START OVER; PARTE UNO (NICOLE)

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Un sogno non può durare per sempre.

Arriva per tutti il momento di svegliarsi e di fare i conti con la realtà.

E quel momento, purtroppo, è arrivato anche per me.


Mi guardo attorno con accuratezza, stringo tra le mani la stoffa del cappuccio che mi copre la testa, e percorro rapidamente il vialetto che conduce ad una graziosa villetta a due piani, pitturata di bianco; salgo i scalini posizionati sotto al portico e mi avvicino alla porta d'ingresso.

Leggo un'ultima volta il nome scritto sulla targhetta di ottone e suono il campanello due volte, retrocedendo poi di un passo; mi tormento il labbro inferiore coi denti, in attesa di una risposta, sperando che lei venga ad aprirmi la porta, e mi guardo ancora una volta alle spalle, spaventata dalla sola prospettiva che qualcuno possa riconoscermi e chiamare immediatamente la polizia.

Perché in quel caso, per me, non ci sarebbe alcuna via di scampo.

Fortunatamente questa volta le mie preghiere vengono ascoltate, e la porta viene aperta da una mia coetanea, dalla vaporosa chioma rossa e dagli occhi chiari; sono proprio i suoi occhi chiari che, spalancandosi, mi fanno capire di essere stata riconosciuta nonostante gli occhiali da sole, il cappello a visiera, ed il cappuccio che sono costretta ad indossare.

"Nicole?" mi domanda Karla in un sussurro, inarcando le sopracciglia in un'espressione sorpresa ed incredula "ma sei proprio tu?"

"Sì" rispondo a mia volta in un soffio appena udibile "sì, sono io".

La mia ex collega mi afferra per un braccio, facendomi entrare in casa, e poi si affretta a chiudere a chiave la porta d'ingresso, ed a tirare le tende di tutte le finestre del salotto, in modo da ripararmi da possibili sguardi indiscreti; indossa ancora la maglietta ed i pantaloni rosa di un pigiama coordinato, ma sembra non esserne affatto preoccupata perché tutta la sua attenzione è catalizzata su di me.

"Mio dio!" esclama ancora incredula, guardandomi "credevo che non ti avrei mai più rivista! Qualcuno ti ha riconosciuta mentre venivi qui?"

"Credo di no. Ho cercato di non dare nell'occhio e di camminare il più velocemente possibile"

"Ma dove sei stata nelle ultime due settimane? Che cosa ti è successo?".

Alla sua ultima domanda mi stringo nelle spalle; esito, ma poi abbasso il cappuccio della felpa eccessivamente larga per me, tolgo il cappello a visiera e faccio lo stesso con gli occhiali da sole, rivelando il brutto livido violaceo che deturpa il lato sinistro del mio viso.

Sento Karla trattenere rumorosamente il respiro e la vedo portarsi entrambe le mani alla bocca; resta paralizzata per qualche secondo, prima di trovare il coraggio di avvicinarsi a me e di sfiorarmi il livido con i polpastrelli della mano destra, come per accertarsi che quello che i suoi occhi stanno vedendo non sia solo un brutto incubo.

E, purtroppo, non lo è.

"Io..." dico, cercando di dare una spiegazione alle condizioni orribili in cui mi trovo, ma mi blocco subito perché non so come continuare, ed abbasso la testa in un atteggiamento vergognoso e colpevole.

Perché è proprio così che mi sento.

Colpevole.

"Ohh, mio dio... Mio dio..." ripete ancora la mia ex collega, scuotendo la testa "che cosa ti hanno fatto? Che cosa ti ha fatto?".

È sufficiente il piccolo ed indiretto riferimento a lui per farmi crollare definitivamente: mi lascio cadere sul divano alle mie spalle, mi copro il viso con le mani e scoppio in un pianto disperato.

Livin' On A Prayer; Prison Break (✔️)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora