43. Il ponte delle foglie

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Adrian

Apro gli occhi nel momento in cui il rumore di passi sul parquet si diffonde in tutta la stanza. Mi ci vuole un po' a mettere a fuoco la figura di Clark intenta a saltellare da una parte a l'altra della camera per infilarsi le scarpe. Corrugo la fronte e mi stiracchio ancora indolenzito dallo sforzo della sera precedente "Dove stai andando?" mormoro con voce roca. Clark sussulta sistemandosi i capelli dietro le orecchie. "Vado a trovare mia madre, lo faccio ogni Natale" farfuglia mentre con lo sguardo parte alla ricerca di qualcosa.
"Che significa che vai a trovare tua madre?"domando corrugando la fronte.
Non credo che si svegli una mattina di punto in bianco e decida di partire e trovare la madre.
"Oh, hai ragione. Significa che vado nel luogo dove mio padre dice di aver sparso le sue ceneri" imita il gesto delle virgolette sull'ultima parola.
Astuto. La madre non è morta, ma per fingere che lo sia si è inventato un'ipotetica cremazione con tanto di scomparsa dell'urna anzichè preferire la classica lapide in un cimitero.
"Il tuo telefono è lì" Gli indico lo smartphone appoggiato accanto alla catasta di libri sistemati su una delle mensole. Non so nemmeno come ci sia finito quell'aggeggio lì. Lo afferra di fretta e fa per andarsene ma io la blocco. "Aspetta" dico di getto "Dammi due minuti per prepararmi e ti.. Ti accompagno"
La faccia di Clark dovrebbe somigliare a quella della mia coscienza che sembra stupita dalla mia affermazione.
Bè, questo non è affatto da me.
Dio questa ragazza mi ha degli effetti collaterali.
Poi però Clark sfoggia uno di quei sorrisi che la rendono così bambina da farmi desiderare di stringerla fino a farle male e annuisce. Sono contento di averla resa felice. Ricambio il sorriso e subito scendo dal letto alla ricerca delle mutande. "Santo cielo!" sento esclamare da miss pudicizia in persona.
"Contieniti, Baker" mi rimprovera coprendosi gli occhi con una mano.
"Oh però ieri sera non vedevi l'ora di vedermi nudo, eh Adams?" mi beffeggio di lei ridacchiando mentre mi infilo i boxer puliti. La bimba arrossisce fino alle orecchie e se non fosse Clark direi che sarebbe semplicemente imbarazzo, invece no, con lei posso mettere in discussione persino questo aspetto.
"Se non ci dai un taglio il prossimo a vedere il tuo amico sarà mio padre che non sarà contento come me nell'assistere ad una scena del genere" Mi mi minaccia lanciandomi la maglietta che la stanotte avevamo buttato sul pavimento.
Me la infilo velocemente e mi scompiglio i capelli.
"Hai appena ammesso che sei contenta di vedermi nudo?" sorrido ammiccante dirigendomi verso la sua esile figura che mi guarda con sufficienza. "Non l'ho mai negato." afferma con sicurezza mandandomi ancora una volta in tilt il cervello. Dove la trovo una come Clark Adams?
"Hai visto i miei pantaloni? Perché ieri sei stata tu a sfilarmeli con tutta quella foga che..."
Vengo interrotto da un gridolino isterico che le fa rizzare le dita dallo sfinimento.
"Di' ancora un'altra parola e giuro che non mi vedrai più sfilare quei tuoi dannati pantaloni"
Oh oh, questa sì che è una minaccia.
Farò meglio a stare zitto... Eppure...
"Non ti preoccupare, li posso sfilare tranquillamente io se ti scomoda tanto" gli strizzo l'occhio sorpassandola per uscire dalla stanza.
"Che fai? Non vieni?" Domando poi ingenuamente rimanendo sulla soglia a guardarla implodere.

•••

Il luogo a cui si riferiva Clark non è una spiaggia, nè un parco. Non è un campo o un giardino pieno di fiori.
Ci troviamo su un ponte sospeso sopra al fiume che attraversa la città. Tutto è circondato da boschi e gli alberi non sono più ricoperti di quel leggero strato di neve.
Il respiro di Clark, così come il mio, si intensifica in una piccola nuvoletta bianca.
Fa freddo, a Leaveshood.
Sicuramente più freddo che in California.
"Questo ponte, stando ai racconti di mio padre, era il suo posto preferito" dice appoggiandosi al parapetto.
"La città prende il nome da questi alberi. Ora sono completamente spogli, ma in autunno perdono talmente tante foglie da averle dato l'appellativo"
Mi guardo intorno cercando di immaginare la scena.
Foglie di mille colori ricoprono il terreno.
"Potremmo tornare, l'autunno prossimo" dico di getto senza pensarci su.
Clark spalanca gli occhi cercando di non dare a vedere la sua incredulità.
"I-io punto ad averti fuori dalla mia vita entro la fine del semestre" scherza ridacchiando.
"Non ci riuscirai facilmente, Adams" mi appoggio anche io al parapetto affiancandola.
"C'è una cosa che non ti ho detto perché mi sento terribilmente stupida a raccontarlo"
Ha cambiato discorso.
Ma cosa mai dovrebbe dirmi?
"Fidati Clark, ai miei occhi è impossibile che tu possa risultare stupida" confesso.
È una ragazza incredibilmente sveglia e intelligente. Niente di ciò che mi dirà mi farà cambiare idea a riguardo.
"Okay allora... Ti ho mentito" dice "Non è che io non abbia mai provato a cercare mia madre, è che la sera in cui me lo hai chiesto avevamo appena discusso su quanto fossi debole e..." si blocca per qualche secondo.
"Insomma sì, l'ho cercata. L'ho anche trovata." Ride amaramente. "Se credevi che io fossi una debole per non aver mai voluto rintracciarla, posso immaginare cosa tu stia pensando ora che ti ho detto che so dov'è ma che non ho il coraggio di andare da lei"
Non me l'aspettavo davvero.
Io non riesco a immaginare cosa si provi in queste circostanze. Per quanto meschina sia la mia famiglia, io ho entrambi i genitori; lei invece... Costretta a vivere da sempre con un padre incapace di essere autosufficiente e che per anni le ha fatto credere che la madre fosse morta.
Ma perché questo? Io non credo che non abbia voluto far soffrire Clark. Piuttosto, stando a come ne parla, credo che lui cerchi di auto convincersi che la moglie non l'abbia abbandonato...
"Non penso nulla. La vita è la tua ed è già abbastanza complicata. Se credevi che questo fosse il giusto modo per affrontarla allora bene, non ti giudicherò"
Clark sorride tristemente, eppure ha una scintilla negli occhi di felicità.
"Si trova a New York" confessa.
"Brooklin, più precisamente. Guardando tra le scartoffie di mio padre ho trovato un biglietto del treno per quella meta e un bigliettino allegato con su scritto un indirizzo firmato Joyce"
New York?
"Quindi mi stai dicendo che potrei anche aver incontrato tua madre al supermercato senza accorgermene?"
"Se la metti così..."
"Perché me lo stai raccontando?"
Domando.
Clark si tortura le dita coperte dai guanti com'è solita fare quando è in difficoltà.
"Perché tu mi spingi ad essere coraggiosa ed io non voglio più essere una debole"
"Quindi mi stai dicendo che..."
"Che potremmo fare un salto a Brooklyn, uno di questi giorni. Non è troppo distante da casa tua spero..."
La sua determina mi lascia senza parole.
Clark è piena di sorprese ed è dannatamente forte nonostante tutto ciò che passa. È testarda e questo l'aiuta ad andare avanti, a rimboccarsi le maniche e darsi da fare. È cosciente dei suoi obiettivi, dei doveri e di cosa significhi lavorare sodo per ottenere qualcosa.
"Ti ci accompagnerei anche se fosse dall'altra parte degli Stati Uniti"

•••

Clark

"Devi metterci più farina"
Alzo gli occhi al cielo aggiungendo la polvere bianca all'impasto.
"Ora va meglio"
Tornati a casa abbiamo preparato il pranzo e nel pomeriggio ci siamo messi a guardare la partita con mio padre. Stranamente Adrian è un tifoso del football anche se non l'avrei mai detto.
Finita anche la partita ci è venuta voglia di pancakes, così ci siamo ritrovati nella mia cucina a prepararli insieme.
È strano essere aiutata da Adrian. È pignolo, ma mi sto divertendo da pazzi.
Di tanto in tanto ci scambiamo delle occhiate complici sorridendo o ci lanciamo cose addosso, tipo la farina in questo momento.
"Ben ti sta!" Gli dico soddisfatta nel vedere il suo viso sporco.
Tanto poi dovrò pulirla io la cucina, quindi poco importa.
Adrian si avvicina minaccioso e io mi appoggio al bancone terrorizzata con un sorrisetto sulle labbra.
"Che hai intenzione di fare?" Domando agitata.
Lui si china fino al mio collo e ispira profondamente.
"Ti ho già detto che il tuo odore mi piace da pazzi? A proposito, aggiungi più cannella" afferra il barattolo da dietro le mie spalle e me lo porge mentre ancora io sono inebetita.
Dopo questa notte il clima tra noi sembra leggero e rilassante.
Indossa il maglione che gli ho regalato con orgoglio e devo ammettere che sembra un cucciolo con quello addosso.
"D'accordo" prendo il barattolino dalle sue mani e verso la polvere all'interno dell'impasto mescolandolo.
Immergo poi un dito dentro ad esso e lo porgo ad Adrian che lo infila in bocca leccandolo con malizia.
Mi guarda dritta negli occhi ed io vorrei sprofondare.
"C-com'è?" Balbetto.
"Prova tu stessa" dice prima di ripetere il mio gesto e così mi ritrovo il suo dito tra le labbra, poi, come se nulla fosse, si avvicina e mi bacia assaggiando con la lingua lo stesso impasto che sto mangiando io.
"Delizioso" farfuglia a bassa voce lasciandomi un altro bacio a stampo.
Dio mio, tutto questo mi mette in imbarazzo eppure mi piace da morire.
Fortunatamente vengo salvata dal suono del campanello che ci riporta alla realtà.
"Vado io!" Esclama mio padre dall'altra stanza. Lo ringrazio mentalmente perché ora come ora, per quanto io voglia, non riuscirei ad allontanarmi dal ragazzo che sta circondando la mia vita con le braccia per avvicinarsi a baciarmi il naso.
"Forse dovremmo parlare" dico.
"Di cosa?"
"Di... Questo."
Faccio giusto in tempo a guardare la fronte di Adrian corrugarsi prima di essere distratta da qualcuno.
"MA CHE DIAMINE?"
Ely, in piedi sulla soglia della cucina.

Cazzo.

//Spazio autrice//

Alla mia BackToMe- ❤️
Te l'avevo promesso.

Cinnamon Junks (Endless story)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora