05 • cuore nero

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La sala comune nella grande abitazione di Thorgest e Corvi era molto più simile a quelle del monastero di quanto pensassi.

C'erano due troni di ossa animali sul fondo della sala rettangola, quasi come l'altare del nostro pastore, mentre un lungo tavolo era stato posto al centro, rassomigliante agli scranni del refettorio: se fossi riuscita a convincermi che le ragazze che ci servivano fossero solo delle cameriere e non le schiave di qualche bruto vichingo, probabilmente sarei quasi riuscita a sentirmi a mio agio, in un modo o nell'altro.

Era molto più difficile di quanto avessi pensato.

Kåre, al mio fianco, spezzò la coscia da un pollo posto al centro del tavolo, e il suono delle ossa lacerate risuonò fra le mie orecchie facendomi rabbrividire.

"Màel Sechnaill e i suoi uomini stanno cercando di conquistare i nostri territori ad est," iniziò Thorgest, rivolgendosi al fratello, che continuava a tenere lo sguardo fisso sul suo piatto, mangiando in quieto silenzio.

Corvi, dal fianco del marito, mi fece segno di mangiare, ed io, di rimando, cercai di deglutire una foglia di lattuga: non proprio insolitamente, ero l'unica a mangiare con la forchetta.

"Credo che dovremo provare un nuovo attacco, prima che loro riescano a convincere le popolazioni a passare sotto il loro dominio," continuò il re del Dyflin, rigoroso. "A loro non interessa formare un governo, solo distruggere il nostro."

"E allora non permetter loro di distruggerci," concluse Kåre, senza troppa emozione. "Ci siamo appena battuti con l'esercito di Màel e abbiamo vinto, quindi non capisco le tue incertezze."

"Perché non c'è solo Màel che non ci vuole qui, Kåre, ma anche tutti i finti sovrani delle province più piccole," esclamò, e notai che i suoi occhi si stavano facendo più scuri, rabbiosi. "Dovrai andare ad est."

Kåre fece cadere l'osso spolpato nel piatto, e, finalmente, degnò della sua completa attenzione il fratello, sfidandolo con una prepotenza che io ero certa non essere così conveniente al momento.

"Ad est?" Ripeté, con una nota di disappunto. Un attimo dopo, Kåre si era già rialzato in piedi e aveva sbattuto le mani sul tavolo, facendomi sobbalzare per la paura. "Io sono stanco, Thorgest: hai già ogni cosa tu possa desiderare, perché non puoi fermarti?"

"Ogni cosa?" Domandò il re, quasi mettendosi a ridere. "Noi non abbiamo nulla, Kåre. Poche terre, soldati scontenti e un impero che non vuole costruirsi: tu mi dici che dovrei fermarmi, io ti rispondo che dovremo combattere."

Thorgest strappò la gamba di un coniglio, prendendone poi un morso, impregnandosi di grasso e olio. Corvi, intanto, faceva finta di nulla, se pur anche lei colpita dalla tensione del momento: avevo paura, però, che non fosse uno spettacolo così nuovo per lei.

Probabilmente, avrei dovuto abitarmici.

"Andrai ad est," concluse, in un borbottio sconnesso e uno sguardo che non ammetteva repliche. "E partirai domani."

Kåre restò in silenzio, ed io, al suo fianco, percepii fisicamente la sua tensione e la sua delusione pungermi la pelle come centinaia di spille. Se questa era solo un'ombra del suo sentimento, non immaginavo cosa dovesse provare dentro di sé.

Alla fine, si sciolse come un fiume di lava incandescente: liquido, ma pur sempre infuocato e – soprattutto – mortale.

"Come desideri, fratello."

Spinse la sedia a terra con troppa delicatezza e, senza nemmeno posare lo sguardo, mi prese la mano, trascinandomi dietro di lui come un animaletto da compagnia. Kåre quasi correva, furente di rabbia, mentre io, con le mie gambe corte e sottili, riuscivo a malapena a stare in piedi.

An Dubh LinnDove le storie prendono vita. Scoprilo ora