47. Va bene così

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Scendo dall'auto presa da un impeto prima che la donna possa suonare il campanello e grido.
"Catherine!"
Respiro forte e sono piena di adrenalina.
Perché Catherine è qui?
Che cosa sta succedendo?
La donna volta la testa di scatto, colta di sorpresa e, una volta avermi messa a fuoco, si gela.
"C-Clark, che ci fai tu qui?!" Sembra davvero davvero sconcertata. Bè, ne ha il diritto tanto quanto me.
"Buffo, potrei farti la stessa domanda" rido amaramente incrociando le braccia al petto.
"Ti starai aspettando una spiegazione..."
"Tu che dici?" Intervengo subito.
La donna si ravvia una ciocca di capelli dietro l'orecchio proprio come fa anche la mia migliore amica quando è nervosa.
"D-da... Da quanto lo sai?"
"Da anni"
"Oh..." è l'unica risposta che ricevo.
Le ho appena detto che so che mia madre non è realmente morta, che la mia vita è sempre stata una menzogna, che lei ne è addirittura complice e tutto ciò che ha da dirmi è un misero "Oh"?
"In fondo alla strada c'è un bar. Che ne dici di prenderci una cioccolata calda? A te piace tanto"
Questa donna mi conosce come se fossi figlia sua.
"D'accordo" rispondo stizzita afferrando il telefono dalla tasca dei jeans per poter inviare un messaggio ad Adrian dicendogli che mi allontano un attimo, ma che è tutto sotto controllo.
Seguo Catherine fino all'entrata del bar il quale arredamento, al momento, è l'ultimo dei miei problemi.
"Una cioccolata calda" dice al ragazzo del locale.
Poi si volta verso di me e si porta le mani intrecciate tra di loro di fronte alla bocca pensierosa.
"Da dove comincio..."
"Potresti cominciare dalla parte in cui mi spieghi per quale motivo mia madre ha deciso di abbandonarmi e soprattutto perché mio padre finge che lei sia morta" sputo velenosamente.
In queso istante mi sono sentita mancare il fiato.
Prima viene abbattuto uno dei pilastri portanti della mia vita che si reggeva sull'idea che mia madre fosse morta, ora anche quella che ho sempre considerato tale si rivela una bugiarda.
Perché nascondere per tutto questo tempo ad una bambina, una ragazza e ormai una donna che la madre non se n'è realmente andata per sempre? Perché negarmi anche solo la possibilità di credere di poterla rivedere?
"Partiamo dal principio"
Il principio mi va bene. Anzi, va benissimo. Voglio conoscere ogni dettaglio di questa assurda storia.
"Phoebe era nata da poco quando Joyce mi rivelò di essere incinta. Lei e tuo padre avevano sempre voluto un bambino e ci provarono per mesi prima di riuscirci. Erano davvero al settimo cielo quando lo scoprirono.
Giunta al settimo mese ci furono dei problemi, niente di grave, ma per tua madre fu un brutto colpo. In quel periodo aveva perso anche suo padre e da quel momento in poi la vidi destabilizzata, non era più la stessa"
Sapevo che mio nonno era morto. Mio padre me lo ha raccontato, ma sono arrivata a mettere in dubbio anche questo.
"Tutto si sistemò, la gravidanza andò a buon fine e quel sei dicembre sei nata tu"
Lo racconta con un sorriso amorevole, quello che una madre rivolgerebbe ad un figlio.
"Filava tutto liscio. Joyce era tornata in sè ed era innamorata persa della sua bambina. Non ti lasciava nemmeno un secondo. Ricordo di averle scherzosamente detto che il suo era un attaccamento morboso e che sarebbe dovuta essere meno apprensiva, ma tanto per cambiare non mi ascoltò"
Ridacchia abbassando lo sguardo.
