Seeking Baby Sitter.

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Quando si vive per troppo tempo con il nodo alla gola, la rabbia, i pianti e le urla soffocate, prima o poi ci si stanca e niente a più importanza. E non esiste cosa peggiore di lasciarsi andare come se la vita non riservasse cose belle, perché tanto ormai si è arrivati al limite. Escludere i sentimenti e sostituirli con l’indifferenza o con la rabbia, che è molto più semplice da controllare, è facile. Concedersi di provare sentimenti significa rendersi vulnerabili e chi ha sofferto davvero tanto, preferisce diventare un mostro anziché soffrire ancora. Quando arrivi a sentirti un vuoto interiore che ti priva di ogni emozione, sei davvero fottuto. 

Alle fine del vicolo stretto e buio, un’insegna al neon con su scritto DRAGONS con la luce blu ad intermittenza illuminava leggermente la porta sottostante. 
Aria viziata piena di fumo e alcol invadeva il grande locale, affollato da uomini ubriachi che attendevano quello che era il primo incontro della serata. 
La luce fioca rendeva quasi impossibile esaminare accuratamente i volti presenti nell’ampio e tetro locale. Tutti cominciarono a radunarsi intorno a quello che sarebbe dovuto essere il ring, sul quale a momenti avrebbe dovuto avere inizio l’incontro.
Poggiato con le spalle nude al muro, aspirò un’altra boccata di fumo che presto gli percorse la gola, procurandogli una sensazione di bruciore, fino a riempire i polmoni. Buttò fuori il fumo, mentre sentiva urlare nomi, cifre e insulti che si mischiavano al pesante odore del posto, a cui ormai ci aveva fatto l'abitudine. Era ormai un anno che partecipava a questi incontri clandestini e tutti lo conoscevano. 
"Ragazzo, tra due minuti inizia." La voce roca di Jack, consumata dall’alcol e dal fumo, arrivò alle orecchie del biondo.
"Sono già pronto" rispose secco, buttando ciò che era rimasto della sigaretta a terra per poi pestarla con un piede.
"Abbiamo raccolto una bella somma questa sera, a quanto pare molte persone confidano in te. Quindi fa un buon lavoro, Ashton." La mano ruvida dell’uomo si posò sulla spalla del ragazzo, che annuì senza aggiungere nulla. Si passò una mano tra i capelli ricci, già impregnati dal sudore, avanzando verso il ring. Quando si piegò per salire sul ring, i muscoli della schiena lasciata scoperta si contrassero dando un’idea del perché tutte quelle persone avessero scommesso su di lui. Jack salì sul ring dopo di lui, postandosi al centro e battendo le mani cercando di far cessare il vocio nella grande sala.
"Signori!" La voce roca dell’uomo tuonò forte, facendo cessare il mormorio "Le scommesse sono state fatte e il tempo è finito, tra non molto salirà sul ring l’altro sfidante e il combattimento avrà inizio." Concluse Jack e tra la folla si alzarono vari incitamenti.
Ashton, in un angolo del ring, sembrava indisturbato a tutto ciò che lo stesse circondando. Quando il suo avversario salì sul ring, si allontanò dalle corde nere avvicinandosi al centro. Il ragazzo dai capelli scuri e molto corti, era alto qualche centimetro in più del biondo, che non sembrava affatto toccato dalla differenza d’altezza o dai muscoli in più che sembrava avere l’avversario. Dopo le presentazioni al pubblico, i ragazzi si misero uno di fronte all’altro. Il moro aveva un ghigno stampato sul volto, probabilmente già convinto di avere un combattimento facile. 
Ashton era rigido, le mani strette in due pugni e le spalle così contratte da far risaltare i muscoli lungo le braccia e il torace. Il viso contratto da un profondo cipiglio, la fronte imperlata di sudore su cui ricadeva i ricci biondo cenere scompigliati. Il naso dritto e la mascella definita come sempre contratta, non davano per niente l'aria di uno divertito.
Pochi istanti dopo il via di Jack, il combattimento ebbe inizio.
Come Ashton aveva previsto, Ian, il suo avversario, si comportò da gradasso, agendo in maniera prevedibile. Subito cercò di colpire il biondo, sferrando un pugno che era diretto al viso di Ashton, che però riuscì a schivarlo prontamente con un’agilità sbalorditiva. L’adrenalina cominciò a propagarsi per il corpo, dandogli quella scarica che gli serviva. 
Scaricò un paio di colpi sullo stomaco del moro, mentre con la mano sinistra si copriva il viso. Ian sputò del sangue dalla bocca, ma ormai quelle scene ad Ashton non procuravano nessun emozione. Il moro si alzò e dopo varie imprecazioni contro Ashton, gli si caricò contro ma il biondo gli diede un altro colpo che lo arrestò, portandolo nuovamente in ginocchio. La folla sembrava apprezzare tutta quella violenza mentre urlavano incitamenti e insulti. 
Ashton si fermò a guardare la folla con disgusto. Se solo non ne avesse avuto davvero bisogno, non avrebbe mai fatto nulla che gli facesse guadagnare soldi grazie a luridi ubriaconi che gli ricordavano una persona, facendo aumentare il suo disprezzo nei loro confronti.
Ian si alzò barcollante, con un espressione a dir poco infuriata sul volto e si buttò sul biondo, ancora distratto ad osservare rabbioso la folla, scagliandogli un pugno in pieno volto.
Ashton barcollò di qualche passo, portandosi una mano sullo zigomo destro appena colpito e cercando di pulirsi del sangue colato dalla ferita, mentre osservava attento Ian che ghignava soddisfatto.
"Sei ridicolo" sputò Ashton con disprezzo, per poi emettere una risata amara.
Il ghigno sul volto di Ian scomparve, lasciando spazio ad un espressione irritata. Avanzò furioso verso il biondo, cominciando a sganciare colpi ma mandandone pochi a segno, poiché Ashton riusciva a schivarne la maggior parte. 
L’adrenalina era ancora in circolo, facendo aumentare i battiti del cuore al biondo. Oltre all’adrenalina, adesso nel suo corpo era in circolo anche rabbia. Molta rabbia. Pensò che fosse arrivato il momento di farla finita con questo combattimento. La rabbia aumentava sempre di più e arrivò al culmine quando si girò per dare un ultima occhiata a quei uomini ubriachi e strafatti, portandogli alla mente vecchi ricordi e facendo riaprire vecchie ferite. 
Gli occhi di Ashton persero quel colore verde con contorni dorati, diventando cupi e neri da far venire i brividi. Si avvicinò a Ian, che stava cercando di riprendere fiato perso a causa dei colpi a raffica appena scaricati. Fu un attimo e dopo vari colpi, il moro cadde a terra a peso morto, mentre il suo volto era coperto da una gran quantità di sangue. 
Tra la folla aumentarono le urla, gli insulti e le imprecazioni. Finalmente era tutto finito. Ashton si ripulì il sangue dallo zigomo, che continuava a scendere. Si girò, ignorando gli insulti di chi aveva scommesso contro di lui e scese dal ring, dirigendosi verso Jack.
"Porta i miei soldi, ho fretta." disse rigido, una volta avuto l’uomo di fronte. Jack annuì e senza aggiungere nulla entrò nello stanzino in cui erano state fatte le  scommesse, prese i contanti e tornò dal biondo.
"Hai fatto un bel lavoro." Diede una pacca sulla spalla al ragazzo, per poi scomparire di nuovo nell’oscurità della piccola stanza adiacente a loro.
Erano le tre del mattino. Il cielo tenebroso illuminato  dall’opaca luminosità della luna piena. Le strade vuote e il silenzio spezzato dal calpestio delle sue scarpe sull’asfalto. Portò il filtro della sigaretta ormai consumata alle labbra, aspirandone per l’ultima volta il fumo, poi la gettò a terra e la calpestò. Buttò fuori il fumo e dopo aver lasciato andare un sospiro, aprì il cancelletto del giardino. Vide che la luce della cucina era aperta, il che significava che la madre era ancora sveglia e di conseguenza non sarebbe potuto andare a dormire se non prima avessero discusso. Aprì lentamente la porta, per poi chiuderla alle sue spalle. Tentò di arrivare almeno alle scale senza farsi sentire, ma la voce acuta della madre lo fermò. Chiuse gli occhi, pizzicandosi il ponte del naso e si diresse verso la cucina. Si aspettava di vederla ubriaca, con una bottiglia di qualsiasi bevanda alcolica in mano ma non fu così.
Kirsten, sua madre, era seduta su uno sgabello accanto all’isola della cucina, con il volto tra le mani e gli occhi stanchi. Vedere l’unico genitore che gli era rimasto, distruggersi con le proprie mani lo faceva stare male, ma lui ci aveva provato a farla smettere ma aveva fallito.
"Dove sei stato?" Dopo aver analizzato accuratamente il viso del figlio notando i vari tagli e lividi, Kirsten porse la solita domanda pur sapendo che non avrebbe ottenuto nessuna risposta.
"Non sono affari tuoi. Dov’è Lottie?" rispose brusco Ashton, allontanando le mani della madre dal suo viso. 
"Sei mio figlio! Certo che sono affari miei! Dove sei stato? Dimmelo, ti prego." La voce spezzata dal pianto e i ricci biondi che le cadevano sul viso.
"Sono tuo figlio!?" sputò Ashton, ridendo amaramente "E le ore in cui vai a bere fino a morire, ti dimentichi che sono tuo figlio? Ti dimentichi che ne hai due figli!?" La voce del biondo tuonò forte nella stanza. Il suo viso era rosso dalla rabbia e gli occhi pieni di lacrime.
"Tutta colpa di tuo padre." mormorò sua madre, piegandosi sul ripiano di legno e lasciò andare le lacrime. Ashton avrebbe voluto avvicinarsi a lei, abbracciarla, come faceva quando era piccolo. Dirle che le voleva bene, dopotutto. Ma non lo fece.
"Sono andato a lavoro" disse lanciandogli qualche banconota vicino "Domani fai la spesa, il frigo e vuoto e Lottie deve mangiare." Queste furono le ultime parole del biondo prima che sparisse su per le scale di legno, per poi chiudersi la porta della sua camera alle spalle.
Dopo una doccia fredda, e senza neanche essersi preoccupato di disinfettare le ferite, Ashton si buttò a peso morto sul letto, facendo rilassare ogni muscolo teso del suo corpo. Accese quella che probabilmente era la decima sigaretta del terzo pacchetto del giorno e in pochi minuti la stanza fu ricoperta da una nube grigia di fumo. Mentre il fumo riempiva i suoi polmoni, la sua mente tornò a quella sera, al bowling. Gli occhi azzurri della ragazza erano impressi nella sua mente e le sue labbra piene non riusciva a non pensarle. Le sentiva ancora lì, sulle sue. Pensò ad ogni parola, ogni gesto della ragazza quella sera. Alle sue risate e al suo abbraccio impulsivo, e si addormentò così.
Per la prima volta dopo due anni, si addormentò pensando ad una ragazza che non fosse Kimberly. 

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