Capitolo 19. La porta rossa

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Il Brooklyn Museum era gremito di persone perfettamente a loro agio nei loro abiti formali e distinti.
Nonostante si trattasse di una semplice mostra fotografica organizzata dal College, essa rappresentava un vero e proprio trampolino di lancio per tutti coloro che avrebbero voluto fare carriera nel settore della fotografia, della scenografia e della rappresentazione.

In fondo, la fama della Columbia University era rinominata in tutto il mondo e, quella sera, critici d'arte, specialisti del settore ed amanti di quell'ambiente, erano giunti da ogni angolo dell'America e d'Oltremare, tra i lunghi e labirintici corridoi del Brooklyn Museum, solamente per assistere alle esposizioni degli artisti del futuro.

Per giorni avevo dovuto subire i tentativi di Chiara nel cercare di farmi desistere dall'andare alla mostra.
"Una persona sana di mente non prenderebbe neanche in considerazione l'idea di accettare l'invito folle di uno sconosciuto che scatta foto di nascosto!" mi aveva continuato a ripetere ogni volta che ci trovavamo insieme.
Aveva persino costretto Seth a parlarne con Gareth, chiedendogli se sarebbe stato possibile per lui accompagnarmi al Brooklyn Museum, pur di non farmi andare da sola, con il rischio di incorrere in una trappola organizzata da un assassino seriale.

Per mia fortuna, quella sera, la famiglia Wheeler-Moore sarebbe stata impegnata in una cena di lavoro a casa di colleghi, perciò non avrei corso il rischio di ritrovarmeli sbucare alle spalle durante la serata.
Gareth, galante come al suo solito, aveva accettato l'invito senza rifilarmi alcun commento su quanto potessi sembrare ingenua, tuttavia, non si era risparmiato dal raccontare la vicenda anche a Dylan ed al resto della band.

Inutile dire che Clarisse aveva già predetto tutti i tentativi con i quali quel ragazzo avrebbe tentato di infilarsi nel mio letto, mentre Dylan sosteneva che non avrebbe neanche aspettato di portarmi a casa per tentare di allungare le mani, approfittando, magari, di una sala del museo poco frequentata.

Se solamente Clarisse fosse stata eterosessuale, ero certa che sarebbero stati una coppia perfetta insieme.

"Quante ragazze hai dovuto rifiutare, questa sera, per poter stare qui con me?" domandai divertita, accettando volentieri il braccio che Gareth mi stava porgendo, mentre scendevo dalla sua macchina, attenta a non inciampare con le mie stiletto nere in vernice.
Me le aveva prestate Chiara, convinta che, nel caso in cui fossi rimasta sola con quello sconosciuto, avrei potuto usare il tacco sottile delle sue scarpe per colpirlo in un occhio o, meglio ancora, lì dove non batte mai il sole.

"Un paio" ammise beffardo, mentre ci incamminavamo verso l'ingresso del museo "Ma nessuna paragonabile a te"

Alzai gli occhi al cielo, senza ribattere, e lasciai che i miei occhi vagassero all'interno dell'edificio, il cui soffitto alto e le scale in bella vista, che portavano ai piani superiori, mi fecero bloccare sui miei stessi passi, abbagliata dai mille colori che ogni opera esposta lungo i corridoi emanava.

In quell'area si respirava odore di carta stampata e di passione.
Ogni fotografia scattata aveva reso immortale un determinato momento di vita.

Mi fermai istintivamente di fronte ad una foto in bianco e nero che raffigurava una coppia di anziani seduti su una panchina in legno, ridevano spontanei.
Gli occhi di lui erano concentrati sul sorriso di lei, mentre la donna gli accarezzava la mano, dal cui anulare si scorgeva quella stessa fede che li aveva uniti fin dal primissimo giorno da sposi.

Lui indossava un berretto, e lei portava al suo fianco un bastone.
Erano cresciuti insieme.
Erano invecchiati insieme, prendendosi cura ognuno dei bisogni dell'altro.

"È bellissima" bisbigliai, guardando con più attenzione ogni dettaglio di quella fotografia, per poi scorgere il volto di Gareth concentrato, a sua volta, su quella piccola, ed incredibilmente emozionante, opera d'arte.

Countdown || Noah CentineoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora