28. Cinque fasi

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Ormai mancavano meno di sette giorni al ritorno di Lyss, quindi quasi due settimane alla partenza di Hayden.

L'avventura in auto era diventata un resoconto tragicomico che si era concluso con un recupero all'alba da parte di un agricoltore che li aveva trovati per strada e una telefonata di Steph che, dopo essersi accertata che la sua gallina dalle uova d'oro fosse viva e vegeta, comunicò a Hayden che l'evento, a causa del maltempo, era stato spostato a data da definirsi. Purtroppo, a causa del problema con i ripetitori, non era riuscita a comunicarglielo quando ne era giunta a conoscenza.

Così arrivò una mattina qualunque, in un giorno come tanti. Ma non per tutti.

Imogen, infatti, si svegliò sudata e in preda al panico, urlando a squarciagola.

La consapevolezza di se stessa e di ciò che provava, era scesa su di lei così, in una mattina come tante, stufa di star nascosta in anfratti troppo piccoli per contenere tutti i suoi sentimenti.

Si rizzò a sedere rigida nel suo letto, guardando fissa davanti a sé, per poi mettere fine a quell'urlo agghiacciante. Continuava a scuotere la testa da parte a parte incredula, sbigottita.

Negazione.

Hayden corse velocemente per le scale fino a spalancare la porta di camera sua senza pensarci due volte. «Chi c'è? Cosa è successo? Stai bene?»

Brandiva una padella a mo' di mazza, mentre entrava con passi pesanti e decisi nella stanza.

Imogen si coprì la canotta con il lenzuolo, con una mano, quasi fosse troppo esposta. Con l'altra libera, lo fermò intimandolo con un gesto. «Fermo lì. Non. Ti. Muovere». Lo invitò caldamente con uno sguardo truce.

Lui abbassò la propria arma e rilassò le spalle, confuso. «Oddio, che ho fatto stavolta?» Era sconvolto. Sapeva benissimo dall'occhiata di lei che era imbufalita, con lui tra l'altro, ma non sapeva il perché. Pensò per la prima volta che essere donna doveva essere davvero difficile, anche se c'era il bonus del seno.

Lui, con quegli sbalzi di umore, sarebbe morto molto tempo prima.

«Niente, Hayden. Non hai fatto niente. È stato solo un incubo. Però non toccarmi, ok?» Precisò subito Imogen, con fare allarmato. Voleva essere certa che lui si tenesse a distanza.

Non doveva azzardarsi a toccarla, doveva solo fare in modo che Hayden le lasciasse i suoi spazi, metabolizzasse il tutto e arrivasse alla conclusione che ciò che aveva preso forma in lei fosse solo una pessima idea.

Non voleva essere toccata da lui per non provare fastidio, schifo, senso di colpa e rendere quelle sensazioni più reali di quanto fossero in realtà.

A quella conclusione ci voleva arrivare con le proprie forze, senza l'aiuto di nessuno.

«Ok. Ok» disse lui con le mani alzate in segno di resa, mentre indietreggiava appena. Quella richiesta era strana alle sue orecchie, ma vista Imogen e il suo umore ballerino, si aspettava il peggio. Decise di andarsene prima di rischiare qualche arto o ritrovarsi qualche costola rotta a causa della furia del momento.

Quando fu quasi al sicuro sulla soglia chiese: «Ti aspetto per far colazione? Vuoi che ti prepari qualcosa?» Il cibo, di solito, era un rimedio efficiente per ogni malumore.

«Vai via!» ringhiò Imo, lanciandogli il cuscino per evidenziare il suo voler rimanere da sola. Quella mattina la presenza di Hayden la urtava.

Era già troppa quella che percepiva dentro di sé, la sua fisica non era affatto richiesta.

«Va bene!» disse lui, spostandosi dalla traiettoria prima che lanciasse pure l'abat-jour nella sua direzione. «Che modi!» Se ne tornò in cucina di pessimo umore, brontolando per tutta la strada. «Malfidente e acida».

Il mio viaggio sei tuDove le storie prendono vita. Scoprilo ora