Restai rilegata in quella tana puzzolente per il resto della giornata.
Legata ad un piede del letto da Thorgest in persona, e lasciata completamente a me stessa, mi limitai ad osservarmi intorno, in attesa che il fuoco nel camino si spegnesse lentamente, riportandomi nel gelo.
Certe volte mi ritrovai a pensare a suor Mary, e al modo in cui i suoi occhi si erano spenti, mentre, velocemente, la vita veniva strappata dal suo corpo. Ero stata io a rubargliela, e di questo peccato portavo ancora i segni sul mio corpo.
La vecchia arpia si era difesa.
Sentivo dei tagli sul mio viso, sicuramente non auto inflitti, e il mio casto vestito era strappato su più punti, là dove la donna aveva cercato di difendersi, spingendomi via.
Non ce l'avrebbe mai fatta: le sue ossa si erano sgretolate come farina sotto il colpo del crocefisso e le sue membra dissolte nel rosso. Uccidere era più facile di quanto pensassi; il dopo, invece, era ciò a cui non ero pronta.
Credevo sarebbe stato meglio, molto meglio: avrei dovuto immaginare che ci sarebbe stata una punizione per le mie azioni. Ed ora ero giunta nell'inferno, e il mio carceriere mi voleva morta.
Sospirai, passandomi le mani sul volto, cercando di calmarmi. Ero rimasta seduta su quel nudo pavimento per ore, vicino a quell'orrenda pelliccia di orso, carica di tanfo di sudore.
La camera da letto di Kåre era carica di nera inquietudine data dai trofei di teste di animali impagliati appese alle pareti insieme a diverse armi lasciate, quasi con malavoglia, in una grande cassa di legno. Notai che alcune di queste erano sporche di sangue secco.
Se resta, muore.
Per un momento, pensai a quale di quelle armi avrebbe usato per uccidermi non appena capito che suo fratello, invece che liberarlo dal mio impiccio, mi aveva legato al suo letto. Probabilmente, avrebbe riservato un colpo anche per lui, anche se non avrebbe mai avuto il coraggio di sferzarlo: sicuramente, Kåre non sembrava il genere di persona che rischia l'anarchia per vendicarsi del fratello.
Alla fine, però, il momento della verità arrivò, e lo fece sotto forma di un forte colpo di porta e una manciata di passi pesanti.
Kåre, rivestito di tutto punto con tanto di pelliccia nera sulle spalle, entrò in casa sua, lasciando un sacco gocciolante di sangue sul tavolo. Rabbrividii, ma restai in silenzio, quasi bastasse questo per non farmi vedere.
Ma il vichingo aveva a già posato il suo sguardo su di me, e il malumore era più che palpabile. Lo sentivo scorrere nelle mie vene, raggelandomi il sangue.
«Quindi, mio fratello ha deciso che devi morire,» commentò, semplicemente, togliendosi dalle spalle la pesante pelliccia, lasciandola sul divano di paglia e stoffa. «Ammetto di esserne sorpreso.»
Si avvicinò con cautela, fermandosi proprio vicino alla cassa delle armi, allungando con prontezza la mano e afferrando una piccola ascia col manico di legno. La osservò con cura, facendomi pesare ogni secondo, certa che fosse l'ultimo. E lo vedevo, il divertimento nei suoi occhi, crudele e sadico.
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An Dubh Linn
Historical FictionAnno 844; la città di Dublino sta lentamente prendendo vita, sorgendo dalle ceneri lasciate dal gruppo di vichinghi guidati dall'intransigente Thorgest. Dopo una sola manciata di anni, la conquista è ormai al termine, e Thorgest si appresta a compie...