Capitolo I.

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Ero in ritardo quella mattina.

Come al solito.

Ormai era da tempo che non mi stupivo più di come riuscissi a sfiorare le otto in punto ogni singolo giorno, delle corse mattutine all'impazzata pedalando a tutta velocità per le strade trafficate di Parigi e dell'immagine della professoressa Margot che mi tormentava la testa con i suoi infiniti monologhi riguardo al rispetto del rigido regolamento scolastico.

Sapevo che mi avrebbe infilato i bastoni fra le ruote quando sarebbe giunto il fatidico esame della maturità. Mi detestava e lo aveva sempre reso palese grazie al solito sopracciglio alzato che mostrava solamente quando si rivolgeva verso di me e affrontavamo una discussione, un chiaro segno di stizza nei miei confronti.

Ma che io, ormai, avevo imparato a ignorare.

E pedalavo frettolosamente anche quella mattina, la mia meta era il liceo scientifico che frequentavo a pochi passi dal quartiere di Montparnasse. La zona era imperlata di automobili che strombettavano sperando che il seccante traffico diminuisse. Ero sollevata all'idea di spostarmi in bicicletta, riuscivo sempre a oltrepassare l'ingorgo e procedere a una velocità inaudita verso il mio istituto.

Non era affatto prudente ciò che stavo facendo e ne ero ben consapevole. Parecchie volte avevo rischiato di incappare in un incidente a causa della mia rinomata sventatezza sulla strada, ma non potevo permettermi di approdare in aula dopo che l'orologio avrebbe scoccato le otto e mezza. La Margot si sarebbe annotata il mio ennesimo ritardo per la trilionesima volta e non auspicavo per niente a farmi un'altra visita dal preside.

Appena intravidi il liceo Immanuel Kant in lontananza accelerai maggiormente, dirigendomi verso il grande cancello spalancato dell'edificio cosicché potessi raggiungere il parcheggio interno per depositare la bicicletta. La felpa che avevo sotto il cappotto era diventata tutt'uno con la mia pelle a causa del sudore, sentivo di aver toccato i venti gradi di calore ed eravamo in pieno inverno.

Una macchina mi passò accanto improvvisamente, poco prima che varcassi la soglia del cancello. Era una Mercedes nera e lucida, la quale sostò proprio di fronte all'ingresso della scuola. Tutto ciò che riuscii a vedere prima che arrivai al parcheggio fu una delle portiere posteriori aprirsi, ma non ebbi la possibilità di capire chi stesse uscendo dalla lussuosa automobile.

Poco male, mi dissi. Il mio obiettivo era intrufolarmi in classe cercando di eludere lo sguardo della Margot.

Entrai alla svelta dal portone di vetro principale e mi fiondai sulle scale, continuando a correre mentre i polmoni mi chiedevano di avere pietà di loro. Annaspavo in cerca di aria ma non potevo fermarmi, almeno non quella mattina.

E forse si trattò di uno sbaglio non farlo, o magari di un fortunato scontro, ma andai a sbattere contro un ragazzo che stava scendendo i gradini tranquillamente.

Eravamo precipitati entrambi sul pavimento ed ero finita proprio sopra di lui, il quale aveva esclamato un perplesso che cos...

Avevo colpito la sua fronte con la mia, assestandogli una forte botta. Ero troppo maldestra.

Mi alzai di scatto.

«Mi dispiace!» fu l'unica frase che mi uscì dalla bocca «non era mia intenzione farti...»

Le parole mi morirono in gola. Il ragazzo si sollevò a fatica, massaggiandosi le tempie con un labbro increspato in una smorfia di dolore.

«Non sai che è vietato correre nei corridoi di una struttura scolastica?»

Lo conoscevo. O meglio, ero semplicemente consapevole di chi fosse. Era un compagno della mia classe, ma definirlo con quel termine mi risultava ancora abbastanza impreciso.

Il mio Ricco e Arrogante ScienziatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora