Capitolo 25. Aspettami

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Tornare a Londra fu rassicurante e spaventoso allo stesso tempo.

Mi era mancato tutto di quella città, persino l'umidità dell'aria e la persistente e fine pioggerellina che, a quasi tutte le ore del giorno, minacciava prepotentemente di scivolare giù dal cielo plumbeo e perennemente annuvolato.

Avevo imparato a convivere con quel tempo grigio perchè solamente chi ha visto Londra risplendere di luce propria nelle giornate estive più calde e luminose è in grado di apprezzarne anche i periodi più cinerei.

Eppure mi sentivo diversa, come se, adesso, la bellezza di Londra ed il suo profumo familiare non mi bastasse più.

Probabilmente ero solamente scossa dal fuso orario ed il mio corpo implorava sofferente una doccia calda ed un pasto ricco di carboidrati dopo aver passato più di sette ore ferma su un sedile, con il mio stomaco che minacciava di rigettare tutti i liquidi gastrici ad ogni turbolenza.

Così, con il trolley stretto nella mano mi incamminai verso le scale mobili guardandomi intorno con attenzione, alla ricerca del viso familiare dei miei genitori, i quali avevano insistito nel volermi venire a prendere poichè da sempre convinti che i taxi fossero il vero male dell'intera Inghilterra, a differenza della loro automobile elettrica di ultima generazione.

Fra i turisti affannati e gli uomini della sicurezza nelle loro divise nere, fu una chioma bionda ed un'altezza imponente ad attirare la mia attenzione, tanto da farmi tornare indietro sui miei stessi passi pur di seguire quella figura che mai mi sarei aspettata di trovare in quel posto a quello stesso orario.

Il cuore era in tumulto ad ogni passo che più mi avvicinava ad Ellioth.

Sapeva bene che sarei tornata a Londra oggi stesso, ma, l'ultima volta che ci eravamo sentiti, non aveva accennato a nessuna sua intenzione di venirmi a prendere personalmente.

Non era assolutamente da lui farmi certe sorprese, tuttavia tutta la stanchezza di quelle ore abbandonò le mie spalle contratte ed il mio collo, bloccato da un terribile torcicollo, al solo pensiero di poter finalmente riabbracciare Ellioth.

Al suo fianco notai Gwen, una nostra amica, nonchè sua collega di specializzazione.

Aumentai la velocità dei miei passi, ignorando il dolore delle gambe intorpidite.

"Ellioth!" mi propensi verso di lui, afferrandolo per una spalla e costringendolo a voltarsi verso di me.

Un sorriso spontaneo si dipinse sulla mie labbra, mentre il suo bellissimo volto mutava in un'espressione confusa che lo costrinse a boccheggiare alcuni secondi, prima di incurvare a sua volta le labbra in un sorriso sorpreso.

"Alice? Che ci fai qui?"

Aggrottai le sopracciglia e lottai contro me stessa per non mostrarmi ferita dalle sue parole, così schiette ed inattese che mi fecero avvampare sotto il suo sguardo confuso, mentre tutte le mie convinzioni e le mie speranze sulla presenza di Ellioth in aeroporto crollavano in silenzio, infrangendosi a terra con un tonfo sordo e sbriciolandosi in macerie, insieme a quello che rimaneva del mio cuore.

Solo in quel momento notai che la sua mano stringeva un bagaglio a mano e immediatamente la verità mi colpì in faccia, con talmente tanta violenza da farmi vacillare, da farmi sentire una stupida per non esserci arrivata prima.

Lui non stava aspettando me.

"Non dovevi partire domani?" ignorai la sua domanda e puntai i miei occhi nei suoi, ormai incapace di contenere la rabbia e la frustrazione che si erano impossessate del mio corpo, stanco e spossato.

"Due ora fa mi ha chiamato il direttore dell'ospedale di Zurigo per avvertirmi che il mio volo è stato spostato ad oggi stesso. Ti ho mandato un messaggio appena l'ho saputo" afferrò con la mano libera la mia e le mie tempie cominciarono a pulsare talmente tanto da costringermi a chiudere gli occhi, mentre una risata amara lasciava flebile e nervosa le mie labbra.

Countdown || Noah CentineoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora