Noah.
"Sei impazzito? Il tour Americano, quello per cui stiamo lavorando senza sosta da anni, inizia domani, e tu decidi di andare in Inghilterra? E, per di più, non sai neanche quando torni?" sbraitò Alan, il nostro manager, nonchè padre di Dylan.
Era stato Alan Sprouse, produttore musicale e professore di musica al liceo di New York, ad avermi trovato, all'età di quattordici anni, rinchiuso nel teatro della scuola, fuori dall'orario delle lezioni, seduto sul palco, con la chitarra scordata in mano (rubata dall'armadio della sala prove), mentre tentavo di strimpellare gli accordi di una canzone che avevo sentito in radio proprio quella mattina.
Mi aveva insegnato tutto quello che sapevo sulla musica, era stato il mio mentore, il mio più forte sostenitore anche quando a mio padre la scelta di intraprendere una carriera musicale proprio non andava giù.
"E' importante, Alan" borbottai, prendendo alla rinfusa dai cassetti delle maglie da mettere in valigia.
"Più importante del tour?" alzò di più la voce e mi afferrò per le spalle, obbligandomi a fermarmi e a guardarlo in faccia.
Aveva il volto contratto dalla delusione, profonde rughe gli solcavano la fronte e gli occhi piccoli, azzurri come quelli di Dylan.
Con uno scossone mi liberai dalla sua presa e feci un passo indietro.
Alan mi aveva sempre difeso, era sempre stato dalla mia parte, anche quando non lo meritavo; ma adesso le sue iridi non mi riconoscevano più, lo leggevo dal suo sguardo incredulo quanto quella mia presa di posizione lo avesse deluso.
Il mio era stato un vero colpo basso nei confronti della sua fiducia.
"Dimmi almeno perchè"
"Devo raggiungere una mia amica" fu tutto ciò che riuscii a dirgli, prima che un sorriso sprezzante fece capolino sul suo volto furente.
"Davvero, Noah? Stai per mandare all'aria la tua intera carriera per una ragazza qualsiasi?" alzò le mani al cielo, esausto, e scoppiò in una risata nervosa che mi urtò i nervi, facendomi irrigidire istintivamente le braccia, mentre tentavo il più possibile di mantenere la calma.
Era incazzato, lo capivo, ma non doveva permettersi di parlare così di Alice.
Se doveva prendersela con qualcuno, quello ero soltanto io.
"L'hai già fatto una volta ed hai visto com'è andata a finire. Non hai ancora imparato la lezione, figliolo?" mi diede una pacca sulla spalla, e quella presa, così saccente, come se già sapesse tutto, come se avesse voluto manipolare le mie scelte, fu la goccia che fece traboccare il vaso.
"Evidentemente no, Alan. Come tu non hai ancora imparato che non me ne frega un cazzo della tua opinione. Io tra un'ora parto, l'ho già detto agli altri" mantenni il mio tono atono, mentre continuavo ad inchiodarlo con lo sguardo, sfidandolo a tentare un'altra volta di mettermi in gabbia.
Il problema principale di Alan Sprouse è che lui proprio non sapeva gestire la carriera e la vita privata contemporaneamente.
Per lui bisognava scegliere, non esisteva una via di mezzo.
Ed io gli avrei dimostrato il contrario.
"Dammi tre giorni, va bene?" sospirai, passandomi una mano tra i capelli, già in disordine di loro.
"La data di domani la rimandiamo alla settimana prossima, non fa niente se avremo due date consecutive. Ce la faccio, d'accordo?"
Alan mi guardò a lungo, non sembrava convinto, ma provare a farmi cambiare idea sarebbe stato soltanto uno spreco di energie.
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Countdown || Noah Centineo
FanficÈ la vigilia di Capodanno e Alice non la passerà, come da tradizione, nella sua Inghilterra, ma in America, dove l'autista si trova a destra, e non a sinistra, si guida dalla parte sbagliata della strada e le temperature sono talmente basse da far i...