Capitolo XXVI.

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Avevo appena finito l'ora di lezione del professor Xavier e stavo proprio uscendo dal cancello della sua villa, trascinandomi dietro la solita bicicletta con la quale viaggiavo da una parte all'altra del nostro quartiere.

Dovevo ammetterlo: Xavier era un genio con i calcoli, possedeva un'abilità pazzesca e risolveva qualsiasi problema matematico servendosi di pochi minuti. Ma come insegnante era pessimo.

Mi aveva soltanto sgridato dall'inizio della nostra lezione. Quando gli chiedevo di spiegarmi meglio un passaggio perché non lo avevo capito, lui sbuffava e mi riempiva di tante lodi piacevoli da sentire. Per di più, se sbagliavo il risultato di qualche integrale, appoggiava una mano sulla fronte e mi diceva: «di questo passo non riuscirai mai a sopravvivere all'interrogazione. Sei penosa.»

E potevo definirlo ancora buono con i commenti, perché, verso la fine della lezione, aveva cominciato a ripetermi schiettamente: «com'è possibile che non ti esca corretto? Ti ho ripetuto mille volte come devi fare! Sono sicuro che tu non abbia ascoltato nemmeno una parola di quello che ho detto!»

«Ma sei impazzito? Ti ho anche chiesto di rispiegarmi i passaggi!» avevo replicato.

«Allora, evidentemente, hai proprio il cervello di sottomarca. Tipico di una plebea.»

«Vorrei ricordarti che siamo nel 2019 e quel termine non viene più utilizzato...»

Avevo un enorme confusione nella testa, in cui vorticavano le continue frasi infastidite di Xavier. Non ero sicura di voler tornare la sera seguente, visto che lui mi aveva proposto di ripresentarmi nuovamente nel laboratorio data la mia situazione mostruosa e raccapricciante -parole sue!-

Mentre uscivo dal cancello della villa Leblanc, sentii un fruscio fra alcune piante che circondavano la zona. Mi guardai immediatamente attorno.

Vidi una figura muoversi furtivamente fra la vegetazione. Era buio, perciò non ero in grado di identificarla. Ma non ne avevo neppure l'intenzione: saltai in sella e pedalai più veloce che potevo per allontanarmi da lì. Il mio cuore palpitava dalla paura.

Chi poteva essere? Un ladro con l'intento di intrufolarsi nella sua villa? Derubarmi? Oppure, cosa molto probabile, qualche uomo della N.U.A.T. che ci stava osservando? L'ultima volta che avevo avuto l'onore di poterne scorgere qualcuno era stato alla festa di compleanno di Xavier.

Proprio a lui raccontai che cosa fosse successo il giorno dopo, durante la pausa in classe. Cercai di prenderlo in disparte e gli dissi dell'inquietante situazione. Ma l'arrogante pallone gonfiato non sembrava preoccupato, anzi, mi rispose che non aveva notato nessuno aggirarsi attorno alla sua abitazione.

«Inoltre, anche se ci spiano, non è poi un problema» aggiunse. «Dopotutto dovrebbero avere la conferma che noi due... beh, che noi due...» era in difficoltà «siamo una coppia...»

Non riuscii a capire se volesse farmi intendere che stessimo veramente insieme oppure si vergognava semplicemente a parlare di noi in quella maniera dopo tutto quello che era accaduto -opzione probabile-

Io, però, non ero affatto tranquilla. Non mi piaceva avere degli stalker intorno.

Quella sera, quando tornai nuovamente a casa di Xavier per gli esercizi di matematica, ne uscii ancora devastata. Altri rimproveri, altri deliziosi commenti da parte sua... insomma, l'interrogazione sarebbe dovuta andare bene per forza considerando tutti quei numeri su cui mi aveva fatto sgobbare! 

E anche a causa delle sue continue ramanzine. Detestavo quando diceva non capisco perché non ci riesci, io saprei risolvere subito questo semplicissimo esercizio. E invece si trattava quasi sempre di un'equazione lunga un chilometro.

Il mio Ricco e Arrogante ScienziatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora