Nel cuore della notte, oltre le montagne solitarie e i boschi corrotti, qualcosa di muoveva tra le ombre, solcando le calme acque del lago nero, su una piccola imbarcazione per una sola persona.
Un uomo, con un cappuccio e una mantella, remava sulle silenziose acque di un'antica città ormai distrutta nascosta all'interno di una caverna. La superficie si increspava a ogni remata, creando piccole onde che sparivano nel buio e nella leggera nebbia che nascondeva il lago.
Per arrivare alla bocca della caverna, bisognava attraversare una nebbia all'apparenza innocua, che però nascondeva scogli e resti di un'antica civiltà che avrebbero affondato la piccola imbarcazione per chi non conoscesse quelle acque. Quella figura però sapeva come muoversi, remando lentamente e in silenzio, quasi a non voler disturbare qualcuno, o qualcosa.
Poco dopo i raggi della luna illuminarono l'entrata, rivelando un antico arco ancora intatto, scolpito direttamente nella roccia della montagna, con delle incisioni in una lingua ormai scomparsa.
Una volta entrato, remò ancora per qualche metro, fino a colpire con la prua un piccolo molo. Il rumore fece eco per tutta la caverna, continuando ancora e ancora quasi all'infinito. Posò delicatamente il remo e scese dalla barchetta direttamente sul molo, avvolto completamente nel buio. Accanto a lui però, c'erano due bracieri, sui quali sfregò un paio di volte l'acciarino e la pietra focaia, creando abbastanza scintille per accenderne uno. Prese poi un legno in fiamme e accese anche quell'altro, illuminando almeno l'ingresso delle rovine. In poco tempo anche gli altri bracieri si accesero in serie uno dopo l'altro, continuando per molto fino ad illuminare quasi del tutto i resti dell'antica città. Si avviò seguendo il sentiero ancora integro in marmo bianco, passando attraverso colonne e abitazioni distrutte, vecchie barche ormeggiate ancora integre e ossa polverose sparse un po' ovunque. Facendo molta attenzione a dove mettere i piedi, continuò a camminare per qualche minuto, osservando qualsiasi cosa ci fosse lì intorno. Tutto era avvolto nel silenzio; un silenzio terrificante, tetro e soprattutto triste. La tristezza di una città, una volta chiamata la città degli Dei, che ormai giaceva con le sue incredibili opere, strutture e strade bianche, in un'oscurità perenne, nella quale si poteva ancora percepire la corruzione di Gabradus che la spazzò via in pochissimo tempo.
Lo sguardo dell'uomo si posò su una struttura più grande rispetto alle altre, dall'aspetto regale, quasi come se fosse una residenza reale o un castello più piccolo. Non molto distante da lui, una scala bianca come la luna si estendeva fino all'entrata; un'entrata ormai semi distrutta, perdendo parte della sua bellezza.
Salì velocemente la scalinata, fino ad arrivare all'ingresso ancora accessibile per il castello.
Prima di entrare si fermò qualche secondo ad osservare l'unico stendardo rimasto sulla destra, ancora appeso a dei ganci arrugginiti, tutto sdrucito e rovinato.
Il suo colore verde, con alcune strisce ai bordi in oro dello stesso colore dello stemma, era ancora bel visibile, anche nell'oscurità.
Un martello e un'incudine erano il simbolo di quella città decaduta.
Dopo aver fatto una specie di ghigno sotto i baffi nel guardarlo, si avviò all'interno, trovandosi in poco tempo davanti a delle sale grandi, alcune in parte sommerse dall'acqua che arrivava fino alle ginocchia. Il corridoio invece era ancora asciutto, più in alto rispetto alle stanze, sul quale camminò a passo svelto fino ad arrivare ad una grande porta chiusa, differente dalle altre. Si trovava esattamente nella sala del trono, poco dietro il luogo dove una volta sedeva il re sul suo trono.
Sulla porta in marmo bianco, erano scolpiti vari episodi di alcune grandi battaglie dei vari re che si susseguirono. Ognuna raccontava una storia diversa, che però sembrava unirsi alle altre come a formare una grande e unica battaglia.
L'uomo non fece alcuna forza sui maniglioni delle porte, semplicemente si limitò a tendere una mano verso quella che sembrava un'insenatura nascosta tra le teste incise nella battaglia, nella quale infilò una chiave che girò senza fatica.
Dopo un paio di scatti che rimbombarono nel vuoto di quelle fredde e umide stanze, le porte si aprirono senza difficoltà, lasciandolo accedere all'interno di una sala gigantesca, nella quale erano raccolti non solo molti tesori, ma quello per il quale era venuto.
La stanza sembrava immensa, quasi a non finire mai, sparendo in lontananza tra i vari archi e colonne ancora intatti con vari tesori di tutti i tipi sparsi ovunque.
Al centro si trovava una lunga stradina, sulla quale camminò senza problemi, senza temere di cadere ai lati.
Non molto distante si materializzò un oggetto, sospeso in aria su un piedistallo, dalla forma sferica e scura.
Una volta arrivato al suo cospetto, tese una mano verso di essa, chiudendo poi gli occhi e recitando parole in una lingua antica.Nagher mor kilir var dor
La sfera sembrò rintoccare a quelle parole, con un lieve e dolce tintinnio. Il suono echeggiò per molto nella stanza, vagando tra le sale solitarie e sconfinate.
I bracieri accesi nella stanza, cambiarono colore, passando da rosso a blu intenso.
Del vento prese a soffiare e alcuni sussurri, delle voci, iniziarono a udirsi. L'uomo continuava a tenere gli occhi chiusi, sentendo il vento muovergli il mantello e il cappuccio.
