Orgoglio e Superbia

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«Sei davvero promettente, Vegeta. Dovresti essere onorato di esser capitato tra le mie mani.»

Mi guarda senza rispondere. Nei suoi occhi c'è qualcosa che arde: un incendio vivo, pulsante, che si riflette anche sul suo piccolo corpo che freme dalla voglia di agire.

«Tuttavia...»

I polmoni gli si svuotano sotto la pressione del mio pugno che gli si è infranto al centro del petto. I suoi occhi si socchiudono. Dalle labbra fuoriesce un fiotto di saliva mista a sangue.

«...ora potrebbe non sembrarti una cosa positiva. Del resto guardati, sei quasi patetico.»

Non riuscirà mai a liberare le braccia e lo sa bene, ma ammetto che mi sorprende la tenacia con cui continua a provarci. Tenta soprattutto di alzare le mani, forse per arrivare ad afferrare la mia coda e allentare la presa che imprime tra le sue spalle e il suo petto, ma gli avambracci vanno a vuoto e non riescono a sollevarsi oltre i suoi fianchi.

Adoro la sua furia repressa. Il solo guardarlo in quello stato inerme e sottomesso mi fa venir voglia di stringere fino a percepire le sue piccole ossa che si spezzano; il desiderio di sentirlo urlare si fa divorante.

«Povero principe» rido «Credeva che sarebbe stato accolto col tappeto rosso. Si sbagliava!»

Ancora una volta cerca di cogliere l'attimo in cui la mia coda lo lascia scivolare per liberare l'accesso al suo petto. Ancora una volta fallisce miseramente e io sento le sue costole scricchiolare sotto le mie nocche. E urla davvero, un grido strozzato che si lascia sfuggire per poi tentare di reprimerlo qualche attimo dopo. Un brivido di piacere mi accarezza la coda quando torno a stritolarlo.

«Qui non sei nessuno, Vegeta. Non sei un principe, non sei l'erede al trono: sei solo te stesso, un debole moccioso convinto di valere qualcosa. Non vali niente.»

«Non... non...»

«Non? Vuoi forse dire che non è vero? Guardati, non riesci neanche a parlare. Che spettacolo pietoso.»

Disciolgo lentamente la presa e lui scivola sul pavimento abbandonato come un corpo privo di sensi, ma è presente a se stesso. Lo capisco subito: resta fermo appena pochi attimi, poi si rigira e tenta di mettersi in piedi puntellandosi sui palmi. Una mossa che mi piace: non si arrende nonostante la sua palese inferiorità, ma proprio per questo motivo non posso lasciare che si rialzi.

Roteo la coda poggiando la punta sul suo capo e premendo verso il basso. Lui è costretto ad abbassare la testa e poi il corpo; si poggia sui gomiti e non può più muoversi in alcun modo, chino dinnanzi al suo padrone.

«Sei debole, per quanto tu sia tra i migliori guerrieri che ho visto all'asta. Eppure ammetto che mi sorprendi: anche senza usare l'energia riesci a sopravvivere ai miei colpi. È già qualcosa.»

Vedo che tenta di parlare ma non riesce ad articolare la frase. Persino respirare deve fargli male in questo momento. Attendo con pazienza assecondando ogni suo sussulto, seguendo ogni suo sforzo di tirar fuori l'aria dal petto.

«Non sono...»

«Non sei debole?»

Tace in segno affermativo. Non credo sia così stupido da non sapere cosa comportino queste parole: il mio primo istinto, infatti, è di colpirlo per dimostrargli che si sbaglia. Questo ragazzino è disposto a sfidare persino la morte pur di non ammettere di essere inferiore all'avversario... eppure, anche se con uno sforzo, mi trattengo: ormai è al limite, non voglio rischiare di ucciderlo davvero.

«Parole grosse per un ragazzino così piccolo» lo schernisco. «Enormi affermazioni per chi pochi attimi fa non riusciva nemmeno a parare il mio pugno.»

Freezer: Origins | DragonBallDove le storie prendono vita. Scoprilo ora