a finire sui miei pantaloni. Sto per urlargli contro, ma poi vendendo la sua espressione scoppio in una risata che lo rasserena e inizia a ridere anche lui.
Siamo arrivati. L'aereo atterra e finalmente posso scendere. Quando esco dall'aeroporto ho un aspetto inguardabile. I miei capelli marroni scuri inizialmente raccolti lasciano cadere mille ciocche sul mio viso, inoltre sto sudando come una matta per la fatica nel trasportare le valigie. Prendo il cellulare dallo zaino e noto 3 chiamate perse da Sabrina. Sabrina è stata una mia insegnante di danza per molto tempo. Lei ha sempre creduto in me, nelle mie potenzialità e mi ha sempre incitata a continuare la strada in questo mondo. È praticamente grazie a lei se sono qui. È lei che mi ha trovato il volo, la casa dove alloggiare, mi ha iscritta al concorso e tutto il resto. Mi ha fatto quasi da seconda madre ed è stata una delle poche presenze costanti nella mia vita. Come sempre i nomi hanno ragione. Sabrina vuol dire piena di spine ma piacevole. È piena di spine perché, a parte con me e pochi altri, è molto fredda,distaccata e mette tra sé e gli altri un muro di cemento armato, ma è piacevole perché quando balla è uno spettacolo della natura. Sembra in un'altra dimensione, un altro mondo, un'altra realtà a cui sono sicura vorrebbe appartenere anche quando è costretta a stare ferma.
<<Pronto?>>
<< Ciao Sabrina come va?>>
<<Dovrei chiederlo a te. Come è andato il viaggio? >>
<<Bene bene grazie>>benissimo direi: un tipo mi ha vomitato sui jeans, ho perso il mio portafortuna prima di partire, sembra che sia appena uscita da un manicomio e non so dove andare.
<<Sono contenta! Allora la prima cosa da fare è dirigersi verso la casa dei Milanesi. Ti aspettano per le 12,30 e sono già le 12,00. Se prendi una circolare dovresti farcela. Vai verso il centro, troverai una fermata, di' all'autista che ti vuoi dirigere verso via Umberto I. Ho controllato gli orari delle corriere e ce ne dovrebbe essere una tra 10 minuti però sbrigati altrimenti dovrai aspettare la prossima che passerà tra un'ora.>>
<<Va bene grazie.>>
Riattacco subito e con l'aiuto di Google maps cammino a passo veloce lungo la strada, mossa più dalla fame che dal fatto di fare ritardo in sé per sé. Chissà cosa avranno preparato, spero una lasagna o l'arrosto o entrambe. Sono così concentrata sul mio cellulare per capire se il cerchietto rappresenta dove sono o dove devo andare e sul mio pranzo mentale, che non faccio attenzione ad una pozzanghera, ci metto il piede dentro e scivolo come una perfetta idiota, ma due mani mi afferrano per i fianchi.
Alzo lo sguardo. Un ragazzo biondo e con gli occhi azzurri si trova a 10 cm da me. È davvero molto bello. I suoi occhi mi ricordano tanto la mia casa, il mio mare dove mi ci perdevo a nuotare e tornavo a riva dopo ore. Non pensavo che nulla potesse mai assomigliare alla bellezza mistica e speciale delle onde, ma mi sbagliavo a quanto pare. Mi incatena con il suo sguardo ma sussulto non appena realizzo che sono appena caduta in una pozzanghera  davanti ad un belloccio che sembra Leonardo di Caprio, sudata, spettinata e con la puzza del vomito di Joe come acqua di colonia. Arrossisco per l'imbarazzo e mi alzo all'improvviso urtando la valigia che cade sul suo piede. Lui soffoca un acuto di dolore ed ora sono ancora più in panico. Non solo una foca in questo momento sarebbe più attraente di me, ma gli ho quasi rotto un piede. Prendo il bagaglio di scatto, mi volto e scappo via, non lo guardo neanche in faccia, non gli chiedo nemmeno se si sia fatto male, ho troppa paura che sverrei per la vergogna e così cammino, anzi corro lasciandomelo alle spalle mentre sento il suo sguardo ancora su di me. Sarò sembrata un'imbecille, cavolo.

