Continuavo ad osservare attonita lo stralcio scuro di tessuto ai miei piedi, ormai abbandonato al niente che era la sua inutilità.
Sfiorai il mio collo e subito avvertii la curva dolorosa del laccio che avevo stretto sulla mia pelle, insieme alla bruciante spina del dolore sulla mia pelle. Gemetti, sofferente, e poi sospirai, sbattendo più volte le palpebre per cercare di calmarmi.
Nella mia piccola abitazione era sparito il freddo: il mio corpo era avvolto dalla pelliccia d'orso e, comunque, il fuoco scoppiettava allegro nella brace con una fastidiosa allegria.
Credevo che non avrei mai più sentito il calore, credevo fosse tutto finito.
Qualcuno doveva odiarmi.
Un tichettino mi avvertì che la tavola era finalmente pronta per la cena e, in uno sprazzo di confusione, piegai il mio sguardo verso il giovane uomo in piedi vicino al banco in legno, di nuovo in piedi.
Senne mescolava tranquillo il brodo di pane e maiale nella piccola pentola di coccio, ignorandomi come al solito. Aveva abbandonato il suo mantello sui miei piedi e, per la prima volta, riuscivo a scorgere il suo corpo longilineo, quasi infantile, sotto le vesti sporche di terra e fango.
La sua altezza gli impediva di stare perfettamente dritto nelle parti in cui il soffitto cedeva al peso del tetto e si inclinava verso il basso, ma, nonostante la posizione scomoda, Senne riusciva a non perdere la tetra aria di distacco e riserbo che gli dipindeva il viso. Capelli biondi, occhi di un indifenito azzurro e il viso affilato solido nelle sue certezze: in altre vesti e in altre situazioni, probabilmente lo avrei scambiato per un principe.
Forse anche più dello stesso Kåre, a cui mancava quella raffinetazza e controllo dei sovrani delle favole cristiane, ma che forse nemmeno era richiesta a quelli pagani.
"Non ho fame," avvertii, ritrovandomi subito dopo a tossire per il senso di dolore all'interno del mio collo, quasi vi avessi qualcosa di incastrato. Probabilmente, la stretta della corda aveva causato qualche ferita, e, il solo parlare, portava alla luce tutto il dolore dormiente.
Senne alzò lo sguardo per un solo istante, guardandomi torvo e senza particolare interesse. Versò due mestoli di brodo in ogni piatto e, semplicemente, me ne porse uno.
"Ho detto che-" tossii, bloccandomi, e subito Senne mi prese la spalla, tirandomi a sedere e picchiandomi con leggerezza sulla schiena. Sputai sangue sulle mie mani, ma, subito dopo, gli spasmi finirono e tornai a respirare.
"Mangia lentamente," ordinò, posandomi il piatto sulle gambe, tornandosi poi a sedere - questa volta, però, aveva scelto un'altra sedia, così da potermi guardare in volto e non darmi le spalle.
Gli lanciai uno sguardo currucciato, prendendo poi il piatto e iniziando a bere - ogni singolo sorso era una piccola tortura, eppure non dissi nulla, non volendogli dare la soddisfazione.
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An Dubh Linn
Historical FictionAnno 844; la città di Dublino sta lentamente prendendo vita, sorgendo dalle ceneri lasciate dal gruppo di vichinghi guidati dall'intransigente Thorgest. Dopo una sola manciata di anni, la conquista è ormai al termine, e Thorgest si appresta a compie...