Durò ancora per pochi secondi, fino a che tutto non si fermò di colpo. Quando riaprì gli occhi, vide la sfera assumere un colore differente. Al suo interno ora brillava una fiamma dal colore verde che danzava lentamente in un vortice.
<<L'occhio di Etlich>>.
Lo avvolse in un panno, infilandolo nella borsa in pelle che teneva a tracolla. Si voltò indietro uscendo dalla grande sala, totalmente disinteressato dalla quantità d'oro che si era lasciato alle spalle. Il suo obbiettivo non era l'oro, ma quello strano oggetto tenuto nascosto in quella sala per circa mille anni.
Camminava di nuovo tra i resti della città. Tutto sembrava diverso dopo aver preso quella sfera, inspiegabilmente più quieto e tenebroso.
Quando tornò alla sua piccola imbarcazione, ancora ormeggiata accanto alle grandi navi, ci salì sopra facendo attenzione a fare il meno rumore possibile.
Remò verso l'uscita nello stesso modo di prima, lentamente e silenziosamente. Una volta uscito dalla bocca della caverna, non ci mise molto ad arrivare a riva, dove ad attenderlo nell'ombra, c'era qualcuno tra i cespugli.
Quando la punta si incagliò al limite, scese a terra con gli stivali immersi per metà nell'acqua muovendo quelle silenziose acque rumorosamente. Le piccole onde generate, si propagarono fino al centro del lago, risvegliando qualcosa.
Dai cespugli, come predatori in agguato, si rivelarono tre figure più grandi e larghe di lui, che brandivano ognuno un'arma. Il loro aspetto ricordava molto delle lucertole, con la differenza che erano su due gambe e sapevano combattere. La loro razza era conosciuta come i "Jaari", spregevoli e rozze creature il cui unico scopo era trucidare e schiavizzare le persone che catturavano per venderle al miglior offerente. Erano molto temute al di fuori dei confini, insediati nelle terre aride in antiche miniere appartenute agli uomini.
Intanto si avvicinarono all'uomo con i loro occhi gialli che lo fissavano, mentre la luna si rifletteva sulle loro scaglie verdastre e grigie.
<<Shkar gra er melok>>.
<<Parla la mia lingua essere abominevole, so che la conosci>>.
<<Dacci ciò che hai preso, il nostro re lo richiede>>.
<<Voi creature della terra non siete degne di maneggiare questo oggetto>> disse con tono di sfida e di disgusto.
Il Jaari sembrò ruggire con il suo verso rauco, istigando anche i suoi compagni.
<<Se non vorrai consegnarcelo, allora vorrà dire che te lo toglieremo insieme alla tua vita>>.
<<Già, e li consegneremo entrambi al nostro re>>.
L'uomo non ebbe nessuno sgomento a quelle parole, né a vederli armeggiare delle mazze di ferro.
<<Fate silenzio, lasciate riposare queste acque>>.
I Jaari risero a quelle parole, guardandolo come se fosse una facile preda da uccidere.
Le loro risate, la loro voce e i loro versi iniziavano ad infastidirlo tanto che portò rapidamente la mano alla fondina sul suo fianco. Con un rapido e fulmineo gesto, estrasse la sua daga infilandola sotto la bocca del Jaari. Il suo sangue violaceo colava sulle sue mani, mentre si dimenava ed emetteva suoni strozzati. I suoi compagni guardavano impietriti mentre il loro capo cadeva a terra in ginocchio in un lago di sangue. Con un altro colpo tagliò la gola dell'altro che provò a caricarlo con un colpo della mazza.
Anche lui si accasciò a terra schizzando il suo sangue ovunque, cadendo sopra il cadavere del capo.
L'ultimo aveva uno sguardo terrorizzato, rimanendo immobile.
<<Porta un messaggio al tuo re digli che se vuole l'occhio, dovrà venire a prenderlo>>.
Senza provare nemmeno ad affrontarlo, si girò e spari di nuovo tra i cespugli dai quali era venuto.
Lo guardò andare via, occupandosi poi dei due cadaveri ai suoi piedi.
Li spinse a fatica in acqua, lasciandosi per metà immersi oltre la riva. Guardò il centro del lago per qualche secondo dal quale percepì a malapena un movimento della superficie.
Si girò per tornare al suo cavallo poco distante, lasciandosi alle spalle quel luogo avvolto nel silenzio. I corpi intanto venivano trascinati dentro l'acqua da qualcosa, sparendo sempre di più nelle profondità oscure del lago.
Raggiunto il suo cavallo, salì in groppa pronto per cavalcare verso il suo nuovo obbiettivo.
Aprì la borsa per dare un'altra occhiata alla sfera, che sembrò infastidire il suo destriero.
Lo accarezzò sul collo e sulla criniera per calmarlo, nascondendo di nuovo la sfera e la borsa sotto il mantello. Diede un colpo con i piedi sui fianchi del cavallo per farlo galoppare, che si mosse immediatamente. Si guardò un'ultima volta alle spalle, vedendo le onde sulla superficie del lago muoversi. Si girò cavalcando con il vento sul viso, con un sorriso effimero nascosto sotto il cappuccio.

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Nabradia
FantasySTORIA COMPLETA PRIMO LIBRO DELLA TRILOGIA Restate con me, vivete anche voi il viaggio a Elmorea! Tutto ebbe inizio quando i primi regni vennero eretti dagli uomini nel grande continente di Elmorea. Quattro re magnanimi ascesero al potere, comand...