Chissà se sta rivedendo l'immagine nei suoi occhi.
"Da come la racconti non sembrerebbe che sia la stessa donna che mi ha abbandonata"
"La favola finisce qui, infatti" serra le labbra facendo morire di poco in poco il suo sorriso.
"Avevi si e no due mesi. Tuo padre lavorava giorno e notte per mantenere voi e la casa, ma Joyce cominciò a risentirne. Diceva di sentirsi sempre sola, di non riuscire più ad andare avanti con le notti insonni e i pianti che duravano ore. Tentai più volte di dirle che era normale, che sarebbe passato, ma non riuscii a farla ragionare. Litigava continuamente con tuo padre, continuava a dire che era colpa sua, che era stressata, che non ce la faceva e a quelle condizioni non ci stava più.
Un giorno non riuscì a farti smettere di piangere e presa da un raptus di ira ti chiuse in camera finché non smisi.
Ho sempre pensato a un po' di depressione post-partum, capita a molte neo mamme, niente che non si potesse risolvere, almeno finché non l'ho trovata sdraiata accanto a te in overdose di farmaci. Non so nemmeno chi glie li avesse prescritti, dato che non eri ancora svezzata.
Chiamai subito il 911 e riuscimmo a salvarla in tempo, ma entrarono in gioco gli assistenti sociali che la ritennero incapace di prendersi cura di te. Cominció un percorso di riabilitazione durante il quale aveva la possibilità di vederti due volte alla settimana, e così fece per un anno.
I medici non videro miglioramenti e il suo psicologo le prescrisse un periodo lontana da tutto e da tutti per poter pensare a se stessa, guarire e tornare da te"
"Ma non lo ha fatto..."
"Continuò la riabilitazione, ma si convinse che standoti vicino non sarebbe mai tornata in sè e che la fonte del suo malessere in sostanza eravate tu e tuo padre. Decise di andarsene di nuovo, stavolta sul serio, senza tornare"
Conclude con l'amarezza nella voce e il dispiacere negli occhi.
"La fonte del suo malessere... Io?"
Come può una madre pensare una cosa del genere?
"Sapere di essere inadatta a crescere sua figlia l'ha distrutta"
"Tu continui a vederla?"
"È la mia migliore amica Clark. Per quanto ora ti possa sembrare il contrario, non è un mostro"
Lei continua a vederla.
Mia madre e Catherine erano proprio come me e Phoebe.
Ho una domanda sulla punta della lingua che non riesco proprio a togliermi dalla testa.
"Ti ha mai chiesto di me?"
Il silenzio che precede la sua risposta mi lascia senza fiato. Le sue parole saranno la goccia che farà traboccare il vaso, che sia in senso positivo che in negativo.
Mia madre pensa mai a me? Si è mai pentita di aver fatto quello che ha fatto?
"No tesoro, mi dispiace"
È come un colpo dritto allo stomaco.
Ho sperato fino all'ultimo che ogni possibilità che nella mia testa le avevo dato per dimostrarsi diversamente, per spiegare il senso logico dietro a questa storia, non fosse stata vana.
Ho provato tanta rabbia nei confronti di mio padre da logorarmi dentro, ma da fingere che tutto andasse bene.
Mi sono chiesta ogni giorno quale motivo l'avesse spinta a lasciarmi crescere senza di lei.
Ho creduto che dietro alle parole di mio padre si celasse quella meravigliosa donna di cui racconta sempre.
Ho dubitato di me stessa. Ho evitato di soffrire. Ho deciso di sperare in un risvolto a questa questione. La speranza mi ha illusa per anni. Ho desiderato con tutta me stessa ricominciare daccapo, ritrovarla, portarla a casa e fingere che non sia successo nulla.
Ma a mia madre, in verità, non importa nulla di me.

"Allora come puoi dire che non è un mostro?"
Dico disprezzando l'attimo in cui ho deciso di cercarla, di venire qui.

Mi alzo senza aver nemmeno toccato la mia cioccolata. Catherine non cerca di fermarmi, ha capito che sarebbe del tutto inutile.

Non è possibile. Deve esserselo dimenticato. Si vedono molto poco, magari non si ricorda l'ultima volta che le ha chiesto di me.
Penso mentre cammino a passo svelto verso l'auto di Adrian.
Ora capisco perché mio padre mi ha mentito.
Dannazione, tutto ha senso.
Perché fingere che fosse la donna bella e brava che sembrava quando in realtà è solo una misera egoista?
Per quale assurdo motivo non mi ha detto "Tua madre è una grandissima stronza, Clark. Ecco perché non è qui con noi. Ecco perché bevo ogni sera scoppiando a piangere."
L'avrei capito. Sono sempre stata abbastanza intelligente da capire.
L'avrei capito se mi avessero detto che mia madre se n'è andata dandomi la colpa.
Dev'essere per questo che mio padre mi evita. Deve essere assolutamente per questo.

•••

Adrian

Si richiude lo sportello alle spalle abbandonandosi sul sedile con lo sguardo perso di fronte a sè.
Sono passati venti minuti da quando ho ricevuto il suo messaggio.
La guardo curioso di chiederle come sia andata, ma a giudicare dal suo sguardo inerte deduco che qualcosa non va.
"Che succede? Che ti ha detto?" Domando subito preoccupandomi.
"Non ne voglio parlare" farfuglia a voce talmente bassa che la sento a malapena.
"Cosa? Non l'hai nemmeno incontrata..."
"Non la voglio vedere."
Cosa le ha detto la signora Johnson?
"Sai che qualsiasi cosa sia puoi dirmela..."
"Dannazione Adrian, accendi quest'auto e portami a casa!" Sbotta alzando le mani in aria.
"D'accordo" rispondo deluso facendo ciò che mi dice.
Il tragitto da Brooklyn a casa mia è lungo e silenzioso. Troppo silenzioso.
Non sono abituato a questa Clark.
Ed è ancora più silenziosa quando, usciti dall'ascensore, si dirige verso la sua stanza chiudendovisi dentro ancor prima che io possa impedirglielo.
Mi fermo di fronte alla sua porta cercando un buon pretesto per bussare, ma abbandono le mie intenzioni e passo oltre dirigendomi in camera mia.
Cosa sarà mai successo?
Mi siedo sul letto portandomi le mani tra i capelli.
Cosa devo fare? Vorrei andare da lei, consolarla.
Allo stesso tempo, però, lei non vuole parlarmene.
Quella donna è riuscita a toglierle il sorriso in un modo che non avevo mai visto. Nemmeno la prima volta che mi ha rifiutato malamente era così seria.
Vorrei scendere di sotto, prepararle una cioccolata, o prenderle del gelato, o addirittura portarle patatine e cioccolato. Ma lei non vuole vedermi.
Alzo lo sguardo e mi giro a guardare la porta della mia stanza aperta e sulla soglia c'è Clark.
Rimane in piedi esanime e mi guarda con lo sguardo triste. Ci scambiamo occhiate complici. Le sto chiedendo se mi vuole, lei mi dice che ha bisogno di me e allora, senza pensarci un secondo, mi alzo in piedi e la raggiungo prima che lei possa raggiungere me.
Faccio per stringerla tra le mie braccia mentre lei scoppia a piangere aggrappandosi a me.
Continua a piangere e a piangere mentre mi sento perfettamente inutile. Vorrei parlarle, ma non so cosa dire. Non posso parlare di qualcosa che non so.
"È... È la prima volta che mi permetto di piangere per lei in tanti anni" dice con voce spezzata.
Afferro il suo volto con le mani e guardando quegli occhi lucidi asciugo le lacrime dalle sue guance rosse.
"Piangi quanto vuoi, va bene così" le sorrido attirandola poi al petto per stringerla ancora una volta.
Va bene così.

//Spazio autrice//

Il capitolo è corto di proposito, non vi preoccupate.
Stiamo arrivando alla fine e le parti si fanno sempre più importanti quindi preferisco scrivere capitoli corti piuttosto che perdermi negli eventi e creare scompiglio 😂

Ci si legge alla prossima,
JSparks🌷

Cinnamon Junks (Endless story)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora