Prologo

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Afferrando l'ennesimo scatolone di quella giornata, sbuffai, facendomi forza per sollevarlo da terra fino al petto, per stringerlo tra le mie fragili braccia mentre il sole australiano batteva fortemente e risplendeva su tutta la città di Perth, donandomi un caloroso benvenuto. Un benvenuto che chiaramente già ignoravo; detestavo profondamente i traslochi.
Tanta polvere e fatica, per cosa? Dover fare nuove conoscenze, cambiare i dati scolastici, compagni, abituarsi alla nuova zona e non avere poi nemmeno uno spiraglio di luce verso il tonificarsi le braccia, trasportando comunque sottomano tutti gli scatoloni in precedenza preparati.
Solo fatica e stress mentale, e chi, cosa me lo doveva far fare? La vita che mia madre voleva intraprendere con un nuovo compagno di vita.

Aggiungendo anche un tempo imprevedibile, caldo come in quel caso, rischiavi di collassare a terra prima di raggiungere i tre gradini di fronte quella che doveva essere la tua nuova casa.

La mia era più grande di quella in cui avevamo vissuto precedentemente ad Holmes Chapel. Di un paio di stanze, direi, ed un bagno in più, ma questo non mi importava particolarmente e così avrebbe continuato finché avrei avuto in me il pensiero di dover mettere naso di fronte a persone nuove, tra cui il nuovo compagno di mia madre e suo figlio, per i quali ero ancora abbastanza diffidente; sapevo essere piuttosto estroversa ma l'aver conosciuto in passato persone poco piacevoli mi aveva portato a disprezzare abbastanza il fare conoscenze. Stavo molto bene con me stessa, ma nonostante tutto restavo socievole, o meglio gentile, se necessario, con chiunque.

Era così che funzionava, ormai, con il trasloco, ma non sapevo esattamente se essere felice o meno di aver lasciato Holmes Chapel, la mia città natale, in Inghilterra. Portavo dietro di me ancora diversi ricordi e puntualmente poteva mancarmi qualcosa, o qualcuno... di quel luogo. Soprattutto il clima, il tempo che viaggiava sopra le nostre menti corrotte, così cupo e nostalgico da farmene percepire la forte differenza. L'aria che si respirava era molto diversa.

A Perth era tutto molto più soleggiato, ed era una cosa che detestavo, il sole. Nella mia zona d'Inghilterra era una rarità, invece, quasi da farti schiudere la bocca sorpresa, quando intravedevi dei raggi solari tra le grigie nuvole.
Ovviamente, io non rientravo tra le persone meravigliate.

Feci qualche passo in avanti, salendo quei due o tre scalini traditori dinnanzi l'entrata della mia nuova casa. Entrai dunque dalla porta spalancata, osservando dove stessi esattamente mettendo i piedi, cercando di non inciampare nel caos creatosi a terra; il pavimento era occupato da una miriade di scatole di grandezza media, posati durante il trasloco, ma era soprattutto da spolverare, lavare poiché le mie scarpe dalla suola consumata riuscivano persino a scivolarvi sopra e risalendo le scale verso il secondo piano sarebbe potuto essere pericoloso per me e per gli altri, ed io preferivo chiaramente non dover restare sulla coscienza di nessuno.

Non amavo creare caos, ero anche un tipo a cui piaceva parecchio potersene stare per i fatti propri, senza respirare vicino altri esseri viventi come me, se non animali. Gatti, per la precisione.

Sospirando, posai gli occhi bassi sullo scatolone che tenevo tra le braccia, e leggendo ancora una volta velocemente il mio nome scritto con un pennarello nero, sul suo cartone, mi diressi verso quella che sarebbe stata la mia nuova stanza, al piano superiore.

Passo dopo passo in quella casa luminosa mi ritrovai subito davanti la mia porta aperta, posando poi il peso a terra, di fianco ad altri che avevo già sistemato in precedenza.
La mia camera da letto era piuttosto grande, ma completamente vuota, se non per il letto, e nemmeno il bianco delle pareti aiutava molto ad alleggerire l'atmosfera. Non era di certo il mio colore preferito, diciamo.

Nel momento in cui ebbi posato le mani sui miei fianchi, sbuffando, mi ricordai di avere ancora un ultimo bagaglio da portarvi all'interno, così mi detti una mossa e scesi velocemente le scale per uscire di casa, avvertendo un buon profumo e dei leggeri rumori che provenivano dalla cucina ancora decisamente in disordine. Mia madre stava preparando qualcosa da mangiare dopo aver terminato il trasloco, e ne ero felice, perché dopo tutta quella fatica mi avrebbe fatto piacere sgranocchiare qualcosa, prima di riposarmi sul divano. Perciò dovevo sbrigarmi, dopotutto ero una a cui piaceva molto, mangiare.

Prima di afferrare l'ultimo bagaglio, sempre di mia proprietà, passai il polso con indosso l'orologio sulla mia fronte imperlata, pulendomi del sudore e non vedendo l'ora di andare a farmi una deliziosa doccia al muschio bianco.
Sul marciapiede mi sollevai frettolosamente con il peso tra le mani, dopodiché non ebbi nemmeno il tempo di alzare anche lo sguardo, che qualcuno venne a sbattere contro di me facendomi barcollare momentaneamente sulla strada, tanto che, grugnendo innervosita, e con la vista offuscata dal momento veloce, potei notare unicamente un paio di anfibi pesanti proprio sotto i miei occhi.

Avvertendo il respiro mozzato dal disagio, sollevai lo sguardo, e in un istante rimasi come ipnotizzata da un paio di iridi verdastre, molto chiare, quasi trasparenti, che mi fissavano con aria innocente mentre io ne osservavo il volto in modo confuso. Credevo di aver fatto la cosa migliore, riconoscendo l'oggetto del mio scontro, ma davanti a me ebbi solo un ragazzo più o meno della mia età, con un colore ed un taglio di capelli piuttosto particolare che risaltò subito alle mie iridi scure: erano neri, con delle sfumature di diversi rosso scuro; tutte le ciocche erano sparate in diverse direzioni, a differenza della frangia, lasciata ricadere accuratamente verso destra. Osservare le sue labbra, spesse al punto giusto, con un colorito piuttosto scuro, più roseo, mi destabilizzò alquanto, impedendomi di comprendere in un primo momento che fossero e sarebbero restate completamente serrate.

Così intuii che non aveva intenzione aprire bocca e scusarsi, ed infastidita del fatto che la persona in questione non fosse nemmeno lievemente mortificata, trovai senza pensarci più di una volta il coraggio di parlargli per prima: «Delle scuse sarebbero più che gradite» dissi sarcastica, probabilmente con un tono più sfacciato di quanto volessi, alle sue orecchie; dopotutto ero nervosa, stanca per via del trasloco, e questo ragazzo era sbucato così dal nulla, facendomi quasi cadere a terra, ma lui non poteva naturalmente sapere quanto mi sentissi frustrata da tutto ciò.

Non ricevendo nulla, oltre un'occhiata disinteressata da parte sua, strinsi con maggiore forza lo scatolone tra le mie mani, guardandolo seccata. «Guarda dove cammini», mormorai quindi iniziando a sentirmi scocciata, prima di girare i tacchi e chiudermi in seguito la porta di casa alle spalle, lasciando lo sconosciuto impalato sul marciapiede, probabilmente ancora con lo sguardo fisso su di me, perplesso.

«Chi era, tesoro?»

«Un maleducato, ma poco importa» risposi sospirando, lasciandomi poi a peso morto sul divano di pelle nera circondato da scatole, posto al centro dell'ampio salotto.

AYE!

Innanzitutto se siete arrivare fin qui, non posso che ringraziarvi.
Questo è il prologo della mia nuova storia su Michael Clifford, e spero che l'inizio vi sia piaciuto perlomeno un pochino.. (?)
So che per il momento non è nulla di che, ma siate clementi, è solamente il prologo, è normale che sia corto e solamente un piccolo accenno del tutto.
Se vi va, lasciate un commento, oppure votate. :)
Sto già scrivendo una storia, su Luke, che si chiama Rebel. Se volete andare a dare un'occhiata anche lì, mi dispiace ma dubito sarebbe una buona idea; ho intenzione di lasciarla sospesa.
Tornando a Silent, per il momento scriverò degli spazio autrice, poi probabilmente smetterò.
Ora vi lascio, che ho sonno.

Instagram: drowning_in_reverse

Un bacio,

Lukey_96

Silent || Michael CliffordDove le storie prendono vita. Scoprilo ora