Continuo a percorrere la strada e finalmente arrivo alla fermata.
Aspetto per un po' e ne approfitto per mandare un messaggio a mia mamma dicendo che è tutto okay.
Finalmente arriva la circolare. Chiedo all'autista quale sia la fermata più comoda per arrivare in via Umberto I e poi vado alla ricerca di un posto fino a quando non ne vedo uno. Mi affretto affinché non si sieda qualcun altro e urto una ragazza con i capelli dalle punte rosa che è in piedi e sta parlando con qualcuno.
<<Più delicata la prossima volta.>> dice.
<<Scusami non l'ho fatta a posta.>>
<<Vedi di stare più attenta allora cara, vorrei arrivare integra a casa.>>
<<Ti ho detto che mi dispiace.>>
<<Non mi importano le tue scuse, svampita stavi per buttarmi a terra.>>
Non ho mai visto nulla di più infantile, così decido di mettere le cuffiette e ignorarla, ma dalle mie labbra esce appena sussurrato:
<<Simpatia portami via..>>
<<Cosa hai detto scusa?>> urla trapanandomi un timpano con il suo vocione tutt'altro che femminile.
Sbuffo alzando gli occhi al cielo, ma quando arriva la mia fermata per porre fine a questo strazio?
Lei appare innervosita poiché non reagisco così continua:
<<Cos'è questa puzza? Pipì di gatto? O forse vomito?>>
Sposto lo zaino in modo che non si veda la macchia sui miei jeans.
<<O forse la tinta tarocca che usi per i capelli.>> bisbiglio.
Finalmente posso scendere e lasciarmi alle spalle questa Sailor Moon dei poveri sperando di non vederla mai più.
Via Umberto I è sulla mia destra, ecco il numero civico prestabilito.
Suono il campanello e mi apre una signora in carne sulla cinquantina con il volto dolce e i capelli corti ondulati e marroni.
<< Tu devi essere Margherita Belgrado, giusto?>>
<<Sì sono io e lei è la signora Milanesi?>>
<<Sì ma puoi chiamarmi Serena e per favore non darmi del lei.>>
La casa è ampia e molto luminosa, stile moderno.
<<Ti faccio vedere la tua stanza vieni.>>
La camera non è grandissima ma l'arredamento è funzionale e la luce che penetra dalle tende bianche la fa apparire più ampia. Il letto si trova al centro della stanza. Pare comodissimo e con tutto quello che è successo oggi non vedo l'ora di tuffarmici dentro. I piumoni sono lilla che è il colore predominante nella stanza insieme a varie tonalità di viola e il bianco. Un grande armadio si trova sulla parte sinistra ed una scrivania molto ordinata sulla destra.
<<Ecco d'ora in poi questo sarà il tuo nido. Puoi appendere ciò che vuoi, mettere oggettini, foto, libri qualunque cosa. Fai come se fossi a casa tua.>>
<<Grazie.>>
<<Ti presento mio marito>>dice la donna quasi saltando sopra l'uomo con lo sguardo spaesato che è fuori dalla porta.
<<Io sono Paolo>>dice con un sorriso cordiale.
<<Margherita.>>
Andiamo nel soggiorno a mangiare. Sto morendo di fame e penso che mi abbufferò come non mai. Suppongo che i Milanesi lo abbiano capito perché continuano a passarmi quantità di cibo inquantificabili che mando giù come se fossero qualche briciola. Finalmente mi sento sazia. Annuncio che vado a fare un pisolino ma in realtà ciò che desidero di più in questo momento è videochiamare la mia famiglia. Apro il computer. Premo il pulsante di chiamata e subito viene aperta. Vedo la mamma.
<<Ciao amore come stai?>>
<<Bene mamma non preoccuparti, le persone sono così gentili, il posto è magnifico e la famiglia che mi ha ospitata è davvero fantastica, penso che mi divertirò.>>
Parliamo per ore e ore e senza che me ne renda conto si fanno le 18,00. Ho iniziato la video chiamata alle 14,30 sono sul serio passate 3 ore e mezzo?
<<Oh sono già le sei, devo andare.>>
<<Ah Margherita! Non so se te ne sei accorta ma all'aereoporto ti è caduta questa.>>
Alza il braccio e in mano ha la mia foto. Come sarà riuscita a riprenderla nel mezzo della folla? I poteri delle mamme. A volte mi chiedo come facciano, ma piuttosto mi chiedo: quando e se sarò madre anche io avrò le sue stesse capacità? Sarò all'altezza? A volte credo proprio di no. Vedere la mia foto al sicuro mi fa sentire sollevata, ma allo stesso tempo malinconica. Anche l'ultimo pezzo della mia vita di prima è rimasto lì, tra le mani di mia mamma dove vorrei poter stare ancora. Tutto ormai mi lega alla mia terra.
<<Grazie mamma.>>
Chiudo il computer. Ha di nuovo riparato i danni della mia distrazione. Come sempre.

Spazio autrice:
Ecco il primo capitolo! Margherita è arrivata a Bologna. Cosa succederà? Che ne pensate dei suoi primi incontri?
Se il capitolo vi è piaciuto votate o commentate❤️
Baci baci
Fede💕

La danza delle margheriteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora