26 • potremo andarcene

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Senne rappresentava un piccolo angolo di quiete in mezzo alle fiamme

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Senne rappresentava un piccolo angolo di quiete in mezzo alle fiamme. Lì, nella vecchia cascina nel bosco – e con lui – sembrava che nessuno dei miei problemi potesse raggiungermi.

Ma questa era una finzione: quattro mura non possono proteggerti da ciò che hai dentro.

Solo per quel giorno, però, scelsi di mentire.

Sfiorai la maniglia fredda della porta in legno già con un sorriso sulle labbra. All'esterno, la neve aveva iniziato a sciogliersi ed un tiepido sole aveva scaldato i miei passi nel viaggio di ritorno.

Sembrava quasi una presa in giro – quel cielo sereno – visto ciò che avevo appena vissuto: Kåre non mi aveva fermato, né seguito. Lui aveva fatto ciò che faceva sempre: mi aveva lasciato andare, forse non ritenendomi abbastanza importante per anche solo pensare di sfidare una delle tante norme della sua cultura. Gli aveva detto la verità – avevo detto di amarlo – e Kåre era rimasto impassibile.

Non era certo la risposta che mi aspettavo anche se, in realtà, non potevo dirmi sorpresa.

Restavo niente, per lui.

"Senne?" Sbucai all'interno, e, immediatamente, il mio sorriso raggelò sulle mie labbra. "Senne."

Il ragazzo era piegato in due sul pavimento duro, e si teneva dolorosamente il braccio sinistro teso davanti a sé, in modo dal raddrizzarlo dalla piega innaturale in cui sembrava costretto. Aveva la fronte sudata e la camicia squarciata su più punti e coperta di sangue.

In un istante, lo vidi sotto le fauci aguzze dell'orsa che aveva ucciso sua madre.

"Non ti avvicinare," blaterò in un sussurro, bloccando i miei passi.

Lo guardai senza capire – impotente – e desiderai di avere delle risposte. Invece, restai in silenzio mentre Senne, con mosse esperte, raddrizzava le sue ossa sotto fra le urla di dolore.

Alla fine, gemette, lasciandosi andare contro il muro.

Lentamente, mi ripresi, e, con passi lenti, aggirai le orme di sangue e il suo mantello infangato, e presi la brocca dell'acqua e un telo pulito, così da tornare da lui e sedermi al suo fianco.

Senne nemmeno mi guardò, ma mi permise in silenzio di sbottonare la sua casacca e spezzarla nel mezzo, così da riuscire più facilmente a sfilargliela. Il suo petto era pallido e segnato da anni e anni di vita nei boschi – ferite, tagli, bruciature: il suo corpo era un telo di sangue.

Ingoiai il disagio e l'angoscia e, con leggerezza, inumidii il panno, portandolo poi al suo braccio. Sembrava rotto, e, anche se provò a trattenersi, a Senne sfuggì un gemito spezzato quando glielo toccai.

Per fortuna, il fuoco era accesso, così che il calore potesse aiutarlo a rilassare la muscolatura tesa.

"So che forse non è il caso," dissi, tenendo lo sguardo basso: "ma vorrei davvero sapere cosa è successo."

An Dubh LinnDove le storie prendono vita. Scoprilo ora