Capitolo 35

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Il mio ritorno a Bologna non è stato dei più felici.
Troppi pensieri, troppe paure, troppi misteri.
Per fortuna c'erano i miei amici a farmi sorridere e soprattutto il mio difensore.
A volte ripeto il mio vero cognome, perché non lo dimentichi, perché mi rimanga impresso.
Cristaldi.
A volte cerco di dimenticarlo, di far finta che non esista, ma non funziona.
Altre volte dico tutti i nomi e cognomi che mi vengono in mente, come per provare a renderlo uno dei tanti.
Renato Belgrado, mio padre adottivo.
Fabrizio Faggi, uomo che mi odia.
Guido Cristaldi, mio vero padre.
Chiamo Alessio per metterci d'accordo per la festa in maschera di sta sera.
<<Principessa!>>
<<Difensore! Per la festa quindi?>>
<<Passo a prenderti alle nove. I costumi li procuro io al teatro, chiederò a Michele di prestarmi quelli di scena.>>
<<Ti prego non scegliere nulla di orrido. Non voglio essere un pulcino, una capra o un involtino di carne.>>
<<Perché? Saresti così carina vestita da involtino.>>
<<Prova a portarmi un costume simile e sei ufficialmente single.>>
<<Va bene va bene, prometto che ti piacerà.>>
<<Mh, mi fido.>>
Carmen Specchia, mia madre adottiva.
Sabrina Gerardi, mia vera madre.
Serena e Paolo Milanesi, i padroni della casa in cui alloggio.
Vado nello studio di Paolo per prendere dei libri che ho lasciato lì e intanto continuo la mia lista mentale.
Elsa Paloma, la responsabile di tutto.
Apro la porta.
Angela Paloma, l'insegnante che mi odia.
Vado avanti fino alla scrivania.
Mario De Carlo, ex socio di papà e complice di Faggi.
Mi volto verso i documenti riguardanti il caso di mio padre ed ecco che tra quelle pagine compare il prossimo nome del mio elenco.
Alfredo Conti.
Colui che pensavo avesse aiutato Sabrina e che invece è dalla parte di Faggi.
Ricollego tutto.
Forse proprio tramite quest'uomo mi hanno fatto partecipare al concorso e allora, forse, Angela Paloma c'entra davvero con questa storia, forse lei è più pericolosa di quanto creda.

