38 • l'inizio della fine

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L'esercito di Màel era venuto dal bosco

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L'esercito di Màel era venuto dal bosco. I suoi uomini correvano intorno alla nostra abitazione senza davvero toccarla, quasi non vedendola: il loro obiettivo era il re, ed era lì che si stavano dirigendo.

«Voglio venire anche io,» decisi, mentre Senne si rivestiva delle sue armi.

«Non è sicuro,» ribatté lui, gettando un bicchiere d'acqua sul fuoco. Mi venne incontro, svelto, e mi prese per le spalle, costringendomi ad ascoltarlo. «Non accendere il fuoco, sbarra la porta con ciò che puoi. Proverò a parlare con Màel, ma non sono certo che tornerò.»

«Senne,» provai ad interromperlo, ma lui mi zittì.

«Se non dovessi farlo, tu scappa. Scappa finché puoi e non tornare indietro. Cambia nome e fingiti una concittadina della fazione vincitrice: qualcuno, prima o poi, ti aiuterà.»

Il ragazzo mi accarezzò i capelli, tentennando per un istante. Sembrava volesse piangere. «Trovarti è stata la mia fortuna, Nice.»

Mi baciò la fronte, restandovi impigliato per qualche istante. «Promettimi che sopravviverai.»

Strinsi i denti, mal sopportando il peso di quel momento. «Anche tu sopravviverai, Senne.»

Lui non volle ascoltare. «Promettimelo

«Va bene,» dissi, sfinita: «lo prometto.»

Più calmo, Senne afferrò la sua ascia e corse via, pronto ad uccidere qualche invasore nemico. Lui, che non era affatto ciò che reputavo un soldato.

L'esercito nemico sembrava aver finalmente placato la sua cavalcata - gli unici rumori erano lontani e ovattati - e, per dieci brevi secondi, quasi provai noia. Che cosa stavo facendo? Perché me ne stavo rinchiusa fra quelle quattro pareti mentre gli altri morivano?

Se Kåre fosse morto non gli avrei mai potuto dire addio.

Presi un respiro, calma, e ricordai la mia promessa - Senne mi avrebbe ucciso se fossi scappata, e temo che nemmeno la sua gentilezza mi avrebbe protetto.

Solo, non potevo non farlo.
Così, iniziai a correre.

La disperazione del momento mi fu chiara sin da subito: morte, feriti, le urla e i rumori di armi in movimento.

Le mie scarpe erano pregne di sangue e sporco, ma nemmeno quello fu sufficiente per fermarmi. Al contrario di ciò che vidi una volta entrata nella sala del trono.

Inizialmente, mi stupii la calma. Nessuno era presente, nemmeno gli invasori, ma non per questo potevo dirmi sola.

«Santo cielo,» gemetti, sconvolta, portandomi subito le mani alla bocca. Al centro della stanza, steso supino sul terreno, un piccolo corpo giaceva in una pozza di vomito e sangue.

I lunghi capelli neri, ormai un nido di rovi, le incorniciavano il viso come una corona.

«Corvi?»

An Dubh LinnDove le storie prendono vita. Scoprilo ora