Capitolo 29. Cervello

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"Ha preso una bella botta"
"Chissà quanti bicchieri avrà bevuto per ridursi così"
"Le è già spuntato il bernoccolo sulla fronte"

Le tempie mi pulsavano incontrollate, mentre le orecchie fischiavano ad ogni suono che cercava di interporsi tra me ed il mio stato di incoscienza che mi aveva fatto completamente dimenticare, momentaneamente, della presenza di altre persone.

Avevo caldo, percepivo la mia fronte imperlata di sudore e sovrastata dal tocco delicato e familiare di una mano liscia, accompagnata dalla confortante brezza fresca di quella sera, un vero toccasana per la mia pelle accaldata.

"Alice"
"Mh-mh"

Continuavo a mantenere le palpebre serrate, mentre allungavo i muscoli delle gambe per uscire da quello stato di torpore.

"Riesci a sentirmi?"
"Mh-mh"

"Che posso farci" riuscii a distinguere la voce sfacciata di William tra i borbottii generali "È letteralmente caduta ai miei piedi"

Continuando a tenere gli occhi chiusi, alzai un braccio, quel tanto che bastava per assicurarmi di aver attirato l'attenzione generale, e mostrai il dito medio, scaturendo le risate di alcuni, e l'indignazione di altri.

"Ha avuto un calo di pressione, adesso si sta riprendendo. Qualcuno può portarle dell'acqua?"
Sollevai una palpebra e riuscii a identificare mio padre inginocchiato al mio fianco, intento a posizionare lo sfigmomanometro nella sua valigetta in pelle.

"Come ti senti, tesoro?" papà mi aiutò a sollevarmi con il busto e fece segno alle persone intorno a noi di allargarsi, per permettermi di prendere aria.

"Un po' stordita. Perché mi fa male la spalla?" domandai, massaggiandomi il braccio indolenzito, mentre tentavo di rimettermi seduta sull'erba umida.
"Hai perso i sensi e sei caduta a terra con il lato sinistro del corpo" rispose lui, passandomi una mano sulla fronte.

Percepivo un fitto formicolio lungo le gambe e, per alcuni interminabili istanti, cercai di scavare nella mia memoria per ricordare il motivo di quel mancamento.
"Tranquilla, sembra acqua, ma è vodka liscia" ammiccò William, porgendomi sfacciato un bicchiere colmo di un liquido trasparente, inodore e incolore.

Papà soppresse una risata, mentre io mi limitavo ad annusarne il contenuto, scettica.
"È acqua, Alice"
"Tu vuoi uccidermi" lo accusai, melodrammatica, facendolo sbuffare.
"Non credo che questa sia una novità" ammise atono e, questa volta, gli concessi un sorriso e, spinta dalla mia gola secca e dal mio corpo disidratato, bevvi a grandi sorsi il bicchiere d'acqua, fino a quando le mie orecchie non udirono la sua voce, ed i miei muscoli parvero irrigidirsi, colpiti da una paralisi sia psicologica che fisica.

"Andy, come sta tua figlia? Posso aiutarti in qualche modo?"
"Oh, no Frank, grazie! Alice ha solamente avuto un calo di pressione, probabilmente dovuto allo sbalzo di temperatura tra la macchina ed il cortile" spiegò papà, sinceramente grato per la vicinanza di quell'uomo.
Quello stesso uomo che, appena un mese prima, mi aveva costretta a sentirmi umiliata, a vergognarmi e a pentirmi di essere donna.
Mi ero ripromessa che mai più nessuno mi avrebbe fatta sentire in quel modo.
Non avrei dato a nessuno il potere di farmi pentire di essere nata donna.

Mi irrigidii all'istante quando quell'americano posò i suoi occhi piccoli ed incavati su di me, un sorriso subdolo che nascondeva un passato in comune era dipinto sulle sue labbra.
Quando mi porse una mano per presentarsi, sfacciato com'era, la rifiutai, e decisi di alzarmi dall'erba facendomi forza solamente sulle mie stesse gambe.

"Alice, non fare la maleducata" mi ammonì mamma, lanciandomi un'occhiata contrariata.
"No, non preoccuparti Bianca, vostra figlia mi piace, ha carattere" continuò Frank, inclinando il capo e squadrandomi senza alcun pudore.

Countdown || Noah CentineoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora