L'aeroporto, quel giorno, era gremito di persone.
Avevamo fatto tardi perchè mamma aveva insistito affinchè Noah si portasse con sè metà della nostra cucina.
Aveva dovuto lasciare nella mia camera tre sue felpe e un paio di scarpe per far entrare nel bagaglio a mano tutto il cibo che mamma gli aveva obbligato a portare.
Adesso il suo bagaglio conteneva cose molto più importanti dei vestiti, ovvero: cinque pacchi di pasta, due barattoli contenenti il pesto fatto in casa di mamma, un barattolo di Nutella, tre pacchi di Pan di Stelle e un pacco di Gocciole, che gli avevo concesso solo dopo aver lottato a lungo con la mia coscienza.
E' stato doloroso dovermi separare dalle mie Gocciole.
C'eravamo solo io e Noah, in mezzo a centinaia di turisti, e durante tutto il tragitto in auto mi ero autoconvinta di essere pronta, di potercela fare a separarmi da lui, a lasciarlo andare, perchè era la cosa più giusta da fare, ma, in quel momento, circondata da gente che, appena atterrata da un lungo viaggio riabbracciava finalmente le persone che amava e per le quali aveva deciso di tornare in Inghilterra, realizzai di non essere assolutamente pronta a dirgli addio.
Perchè non importava quale promessa potessimo farci, la distanza era troppa affinchè venisse mantenuta.
Una voce all'altoparlante annunciò che il volo da Londra per New York sarebbe partito tra quindici minuti e che tutti i passeggeri erano pregati di recarsi al check-in.
"E' ora che tu vada" bisbigliai, evitando prontamente il suo sguardo.
Mi sentivo troppo fragile e vulnerabile in quel momento, non riuscivo più a controllare la tempesta di emozioni che mi stavano travolgendo tutte insieme contemporaneamente e che mi impedivano di pensare lucidamente.
Non volevo che Noah mi guardasse in quello stato.
I miei occhi erano gonfi e la voce mi tremava.
Gli diedi il trolley e abbozzai un sorriso che mi morì sulle labbra nell'esatto istante in cui feci un passo indietro per allontanarmi da lui, ma Noah fu più veloce e percepii le sue braccia afferrarmi per le spalle e riportarmi contro di sè, contro il suo petto.
Nascosi il mio volto nell'incavo del suo collo e scoppiai in lacrime.
Lasciai che tutta la tensione di quel momento mi scivolasse addosso attraverso le lacrime che mi bagnarono il volto, rendendolo a chiazze rosse.
"Alice" bisbigliò al mio orecchio Noah, accarezzandomi i capelli e obbligandomi a guardarlo negli occhi "Stai piangendo per me?"
Scossi la testa con fermezza. "Ovviamente no, è questo stupido ciclo!"
"Ah, ecco! Quindi è tutta colpa degli ormoni" scoppiò a ridere lui, stringendomi maggiormente tra le sue braccia.
Inspirai a pieni polmoni il suo profumo di fiori d'arancio e chiusi gli occhi, beandomi di quel contatto.
"Sì, è tutta colpa degli ormoni"
Percepii le sue labbra curvarsi in un sorriso mentre mi lasciava un bacio sulla fronte.
Rimanemmo così vicini, in mezzo al frastuono della gente, per minuti interminabili.
Il suo respiro si mescolava al mio, mentre le nostre fronti erano l'una contro l'altra.
Le nostre labbra erano pericolosamente vicine e non riuscivo a smettere di guardarlo negli occhi.
Le sue iridi verdi erano fisse nelle mie e ai suoi occhi mi sentivo fragile e bellissima, anche con il naso rosso, il mascara completamente sciolto e il viso a chiazze.
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Countdown || Noah Centineo
FanfictionÈ la vigilia di Capodanno e Alice non la passerà, come da tradizione, nella sua Inghilterra, ma in America, dove l'autista si trova a destra, e non a sinistra, si guida dalla parte sbagliata della strada e le temperature sono talmente basse da far i...