49. Nasten'ka

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Esco dalla camera degli ospiti con la maniglia della valigia stretta tra le mani.
Sono le cinque della mattina, spero di non svegliare nessuno.
Dopo il litigio con Adrian ho pensato che la cosa migliore da fare sia tornare a casa. Tornare sui miei passi non è tra i programmi stavolta, e averlo sempre accanto non aiuta affatto. Ho bisogno di liberare la mente, lontana da lui.
È per questo che sto andando alla prima stazione di autobus che troverò e me ne torno in Pennsylvania, dai miei amici.
Tra due giorni tornerà anche Phoebe e l'idea di rivederla mi alletta incredibilmente.
Sono queste sensazioni che mi fanno credere di aver fatto la scelta giusta.

Scendo le scale tirando su la valigia per non far rumore e per poco non mi prende un colpo quando, appoggiato al ripiano della cucina, vedo Rufus.

"Già te ne vai?" Domanda con falsa innocenza.
"Non era ciò che voleva lei, signor Baker?"
Rufus sfoggia un ghigno appoggiando il bicchiere vuoto che stringe tra le mani dentro il lavello.
"Mi fingerò dispiaciuto, se ti può rendere felice" dice.
"Ci sono tante cose che mi renderebbero felice, ma compiacerla non rientra tra queste." Sospiro incrociando le braccia al petto.
"Sei una ragazza con le palle, Clark Adams. Devo ammettere che per un istante ho apprezzato il tuo caratteraccio"
"Se non è il mio caratteraccio a disturbarla, qual è il motivo di tanto astio? Perché non le piaccio?" Domando.
"Non si può piacere a tutti, ragazza..."
"Sì, ma a lei non piacevo ancor prima che mi conoscesse" gli faccio notare con serietà.
In questi giorni me lo sono chiesta più e più volte.
Non ho mai puntato ad entrare nelle grazie della famiglia di Adrian, ma mi piacerebbe sapere lo stesso perché non mi vogliono tra i piedi.
"Semplice: sono disposto a tutto per proteggere la mia famiglia e tu, per mio figlio, sei un pericolo" ammette.
"Lei non crede che io sia un pericolo per Adrian, ma teme che a causa mia deciderà di allontanarsi da voi"
Deduco allora.
"Lo rendi debole" sussurra a denti stretti.
"Lo rendo migliore" ribatto rimanendo ferma sulle mie parole.
"E adesso, se vuole scusarmi, me ne torno a casa"

•••

Adrian

Dopo aver trascorso la notte più insonne e desolata della mia vita decido di alzarmi dal letto.
Mi passo una mano sul volto distrutto dal sonno e prendo a fissare il pavimento.
Clark non può abbandonare tutto così ed io sono disposto a dimostrarglielo.
Ecco perché sto andando dritto in camera sua.
Voglio parlarle, voglio convincerla a tornare sui suoi passi perché, quella che sta facendo, è la cazzata più grossa mai combinata prima.

Tu non mi vai più.

Non avrei mai detto che quelle parole sulla bocca di Clark mi avrebbero ferito.
In pochi mesi da quando l'ho conosciuta ce ne sono stati di insulti, ma mai mi sono sentito così triste all'idea che quelle parole le pensasse veramente.
Davvero non le vado più? Perché? Da quando?
È stato prima che scoppiasse a piangere tra le mie braccia? Prima che decidesse di entrare nella mia camera in piena notte? Prima che accettasse di accompagnarmi qui, di stare al mio fianco? Prima di rendermi partecipe dei suoi dubbi, delle sue insicurezze?
Da quanto ha deciso che non le vado più?
Ho tentato talmente tanto ad afferrarla che mi è scivolata tra le mani come una saponetta.
La colpa è mia o dei problemi che si è creata?
È di Phoebe? Di sua madre? Del padre? Di quel coglione di Elliot? Del suo corpo? Della mia famiglia?
Non so quale sia la risposta, ma sono deciso a scoprirlo e proprio per questo decido di bussare contro la porta chiusa della stanza degli ospiti.
Tre colpi, niente di più.
Nessuna risposta.
Riprovo.
Nessuna risposta.
Magari sta ancora dormendo, dovrei lasciar stare...
Magari mi sta solo evitando, ritento ancora una volta, ma il silenzio persiste.
Decido di abbassare la maniglia e aprire lentamente la porta, ma dietro di essa, non trovo la solita Clark con la bocca semi aperta, i capelli sparsi sul cuscino e le gambe che occupano tre quarti del letto, bensì, la stanza completamente vuota.
È esattamente come l'aveva trovata non appena è arrivata.
La sua valigia è sparita. Le sue cose sono sparite.
Il vestito che le ho regalato, però, è ancora appeso su un'anta dell'armadio e il suo odore di cannella profuma l'atmosfera.
Dove sei finita, Clark?
Magari è di sotto, a fare colazione.
Magari Clay l'ha trascinata via.
Magari vuole che io la riaccompagni a casa oggi stesso. La capirei se così fosse.
Richiudo la porta con un'aria interrogativa e decido di scendere in cucina dove tutta la mia famiglia sta mangiando e chiacchierando, ma di lei nessuna traccia.
"Sapete dov'è finita Clark?" Domando attirando la loro attenzione.
Devo sembrare abbastanza spaesato, vista l'espressione sul volto di tutti.
"Non ha dormito con te?" Chiede Isabel spalmandosi della marmellata su una fetta di pane tostato.
"No..."
"Potrebbe essere in bagno" suggerisce mia madre.
"No, non è in bagno mamma" Comincio ad alterarmi.
"A fare una corsa?"
"Che senso avrebbe andare a correre con la valigia?!"
La verità è più palese di quanto io voglia ammettere.
"È andata via" mio padre irrompe nella conversazione dopo avermi ignorato completamente in precedenza.
"L'ho incontrata questa mattina mentre toglieva il disturbo"
"Toglieva il disturbo?! Di che stai parlando? Cosa le hai detto?" Sbotto preoccupato.
Giuro che se ha provato a dirle anche solo una parola fuori luogo...
"Niente che non sapesse già. Evidentemente non era quella giusta figliolo" sorride amaramente, ma conosco quell'espressione.
È appagato.
"Perché fai sempre così?" Dico a denti stretti.
"Così come?"
Finge persino di non capire.
"Ti diverti con ciò che mi rende felice, lo sgualcisci, fai sì che si allontanino tutti da me..."
"Quella ragazza era solo l'ennesimo giocattolo, non dire scemenze!"
"No papà, nel caso non lo avessi capito a me quella ragazza piace!" Alzo la voce preso da un impeto di ira.
"Ti piacciono così tante cose che fatico a comprendere quali ti interessino realmente..."
È in questi momenti che vorrei prenderlo a pugni.
Pensa di saperla lunga su di me, ma è l'unico che non ha mai capito un cazzo.
"Sai che c'è? Sei solo un sadico, manipolatore e fallito del cazzo!"
"E tu sei mio figlio. La mela non cade mai troppo lontana dall'albero figliolo"
Le mie parole non sembrano mai toccarlo.
Quale padre non si lascerebbe scalfire da un figlio con una brutta reputazione come quella che io ho di lui?
"Hai ragione, ma io posso sempre migliorare. Tu ormai hai perso"
E detto ciò me ne torno in camera mia sotto lo sguardo di tutti i presenti.
Non è la prima e non sarà l'ultima volta che diamo spettacolo.
Stacco il telefono con forza dal cavo del caricabatterie e cerco il numero di Clark tra i contatti pigiando il tasto della cornetta.
"Andiamo, rispondi Clark..." borbotto tra me e me.
Mi passo una mano sul volto ancora agitato da tutta questa situazione.
"Ciao, sono Clark e non lasciare nessun messaggio a meno che non sia di vitale importanza. Non ho tempo da sprecare con la segreteria"
Ora persino la segreteria è uno spreco di tempo.
Chiudo la chiamata ormai vinto e sicuro di non poterla più bloccare. Se n'è andata. Devo accettarlo.

Cinnamon Junks (Endless story)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora