Capitolo 4. Punto di vista di Alex

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Mi guardo intorno spaesato, lanciando un'occhiataccia a tutti quelli che mi fissano intorno, per poi ritornare a guardare la porta di ferro chiusa nell'esatto momento in cui la maniglia si abbassa e un uomo in divisa dà un'occhiata in giro per la cella:
«Alex Turner?»-la sua voce mi fa alzare di scatto dal letto puzzolente, quindi i suoi occhi mi raggiungono, mentre alza l'indice per dirmi di seguirlo.
«Hai visite.»-si limita a dire, e tra tutte le persone che vorrebbero rivedermi, dai miei genitori a mia figlia, spero fottutamente che dall'altra parte del muro ci sia Clara.
È da mesi che non la vedo e nessuno vuole dirmi cosa sia successo, ma capisco anche che deve essersi spaventata al punto di non avere il coraggio di guardarmi.
Sorpasso la guardia a passo felpato, ma vengo bloccato da lui stesso, facendomi capire che devo rallentare, quindi mi limito a serrare la mascella e aspettare che sia lui ad aprire la porta.
Formulo mentalmente delle frasi a senso compiuto, mentre passo la mano tra i capelli per rendermi il più presentabile possibile, ma poi rido mentalmente, pensando che a lei non importerebbe a prescindere e mi salterebbe al collo anche se fossi cosparso di merda.
Alzo la testa e faccio un passo nella piccola stanzetta fredda, in cerca di Clara con gli occhi tra i pochi presenti, venuti a salutare i loro cari.
Il sorriso mi muore sulle labbra quando vedo Tiara seduta in un angolo a guardarmi, per poi alzarsi in piedi non appena incrocio i suoi occhi.
Lascio le braccia cadere lungo i fianchi e abbasso le spalle, deluso per l'ennesima volta.
Prendo posto davanti a mia sorella, abbandonando il corpo sulla sedia, e capisce dalla mia smorfia infastidita che avrei preferito qualcun altro al posto suo.
Assume un'espressione seria e fa per parlare, ma non riesco a trattenere la rabbia e sbatto una mano sul tavolo:
«Dove cazzo è Clara!»

Clara ora è di fronte a me, con un lungo vestito attillato e dei lungi capelli biondi che la rendono irriconoscibile, guardandola alle spalle, ma ho esplorato ogni centimetro del suo corpo e la saprei distinguere anche in una camera affollata.

Percepisco gli occhi degli invitati su di me, ma i miei non abbandonano la sua schiena.
Stringo le dita in due pugni, mentre sento gli occhi iniettarsi di sangue, ma non si gira e rimane ferma davanti a mia sorella, che si affretta a sorpassarla e a saltarmi al collo: l'odore di mia sorella non mi è per nulla confortevole, anche se non la vedo da molto.
«Finalmente.»-sussurra contro il mio petto e gli invitati cominciano a bisbigliare, ma nelle mie orecchie rimbomba solo il respiro corto di Clara.

Trattengo la voglia di sputarle in faccia quanto mi faccia schifo in questo momento e farla sentire nel peggiore dei modi possibili, per poi trascinarla fuori da questa casa e costringerla a ritornare da dove è venuta.

Ma non la degnerò nemmeno di un'occhiata, ecco cosa farò.
D'ora in poi la eviterò come lei ha evitato me in cinque fottuti anni, trattandola come davvero merita di essere trattata per avermi abbandonato in una cella, dove non ho mai smesso di sparare che lei venisse da me, dicendomi che mi avrebbe continuato ad amare lo stesso, anche se indossavo un patetica maglione arancione da criminale.

«Vuoi unirti, amico?»-alzo la testa lentamente, capendo di avere molti occhi addosso.
Non rispondo e mi limito a indurire la mia espressione, suggerendogli che è meglio non rivolgermi più la parola, il che basta per zittirlo e sedersi con gli altri intorno ad un tavolo.
Riprendo a tirare pugni al sacco violentemente gemendo nel sentire il dolore attraversare le vene del mio braccio.
E più mi faccio male, più godo, tirando tanti pugni quanti sono i giorni che non vedo il sole con gli occhi.
E sono tanti.
1440 giorni, 34560 ore lontano da mia figlia.
Ho chiesto a mio padre di non portarla in un posto del genere e continuo a guardarla crescere attraverso delle cazzo di foto.
«Turner, c'è qualcuno che ti aspetta.»- non mi ero nemmeno accorto che la porta della cella era stata aperta, quindi mi allontano dal sacco con il maglione attaccato alla pelle sudata e il ciuffo scompigliato sulla fronte.
«Digli di andarsene.»-dico tra i denti senza pensarci due volte.
Chiunque sia, sicuramente non è lei...
«È una giovane donna mora.»-insiste, ma non appena finisce alzo la voce:
«Non me ne frega un cazzo!»-i presenti si girano dalla mia parte e nella stanza cala il silenzio, mentre il poliziotto fa per allontanarsi senza fiatare, ma non appena realizzo le parole che ha detto spalanco gli occhi e i miei muscoli si irrigidiscono.
«Hai detto mora?»-annuisce scocciato, quindi mi affretto a raggiungerlo a passo felpato e con il cuore in gola.
Una parte di me sapeva che un giorno sarebbe venuta, anche se sono passati ben quattro anni.
Non m'importa di cosa le sia successo fino a oggi, ho fame di Clara e la prima cosa che farò sarà stringerla tra le braccia macchiate d'inchiostro e molto più pompate dell'ultima volta che mi ha visto.
So che le piacciono i miei muscoli, anche se ogni volta che la beccavo fissarli arrossiva.
Apro la porta prima che lo faccia il guardiano, ma la mia espressione passa da speranzosa a confusa quando noto che la donna davanti a me non è Clara.
«Naily?»

Sei Mia, Ragazzina!  2 || ©Tutti i Diritti RiservatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora