06 • labbra cucite

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Kåre non si risparmiò nemmeno quella volta.

Aveva deciso di viaggiare leggero, probabilmente prospettandosi un lungo cammino, e, proprio per questo, sia lui che i suoi uomini avevano scelto i cavalli per tentare di vincere la fatica. Io, invece, credevo sarei stata rilegata come una delle tante merci – legata e poi costretta a camminare al seguito dei cavalli fra i loro escrementi – ma, ovviamente, a Kåre questo non bastava.

Aveva deciso di portare, come dono di pace per il suo rivale, quattro maiali, ed io, come se fossi una di loro, ero stata costretta a viaggiare nella loro gabbia su ruote. Fieno, sporco, escrementi, brodaglia e aria putrida: secondo il vichingo - ed i suoi amici, che, di tanto in tanto, mi passavano vicino ridendo senza ritegno – era esattamente quello il posto per una cristiana.

La gabbia era bassa, se pur sufficientemente larga, ed io mi tenevo piegata in un piccolo angolo mentre i maiali mi giravano intorno, leccandomi le gambe di tanto in tanto. Per fortuna, dopo poco, la puzza e la stanchezza avevano iniziato a fare il loro corso, dandomi completamente alla testa e facendomi perdere la cognizione del tempo.

Non riuscivo a pensare, appena respiravo, e passavo i miei secondi ad osservare gli steli d'erba schiacciati dalle ruote del carro. Vivendo in questo modo, prima o poi, tutti si perderebbero.

"Cristiana."

Qualcosa colpì la gabbia sopra la mia testa, emettendo un suono ruvido che fece guaire i maiali. Mi costrinsi a spostare lo sguardo, notando che Kåre, sul suo bel cavallo nero, mi osservava dall'alto. Nemmeno mi ero accorta che fosse notte, o che ci fossimo fermati, ma, a notare bene, sembrava che fossimo arrivati in un villaggio.

Altri vichinghi.

"Siamo arrivati?" Chiesi, notando che, stranamente, non vi era nessun'altro se non gli uomini di Kåre. Questo, scese da cavallo, avvicinandosi a me e sciogliendo le catene della mia prigione.

"Ci stanno aspettando," rispose, aspramente. "Sono a cena."

Non fiatai, continuando a restare immobile e con le braccia saldamente legate alle gambe. Non volevo scendere, non volevo tornare alla realtà: non vivere era meglio di quell'incubo.

"Devi scendere," rimarcò lui, notando il mio tentennamento.

Lo guardai, osservando il suo volto illuminato dalle decine di torce appiccate per il villaggio. Lui sembrava un demone, ed i suoi occhi il fondo dell'inferno.

Kåre sospirò, infastidito, e, nonostante il suo tentativo di restare calmo, vidi le sue nocche impallidirsi contro i suoi fianchi. "Nice, muoviti."

E così obbedii, scivolando fuori dalla gabbia e trattenendo un gemito non appena sentii le mie gambe gemere per il dolore. Era passata almeno mezza giornata dall'ultima volta in cui avevano sostenuto il peso del mio corpo, ed ora non ero così certa che sarei riuscita a camminare normalmente. Per fortuna, Kåre ovviò il problema legandomi le mani con una corda spessa, tanto per dare ai suoi colleghi vichinghi un ulteriore motivo di scherno.

"Muoviamoci," ordinò, infine, una volta strette le mie mani in una delle sue, tirandomi dietro di sé come un animale da soma. I suoi uomini, comunque, non si fecero troppi problemi, seguendolo a passo svelto verso una grande struttura di legno, paglia e terra da cui proveniva la maggior parte della luce.

Kåre entrò con sicurezza, non preoccupandosi nemmeno quando decine e decine di occhi si posarono su di lui e il vociare dell'intera stanza si arrese alla sua presenza. Eravamo in una mensa comune, simile a quella in cui avevamo cenato il giorno prima insieme a Corvi e Thorgest, se pur decisamente più popolata. Sullo sfondo, nel tavolo regale, seduto su un trono di ossa, mangiava languidamente un giovane uomo dalla testa rasata.

Kåre camminò velocemente verso di lui, non distogliendo nemmeno per una volta lo sguardo dal suo rivale e, per mia sfortuna, non lasciò nemmeno me, costringendomi a seguirlo proprio davanti al signore della città, che subito lo accolse con parole nella loro lingua natia.

Kåre e Màel continuarono a parlare in toni pesanti, come se, dietro alle classiche frasi di accoglienza, si nascondesse un desiderio molto più macabro e violento, che, per loro sfortuna, non poteva però essere mostrato. Comunque, era palese che Kåre non fosse felice di trovarsi lì, e che, invece, Màel ne fosse piacevolmente soddisfatto, se pur per un motivo losco.

Era davvero difficile star dietro a tutte le loro sfumature di sguardi e freddezze, e, alla fine, decisi di arrendermi al fatto che non sarei mai riuscita a scoprire i loro segreti, iniziando a guardarmi intorno. Inizialmente, il richiamo del mio stomaco mi portò a soffermarmi sulla tavola imbandita, ma, non appena riconobbi carne di maiale, un conato di vomito mi costrinse a cambiare i miei piani. Cercai quindi di studiare Màel, ma, oltre al notare la tinta smeraldina delle sue iridi e la lunga treccia nera che pendeva dal suo capo, decisi di non indagare oltre, così da non risultare troppo impertinente.

Andai ancora oltre, alle sue spalle, e qui mi ritrovai senza parole. In un povero abito verde e con i capelli legati in diverse trecce, una giovane ragazza teneva lo sguardo ceruleo su di me, non osando distoglierlo nemmeno quando ne me ne accorsi. Ma, in realtà, non erano i suoi occhi il problema, ma le sue labbra: qualcuno gliele aveva cucite.

Deglutii, sconcertata da quella visione, e distolsi lo sguardo, facendo un piccolo passo sulla mia destra, così da nascondermi meglio alle spalle di Kåre. Al momento, avrei davvero voluto sparire.

"Cristiana?" In silenzio, sussultai, sentendo l'irlandese masticato di Màel pronunciato dalle sue labbra piene. Sembrò vedermi per la prima volta, e il sorriso che fece dopo non mi piacque per niente: sembrava un animale feroce pronto a sferrare il primo morso.

Kåre continuò nel suo discorso, e riconobbi il nome del fratello: forse stava raccontando la mia storia? Non ero certa Kåre fosse così interessato a me e, intanto, Màel non mi distoglieva gli occhi di dosso.

"Una schiava davvero graziosa," commentò, alla fine, e sorrise falsamente, mostrando tutti i denti anneriti. "Puzza come un maiale."

Màel si voltò, e trattenni il fiato quando notai che lo fece proprio nella direzione della ragazza dalle labbra cucite. "Questa è Astrid, Kåre, e, come puoi notare, non mi fido affatto di lei."

Astrid non si scompose, e non sembrò nemmeno offesa dal commento di Màel: semplicemente restò immobile, risolutamente servizievole.

"Sono certo che ora non oserà più tradirti," commentò Kåre, se pur il suo interesse era totalmente vaneggiante.

"Astrid, ti andrebbe di occuparti della nostra piccola cristiana? Detesto l'odore di escrementi a tavola."

Màel sorrise alla ragazza, squadrandola dall'alto in basso con un disprezzo misto ad una nota macabra di possessione. "Avanti, su."

Astrid piegò il capo, cortese, e poi alzò i suoi occhi su di me, quasi ad incitarmi a seguirla. Io, di rimando, mi voltai verso Kåre, che già mi stava osservando.

"Vai," disse, ma non lo voleva affatto. E se Kåre non si fidava, come potevo io?

In ogni caso, non avevo scelta: chinai il capo, educata, e, quando Kåre sciolse le corde, mi apprestai alla nuova tortura.

Angolo

Buongiorno a tutti!

Nuovo capitolo, finalmente nuovo: siamo alla corte di Màel - davvero molto simpy - e presto conosceremo qualcosa in più della sua schiava :)

Vi prospettate qualcosa di male? Forse fate bene 😂

Spero che il capitolo vi sia piaciuto e di sapere cosa ne pensante :)

A presto,
Giulia

An Dubh LinnDove le storie prendono vita. Scoprilo ora