Pov Paloma
Rimetto in ordine la sala dopo l'ultima lezione ed esco.
È sempre così silenzioso il teatro a quest'ora, così tranquillo che quasi mi ricorda la pace che mi trasmetteva prima che succedesse la tragedia, prima di averne paura.
Eppure oggi c'è qualcosa di diverso.
Mi affaccio leggermente verso il corridoio ed una chioma bionda mi fa subito tornare indietro.
Alessio è qui.
Cautamente mi dirigo verso l'ultima sala, scosto il tappeto e apro la botola che conduce alla "stanzetta segreta" come la chiamavano i due piccioncini, quella che ho strappato loro.
Sposto lo scaffale aprendo una sorta di cassetto incassato nel muro, lì si trova la mia pistola.
La prelevo cautamente e la impugno nascondendola sotto il cardigan.
Torno di sopra e mi affaccio per vedere se Michele è ancora lì.
Nessuna traccia.
Cammino a passi lenti fino ad arrivare a pochi metri dal ragazzo.
Prendo l'arma e la punto verso di lui.
Volta lo sguardo sentendosi osservato e alza le braccia girandosi.
<<Non lo fare.>>
Sorrido per la sua stupidità.
<<E credi che dicendomi questo non ti spari?>>
<<Cosa vuoi che faccia?>>
<<Lascia Margherita, nel modo più crudele che ti venga in mente e allontanala da tutto ciò che la fa stare bene. Ecco, fai questo o puoi dire addio alla tua vita.>>
<<Ma come siamo teatrali>>
<<Non mi provocare, ragazzino.>>
<<Perché fai tutto questo? Perché la vuoi far soffrire?>>
<<Credi che ci sia niente di più orribile che vedere la propria figlia morta dentro? Vedere la propria figlia non guardarti nemmeno in faccia perché la sua tristezza è solo colpa tua?>>
<<Cosa vuoi dire? Stai facendo soffrire la mia principessa solo per...>>
<<Non ti azzardare a chiamarla mai più così>> grido istericamente <<c'è solo una principessa, una soltanto. Lei non potrà mai prendere il suo posto, mai.>>
Mi fissa con i suoi occhi marini e mi assale la più temibile delle belve, la mia memoria.
Quella stessa tonalità di azzurro l'ho vista nei miei due più grandi amori.
La mano che impugna l'arma trema visibilmente e i miei occhi si appannano.
Non posso vedere spegnersi quello sguardo, non di nuovo.
Mi cade la pistola dalle mani e gettandomi in terra per riprenderla vedo ciò che Alessio porta tra le braccia: due costumi da carnevale, uno da cavaliere e uno da principessa.
Una coroncina scintillante in plastica è stretta nel suo pugno ed ecco che riaffiorano nuovamente tutti i ricordi.
Il cuore ritorna a martellarmi pensando al mio incontro con Guido, terribilmente pieno di passione, ma soprattutto pensando a tutto quell'odio che ho visto riversare su di me rientrando nel mio camerino.
Sabrina in piedi stringeva Sol seduta sul balconcino che si affacciava sulla strada.
<<Cosa stai facendo?>> dissi.
<<Ti sei divertita con il mio futuro marito eh, sgualdrina! Sai chi c'è in questa pancia? Sua figlia! Guido non mi abbandonerà per te. Guido non deve abbandonare lei per te.>>
<<E perché non dovrebbe? Perché non dovrebbe fare con te quello che ha fatto con me? Perché non dovrebbe fare con tua figlia quello che ha fatto con la mia?>>
Ricordo il suo sguardo sbalordito, rabbioso, triste, incredulo. Tantissime emozioni passarono sul suo volto in un solo istante.
<<Sì, hai capito bene la bambina che tieni tra le braccia e sua figlia, nostra figlia>> continuai <<L'ho cresciuta da sola, senza mai chiedere nulla a nessuno, l'ho portata ovunque io andassi perché non volevo che rimanesse nemmeno un attimo senza amore, non volevo che si sentisse sola nemmeno per un istante, che sentisse la mancanza di una figura paterna. Mi sono fatta in quattro per poter ricoprire i ruoli di madre, padre, ballerina ed Elsa, ed ora tu vuoi rovinare tutto per uno stupido bacio. Tienitelo pure il tuo Guido, se è proprio quello che vuoi, ma ,se posso darti un consiglio per esperienza, non fare tanto affidamento su di lui perché da un momento a l'altro tua figlia potrà essere per lui la nuova Sol e abbandonarvi.>>
Rimase ancora più sconvolta, più scioccata, più incredula.
Fece dei passi indietro senza che se ne accorgesse, scuotendo la testa e fissandomi in maniera inquietante.
Continuò a indietreggiare fino ad arrivare al parapetto troppo basso.
Perse l'equilibrio.
In un attimo di panico io allungai il braccio per prendere la mia bambina, ma si aggrappò Sabrina liberando il braccio che prima stringeva Sol e quest'ultima cadde nel vuoto schiantandosi sull'asfalto.
Il mio urlo riempì la strada che ben presto si animò di gente che accorreva preoccupata.
Il suo sangue colorò quelle vie e mi oscurò il cuore.
Sabrina piangeva: forse per sensi di colpa, forse per paura, in ogni caso sapevo che non piangeva per la mia bambina, ma per ciò che le sarebbe accaduto.
Scesi in strada e chiamai un'ambulanza.
Accorsi dalla mia principessa e le strinsi la mano mentre le accarezzavo la fronte e il capelli dorati.
Proprio per quei capelli lucenti avevo deciso di darle quel nome, quei capelli sarebbero stati la luce che avrebbe illuminato la mia vita che per un motivo o per un altro non era mai stata abbastanza splendida, sarebbero stati il mio sole.
Ed ora? Non poteva spegnersi la mia fonte di vita, non avrei avuto più la forza, sarei impazzita.
Guido arrivò vicino al corpicino inerme, ma non riuscii nemmeno a guardarlo negli occhi.
Se non fosse stato per il suo stupido biglietto, il suo stupido incontro, il suo stupido bacio tutto questo non sarebbe accaduto.
Mia figlia avrebbe continuato a giocare con il suo orsacchiotto e la sua coroncina, io avrei continuato a fare la mamma danzante a tempo pieno e lui si sarebbe tranquillamente sposato con Sabrina.
Se non fosse stato per la mia stupida debolezza tutto questo non sarebbe accaduto.
Avrei dovuto ascoltare Sol, avrei dovuto essere perfetta, ma io di perfetto non ho nulla e i miei problemi hanno solo fatto del male a lei.
I soccorsi furono inutili, morì in ambulanza, morì il mio tesoro e con lei morii anch'io.

La danza delle margheriteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora