Jennifer si era persa, come al solito: ogni qual volta provassimo a giocare a nascondino nel bosco lei finiva per sparire per ore.
Gli altri bambini si erano già stancati, ma io no: avevo otto anni, ero la più grande, e non potevo permettermi di perdere qualcuno.
Suor Mary me l'avrebbe fatta pagare.
«Jennifer!» Urlai. Già sentivo le frustate. «Jennif-»
«Bea.»
Fermai i miei passi, seguendo la flebile vocina: dietro alcuni alberi, riconobbi il profilo infantile della bambina dalle trecce bionde.
«Jennifer, finalmente!» La rimproverai, avvicinandomi a lei a passo svelto. «Ti ho cercato ovun-»
Persi il fiato, e quasi caddi a terra. Jennifer, al mio fianco, mi lanciò uno sguardo triste. «Non sa parlare.»
Davanti a noi, il corpo smembrato di una donna giaceva fra le foglie: non aveva un volto, non aveva una gamba. Sembrava che fosse stata aggredita da un animale, come un orso, ma ciò che davvero sconvolgeva era il bambino dai capelli biondi sporchi di sangue, ancora abbracciato a lei.
Piangeva ma non parlava, né chiedeva aiuto. Però, i suoi occhi, blu come la tempesta, ci fissavano come se volesse urlare.
«Dovremo chiamare qualcuno,» disse Jennifer, tentennante. «Non possiamo lasciarlo qui.»
Provai a pensare velocemente.
«Come ti chiama?» Chiesi, ma lui, ovviamente, non rispose. Questo mi fece sbuffare.
Feci qualche passo, scendendo nella piccola buca in cui i due sembravano esserci nascosti, e finsi di non sentire il fetore del corpo della donna quando mi chinai al suo fianco. Respirai tre volte prima di prendere la sua mano, e riconoscere del sangue sulla mia.
«Il mio nome è Berenice, abito al monastero,» informai. «Posso aiutarti.»
Il bambino mi fisso intensamente, come se avesse due lame al posto degli occhi. Quasi mi fece male.
Poi, scosse il volto. «Sàmr.»
Non lo capii, ma non ne ebbi nemmeno il tempo.
«Misericordia celeste!»
Suor June quasi non perse la testa quando mi riconobbe vicino al corpo. Esile come era, mi sorprendevo che non fosse morta sul colpo vedendomi sporca di sangue vicino ad un cadavere.
«Berenice, cosa stai facendo? Vieni via!» Urlò, paonazza, senza avvicinarsi.
«Non posso, suor June,» ribadii. «Devo aiutarlo.»
La suora sbatté le palpebre, concentrandosi per riuscire ad intravedere il bambino al mio fianco. Questo la fece sbiancare ulteriormente.
«Oh, signore. Oh, signore. E lui chi sarebbe?»
Strinsi le labbra, e poi guardai il bambino, rendendomi conto che, però, lui era tornato ad abbracciare la mano, ignorandomi.
Un giorno, tempo prima, suor Mary aveva detto che tutti quelli che parlavano una lingua straniera e non portavano una croce erano nostri nemici.
Lei li chiamava pagani, e Dio aveva ordinato di uccidermi.
Quei due non parlavano l'inglese e non vedevo croci fra i loro vestiti: erano forse nemici di Dio?
«Ha detto che si chiama Alexander.» Mi alzai, osservando con sicurezza la donna negli occhi. «Volevano raggiungere il monastero ma madre è stata aggredita da un animale. Dovremo portarlo a casa.»
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An Dubh Linn
Historical FictionAnno 844; la città di Dublino sta lentamente prendendo vita, sorgendo dalle ceneri lasciate dal gruppo di vichinghi guidati dall'intransigente Thorgest. Dopo una sola manciata di anni, la conquista è ormai al termine, e Thorgest si appresta a compie...