"Hai fatto bruciare i pop-corn!" sbraitò Chiara, scuotendo la ciotola fumante, ricoperta di piccoli, rinsecchiti e ormai carbonizzati chicchi di mais.
Le lanciai un'occhiata atona, prima di ritornar a prestare attenzione alla televisione di fronte a me, e mi accoccolai meglio nel mio plaid, stringendo Liv tra le mie braccia e inspirando a pieni polmoni l'odore di vaniglia del suo collo.
Sentii Chiara sospirare alle mie spalle e, dopo aver poggiato distrattamente la ciotola sul tavolo in legno, si affrettò a raggiungerci sul divano, tirandosi gran parte del plaid dalla sua parte e beccandosi , in risposta, una mia occhiata ammonitrice.
Così, scomodissime su quel divano troppo stretto per le nostre gambe lunghe e per l'irrequietezza di Liv, ci stringemmo maggiormente tra noi, alla ricerca di quel calore che il plaid, troppo corto, non riusciva a garantire ai nostri corpi premuti tra loro.
"Sposta la gamba, il tuo ginocchio mi sta comprimendo lo stomaco!" borbottai, e fui costretta a posizionarmi su un fianco per riuscire a far stare tutte e tre sul divano.
"Liv, tesoro, puoi smetterla di scalciare? Fai entrare tutta l'aria fredda sotto la coperta" intervenne Chiara, bloccando con le mani le gambe perennemente in movimento di sua figlia.
In tutta risposta, Liv ci mostrò la sua lingua e scoppiò a ridere di gusto nel sentirmi lanciare un urlo quando Chiara, alla ricerca di calore, avvicinò i suoi piedi scalzi e freddolosi ai miei.
"Se non ti stai ferma ti butto giù dal letto" ringhiai e vidi Chiara trattenere a stento un sorriso, per poi allargare le braccia e stringere, sia me che Liv, in un abbraccio che comprimeva le costole a tal punto da togliermi il fiato.
Forse, erano proprio gli abbracci più sentiti a fare più bene al cuore.
"Ali" mi richiamò Chiara, ed i suoi occhi scuri tornarono cupi e preoccupati come raramente capitava.
Sapevo già dove voleva andare a parare.
Erano passati tre giorni da quella fatidica nottata all'Heaven, ed ero riuscita ad evitare per settantadue ore l'intenso terzo grado al quale Chiara avrebbe voluto sottopormi.
Non avevo raccontato a nessuno quello che quella sera avevo visto e subito, mi ero rinchiusa in un mutismo selettivo dal quale non c'era via d'uscita e il cui motivo sarebbe rimasto per sempre celato nel mio petto.
Se non ne avessi parlato con nessuno, quelle immagini sarebbero state meno reali, e il dolore un po' meno soffocante.
"Stai evitando Noah da giorni, cos'è successo? Ti ha fatto qualcosa?" domandò in apprensione, afferrandomi il polso, e la vidi stringere le labbra piene in una linea severa.
Nell'udire il suo nome mi ritrovai a trattenere il respiro e d'istinto puntai il mio sguardo sul soffitto, lontano da quello di Chiara.
"Non mi ha fatto niente" replicai, deglutendo a fatica "Ho solo bisogno di tornare a Londra"
"Non ti piace qui?"
Chiara era un avvocato, sapeva nascondere alla perfezione i suoi sentimenti, eppure mi resi conto all'istante di averla ferita.
"Potrei rimanere per sempre con te, Liv e Seth" risposi, addolcendo il tono della voce e lasciando un bacio tra i boccoli chiari di mia nipote "Ma non è l'America la mia casa"
"La tua casa siamo noi, Ali" continuò imperterrita Chiara e sospirai di fronte alla sua testardaggine.
"E' vero, ma il mio posto non è qui. E non voglio affezionarmi a Gareth, Dylan e Clarisse per poi non vederli mai più. Preferisco troncare i rapporti adesso, piuttosto che sentire la loro mancanza tra una settimana, quando saremo separati non solo dalla lontananza, ma anche dal fuso orario" bisbigliai, ignorando lo sguardo rovente di Chiara su ogni centimetro della mia pelle.
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Countdown || Noah Centineo
FanfictionÈ la vigilia di Capodanno e Alice non la passerà, come da tradizione, nella sua Inghilterra, ma in America, dove l'autista si trova a destra, e non a sinistra, si guida dalla parte sbagliata della strada e le temperature sono talmente basse da far i...