Capitolo 18. Pony e spioni

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Avevo sempre avuto un debole per i libri classici, nonostante tutti quanti, una volta conosciuta la mia specializzazione, credessero prediligessi una letteratura più macabra e dai toni pieni di suspance.
La verità è che mi rifugiavo in capolavori come Jane Eyre e Anna Karenina ogni qualvolta ne avevo l'occasione.
Entrambe accomunate dall'estenuante ricerca del vero amore.

C'è chi alla fine l'ha trovato e l'ha accolto così com'è, con tutti i suoi difetti, come nel caso di Jane, e chi, invece, ha finito per rimanere sopraffatta dal dolore che la ricerca stessa della felicità l'ha portata a provare, come Anna.

Ammiravo il personaggio di Anna, perennemente combattuta tra un uomo più giovane e la stabilità di suo marito, alla fine aveva scelto di rischiare; eppure avevo paura di lei, di quei sentimenti incredibilmente forti e potenti che l'avevano guidata verso un atto folle che aveva trasformato l'amore in sopraffazione.

Con Ellioth mi sentivo al sicuro nella mia bolla fatta di videochiamate e festività passate separati.
Eppure era come vivere in un mondo in bianco e nero.
Mi stavo accontentando solamente di una piccola parte che le migliaia di sfumature che i colori potevano offrirmi.
Ero come uno chef in cucina, però con le mani legate: a mio agio nel mio ambiente, certo, ma costretta a fare continuamente i conti con l'impossibilità di poter fare qualcosa di pratico e di diverso ogni giorno.
Con Ellioth ero limitata, ne ero consapevole, ma mi ripetevo che un giorno, prima o poi, avrebbe finalmente scelto me.

Ero innamorata di lui, e puntualmente lo perdonavo di avermi lasciata sola, di nuovo.

"Sei inquietante quando leggi" bisbigliò Seth al mio fianco, attirando la mia attenzione.
I suoi occhi chiari mi scrutarono divertiti mentre alzavo le sopracciglia, perplessa.

"Perché?" lasciai ricadere il segnalibro tra le pagine e chiusi il libro, stringendolo al petto, consapevole che sarebbe stato impossibile riprendere a leggere con Seth che mi fissava.

"Fai delle facce buffe, come se stessi costantemente giudicando le scelte dei personaggi della storia"
Non era una novità che il mio volto fosse, letteralmente, un libro aperto a chiunque mi guardasse.
Non riuscivo a reprimere le emozioni che mi si disegnavano sul volto ogni qualvolta pensavo qualcosa.
Mi capitava persino di scoppiare a ridere per strada, da sola, solamente perché avevo ripensato ad un evento che avevo vissuto anni prima.

"Mi stai processando, per caso?" domandai e Seth scoppiò a ridere, allungando le braccia verso il cielo per stirare i muscoli intorpiditi.
Chiunque lo guardasse, avrebbe potuto pensare che Seth, con le sue spalle larghe ed il suo metro e novanta di altezza, potesse essere un modello o, per lo meno, un promettente giocatore di football, tutto fuorché un avvocato civilista.

Grande e grosso, era la persona più dolce e disponibile che conoscessi, pur di passare tutti i pomeriggi con Liv, terminava di lavorare nel suo studio a notte inoltrata, finendo, puntualmente, per addormentarsi tra le mille pratiche sparse sulla scrivania in ciliegio.

Persino Liv aveva già capito che se voleva un giocattolo le conveniva recarsi da suo padre, piuttosto che da sua madre, avvocato penalista, testarda, invadente e irritante fino al midollo.

"Zia!" mi richiamò Liv, correndo verso la panchina dove ci eravamo seduti, sventolando in aria un piccolo giocattolo a forma di pony viola.
Subito al suo seguito, la seguiva Marc, suo fidato compagno di giochi ogni qualvolta andavamo al parco.
Era uno spasso vederli insieme, bisticciavano di continuo su chi dei due dovesse salire per primo sullo scivolo e, ogni volta, Liv finiva per averla vinta mostrando i suoi grandi occhi azzurri e sporgendo all'infuori il labbro inferiore.

Countdown || Noah CentineoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora