THE MESSAGE (NICOLE)

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Prendo un profondo respiro ad occhi chiusi, per rilassarmi, ma dopo una decina di secondi sono costretta a coprirmi di nuovo la bocca con una mano ed a correre in bagno per non sporcare il pavimento della camera da letto; mi lascio cadere in ginocchio sulle mattonelle e svuoto il contenuto del mio stomaco nella tazza del water, offrendo uno spettacolo orribile al mio alleato inaspettato.

Quando lo sento avvicinarsi a me, agito il braccio destro per fargli capire che non voglio che assista a questa scena pietosa, ma lui ignora il mio ordine e s'inginocchia a sua volta per scostarmi i capelli dal viso, sistemandoli dietro le spalle.

"Grazie" mormoro ansimando, non appena riesco a fermarmi ed a riprendere il controllo del mio corpo, anche se continuo a tremare "ma non era necessario. È già abbastanza umiliante, non c'è bisogno che tu faccia questo"

"Che ti serva da lezione" ribatte Burrows, passandomi un asciugamano affinché possa pulirmi la bocca ed il viso "ti avevo detto di fare attenzione, ma tu non hai ascoltato le mie parole".

In effetti Lincoln non ha torto: al mio arrivo in albergo mi aveva detto molto chiaramente di non bere l'acqua corrente, e che per ogni esigenza personale c'era il minibar o la reception; ma io ho ignorato il suo consiglio e, sovrappensiero, ho riempito un bicchiere di plastica con l'acqua del rubinetto e l'ho mandata giù in pochi sorsi.

Ed ora ne sto pagando le conseguenze.

Chi lo avrebbe mai detto che un oggetto così piccolo ed insignificante come un bicchiere d'acqua è in grado di ridurti quasi ad uno straccio?

"Mi dispiace, non l'ho fatto apposta" mormoro, asciugando il sudore e deglutendo, osservo Lincoln alzarsi e tornare in camera, e lo seguo a mia volta nonostante il tremore alle gambe "in ogni caso questo non cambia assolutamente nulla perché voglio venire con te"

"In queste condizioni? Non se ne parla nemmeno, non sei neppure in grado di fare un passo. Non ti muoverai da questa stanza, ed al mio ritorno se starai ancora male, chiameremo un medico"

"Quello che stai per fare è assolutamente pericoloso" lo affronto, posizionandomi davanti a lui "se davvero riusciamo a trovare Sara e tuo figlio, ci sarà qualcuno a sorvegliarli. Credi sul serio di farcela senza qualcuno pronto a coprirti le spalle? E poi, guarda, sto già meglio. Si è trattato solo di un malessere passeggero, sono sicura di non essere la prima a cui capita. E sono altrettanto sicura di riuscire ad aiutarti senza essere un ostacolo. Dico davvero, Lincoln, non puoi farcela da solo"

"D'accordo... D'accordo... Ma se dovessi sentirti male, in qualunque momento, tu abbandoni subito. D'accordo?"

"D'accordo, ma ti posso assicurare che non accadrà" rispondo, annuendo, preferendo omettere il fatto che sto già lottando contro un'altra ondata di nausea che mi parte dalla bocca dello stomaco; seguo Burrows fuori dalla camera d'albergo e, mentre scendiamo le scale, gli rivolgo qualche domanda, per non pensare al malessere fisico che sento "allora? Qual è la nostra prima mossa?"

"Dobbiamo incontrare Susan"

"Susan? Chi è Susan?"

"Il nostro contatto con quegli uomini. È lei a coordinare l'intera operazione, se così si può chiamare. Non farti ingannare dalle apparenze: è una iena. Ed io non ho la più pallida idea di come convincerla ad accettare la chiamata"

"Non ha ancora accettato?" domando, con uno sguardo preoccupato.

Il piano di Michael e Lincoln non è ancora iniziato, e già c'è una falla che rischia di comprometterlo del tutto.

Non ricevo risposta perché il cellulare di Burrows inizia a squillare, lui risponde e dopo qualche concitato minuto trascorso a discutere e gesticolare, riattacca ed accelera il passo, costringendomi a fare altrettanto per non rischiare di perderlo tra la folla; noto il cambiamento di espressione che c'è sul suo viso, ora molto più teso, e gli chiedo chi era il suo interlocutore.

Livin' On A Prayer; Prison Break (✔️)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora