9.

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L'aria era gelida, la città appariva viva anche di notte, la gente passeggiava e i turisti entravano emozionati nei negozi notturni.

Il giardino della villa Allen era illuminato da eleganti lampioni posti lungo il vialetto.

Trovai Ryan steso sul letto con una chitarra nera poggiata sull'addome, le mani sulla tastiera, lo sguardo rivolto al soffitto.

<<Vivi solo?>> gli domandai entrando.

Non rispose.

<<Fender Telecaster?>> riprovai indicando la sua chitarra.

<<Deluxe.>> rispose senza guardarmi.

<<Io ho venduto la mia American Standard qualche hanno fa.>>

Non sapevo perché mi ostinassi a cercare conversazione dal ragazzo meno loquace sulla faccia della terra.

Eppure, mi dava una certa soddisfazione vedere il suo viso incuriosirsi, valutando se valesse la pena degnarmi della sua attenzione per rispondermi.

<<Prendila se vuoi.>> mi disse.

Non me lo sarei aspettato, ma non me lo feci ripetere due volte.

La tentazione era troppa, attaccai il cavo alle casse pizzicando qualche corda, solo per ricordarne la sensazione.

Il trucco era non lasciarsi andare, o almeno provarci.

Avevo la sensazione che mi stesse studiando, come se ogni mio movimento fosse inaspettato.
Non avevo capito cosa si aspettasse da me in realtà, ma in quel momento non mi importava.

<<Sei consapevole del fatto che sia notte fonda, vero?>> mi disse infastidito.

<<Credevo che queste non fossero preoccupazioni di chi vive alla villa Allen.>>

Vidi la sua mandibola contrarsi.

Era come se le mie dita si muovessero da sole e le prime note di "Wake me up when September ends" invasero l'ambiente.

Abbastanza facile per un musicista come lui, ma se non altro d'effetto.

Amavo quella canzone.

Davanti ai miei occhi mio padre mi guardava sorridendo, dandomi indicazioni con cenni della mano destra per aiutarmi a tenere il tempo.

Man mano che la melodia incalzava mi perdevo in essa, lasciai che la chitarra prendesse il controllo, cambiai canzone lasciandomi trasportare dalla musica.

Le dita della mano destra e il braccio della sinistra si muovevano sincronizzate lungo le corde, mi godetti sensazioni familiari e aria di casa.

Fin quando il ragazzo steso sul letto non staccò dal soffitto un'altra chitarra, contribuendo alla riuscita del pezzo, unendo le sue note alle mie.

I due suoni si intrecciarono, diventarono un tuttuno tra loro, lo vidi muovere la testa a ritmo di musica, probabilmente stavo facendo la stessa cosa senza rendermene conto.

Cambió canzone più volte, per mettermi in difficoltà o semplicemente per il gusto di costringermi a cambiare tempestivamente repertorio.

Ma ero stata addestrata al dal più folle dei chitarristi, che se solo fosse tornato in se, sarebbe stato fiero di me.

Ci bloccammo di colpo tornando alla realtà.

L'ultima nota di quella strana melodia vibrava ancora nell'aria.

Lo vidi buttarsi sul letto ridendo.
Nessuno ci avrebbe creduto se l'avessi raccontato, eppure avevo suonato con Ryan Allen, in camera sua, usando la sua chitarra nel bel mezzo della notte.

E lui rideva.

<<Ammetto di averti sottovalutata.>>

Per una volta sembrava sincero.

Poggiai la chitarra al muro sedendomi su una sedia, godendomi la sensazione di pace tipica di quando riuscivo a liberarmi di ogni singolo pensiero negativo.

Mi mancava la mia chitarra e la mia vecchia vita.
Sapevo di non dovermi lasciar andare, ma era più forte di me.

<<Chi l'avrebbe mai detto.>> pensai ad alta voce.

Lo vidi alzarsi dal letto e dirigersi verso una cassettiera.
Estrasse un cofanetto di velluto bordeaux da uno dei cassetti e tornò a sedersi.

L'anello che conteneva all'interno era lo stesso che osservava pensieroso al Roxy Bar.

<<Il mio futuro dipende da questo.>>

Se lo girava e rigirava tra le mani, era un modello maschile in oro bianco, molto sottile e poco appariscente.

<<È l'anello che io e Kayla ci siamo scambiati per il fidanzamento ufficiale.>>

Mi imposi di non ridere, concentrandomi sul fatto che mi stesse confidando qualcosa di personale.
Qualcosa che neanche Kayla aveva ritenuto importante dirmi.

Ma non potevo prendere sul serio le sue parole, quei due a stento si parlavano, davvero si erano scambiati degli anelli?

Insomma, sarebbe stata una cosa romantica, se fosse  stata organizzata da una coppia meno disastrosa della loro.

<<Cosa intendi per "fidanzamento ufficiale"?>> gli chiesi.

<<Mio padre e il suo hanno avuto la bella idea di imporci un'unione legale per unire le azioni dell'azienda sotto il mio nome.>>

All'improvviso tutto sembrava più chiaro e riuscii a dare un senso ad una relazione così strana e priva di sentimenti.

Queste cose erano comuni a di Manhattan.
Persone la cui vita girava attorno ai soldi, coinvolgendo tutti quelli che avrebbero potuto favorire i loro piani.

Compresi i figli.

<<Lei ti ama davvero, però.>>

Non sapevo perché glielo stessi dicendo, dato che per uno come lui non avrebbe significato nulla.

Per Kayla, Ryan era il mondo intero.
Per Ryan, Kayla non era neanche una piccola parte di esso.

<<Immagino non faccia alcuna differenza.>> rispose.

Sperai avesse il buonsenso di non rivolgerle parole tanto vuote e fredde come quelle stavano uscendo dalla sua bocca in un momento di confidenza.

Quella sera capii che la vita perfetta non sarebbe mai esistita, neanche per i pochi destinati ad avere tutto.
Erano loro infatti quelli che avevano più da perdere.

Ero sicura che scavando in fondo ai loro passati, avrei trovato altri scheletri nell'armadio da usare a mio vantaggio.

Cosí come lui usava i miei per il suo.

C'era un motivo per il quale mi stesse dicendo tutto questo, ma non riuscivo ad arrivarci e iniziai a pensare fosse proprio quello il suo obbiettivo.

<<Che facciamo per la foto?>>

<<Ce l'abbiamo.>> rispose tranquillo.

<<E quando l'avresti fatta?>>

<<Mentre suonavi.>>

<<Dobbiamo davvero portare una mia foto alla presentazione del progetto?>>

<<Credo sia all'altezza di qualsiasi altra foto.>> rispose con un'alzata di spalle.

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