Capitolo 13

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Se prima avevo qualche speranza di riabbracciare mio fratello era appena andata in fumo. Sauron mi mancava da morire.

 Per il mio popolo Sauron significava “guerriero”, e lo era. Era un grande guerriero che avrebbe dato la vita per proteggere me e la nostra famiglia. La vita che gli è stata tolta, rubata, strappata via.

Non sopportavo l’idea di chiamare l’Oscuro Signore con il suo nome, ogni volta era come una coltellata al cuore. Allora l’avrei chiamato con il suo vero nome, Mairon.

Nella biblioteca era calato il quasi totale silenzio. L’unico rumore proveniva della cascata. Manwë si era avvicinato e mi aveva ancora una volta cullata tra le sue forti braccia, lasciandomi sfogare con forte pianto.

Quando i singhiozzi diminuirono mi asciugò le ultime lacrime con le dita e mi disse:

-Tuo fratello era molto coraggioso, sii fiera di lui. Non sarà dimenticato, te lo prometto. Ma ora è il momento di reagire e andare avanti. Non rovinare il tuo viso con le lacrime, non cadere nella disperazione : in te ci dovrà sempre essere speranza. Tulkas sarà qui a momenti e non gli piacerebbe vederti in lacrime, ti reputerebbe subito debole e non è il caso che succeda, lo dico per la tua salute. Vai vicino alla cascata e bagnati il viso, ti sentirai subito meglio.

Mi alzai dalla sedia e feci come mi disse. L’acqua fresca e cristallina, non so come, appena toccò il mio viso fu come una dolce carezza che mi fece tornare il buonumore.

All’improvviso la porta si spalancò ed entrò con passo di carica un omone alto ed esageratamente muscoloso. Sembrava pronto a scoppiare. I capelli ricci erano biondo-dorati  e tagliati molto corti, mentre gli occhi erano azzurri come quelli di Manwë e Varda. Supposi che fosse un loro carattere distintivo.  Indossava dei pantaloni di pelle scura, con una cintura dorata alta fino all’ombelico, dentro i quali era infilata una leggera maglia rossa senza maniche che lasciava intravvedere i suoi addominali scolpiti. Sebbene fosse troppo muscoloso per i miei gusti è da ammettere che aveva una bellezza tutta sua, come tutti i Valar del resto.

-Manwë!- sbraitò quasi rompendomi i timpani- potevi almeno avvisarmi che eri qui, almeno non avrei sprecato tempo cercandoti da tutte le parti!

-Scusami Tulkas, ma dovevo parlare in un posto tranquillo con Belthil.

Il suo sguardo si spostò su di me che ero rimasta in disparte vicino alla cascata. Mi scrutò da cima a fondo, come se cercasse in me qualcosa di particolare.

-Sembra una bambina … non ha possibilità di sopravvivere al mio allenamento. Credimi, è una causa persa in partenza.

Ma come si permetteva di giudicarmi con un semplice sguardo?! Gli avrei fatto vedere che si sbagliava di grosso.

-Fossi in te non la sottovaluterei. Se Eru l’ha scelta ci sarà un motivo.

Manwë era accorso in mio aiuto per fortuna.

-Lo vedremo. Tu –mi indicò –ti aspetto tra trenta minuti ai piedi della montagna. Vedi di essere puntuale altrimenti …

-Sarò puntuale. Comunque non si dovrebbe urlare in biblioteca. –gli risposi a tono. Non aveva idea a chi stava andando contro.

Detto questo Tulkas mi fece un sorrisetto malizioso e, sempre a passo di carica, uscì dalla biblioteca.

-A Tulkas non sto molto a genio vero?- chiesi a Manwë, che era rimasto a bocca aperta per come avevo risposto al Campione dei Valar.

-Ci farai l’abitudine. All’inizio fa sempre così, ma se lo si conosce bene ha un cuore d’oro.

Alla sua affermazione feci una faccia alquanto perplessa. Dove vedeva il cuore d’oro in Tulkas era un vero mistero. Semmai era Manwë ad averlo, non di certo il  Signor Musone.

Mancavano cinque minuti e stavo correndo a rotta di collo giù per le scale che mi avrebbero portata alla porta della montagna, dove mi stava aspettando quel gran simpaticone di Tulkas.

Nel frattempo Manwë mi aveva accompagnato in camera mia e mi aveva dato i vestiti che avrei dovuto indossare per l’allenamento.

Era tutto in colori scuri, fatta eccezione per una sciarpa verde che mi avrebbe protetto il collo, con all’estremità delle piume. I pantaloni marrone scuro erano molto pesanti e avevano ginocchiere in cuoio molto resistente ma leggero. Sulla maglietta a maniche corte avevo messo uno spallaccio(?) dello stesso materiale delle ginocchiere. Alla mano sinistra inoltre avevo una specie di polsiera con la parte superiore metallica. Sembravo pronta per un vero combattimento.

Infine mi aveva condotto alle scale che portavano ai piedi della montagna.

-Quante rampe sono?- chiesi.

-Credo più di cinquanta … ti conviene correre.

“Cinquanta?!”

-Ehm non ci sarebbe un’altra via più veloce?

-Si ma per quella dovrai aspettare.- mi rispose alla fine.

E così avevo cominciato a correre, perdendo il conto delle rampe di scale.

Mancava meno di un minuto e per fortuna cominciavo ad intravvedere la luce naturale. Ancora venti scalini.

Con un ultimo sforzo mi fiondai fuori da quella porta di roccia.

Per poco non andai contro Tulkas che stava davanti alla porta con le braccia conserte. Mi squadrò dalla testa ai piedi, di nuovo. Cominciavo a non sopportarlo questo atteggiamento da superiore. Certo lui è un Valar, ma neanche Manwë, il suo re, mi guardava in quel modo.

-Sono arrivata puntuale.

-No, hai ritardato di dieci secondi. Fa’ in modo che non si ripeti ancora.

Annuii sbuffando.

“DIECI SECONDI?! Che pignolo …”

Mi fulminò con lo sguardo.

-Hai intenzione di sbuffare tutto il tempo? Se è così puoi anche scordarti di imparare qualcosa da me. Se invece vuoi avere qualche possibilità di non fallire miseramente dovrai seguire le mie regole, intesi?

Questa voltai annuii senza fiatare.

-Te le elencherò mentre ci dirigiamo all’arena fatta apposta per il nostro allenamento. Cerca di stare al passo.

Peccato che il suo “passo” era una vera e propria marcia veloce. Ogni volta che lo raggiungevo lui aumentava di proposito il ritmo, mentre elencava le sue regole.

-Primo:non si infrangono per nessun motivo le seguenti regole; Secondo: non si piange, è una cosa da deboli; Terzo: si utilizzano le armi solo nell’arena, questa è un isola pacifica;Quarto: farai tutto quello che ti dirò di fare, senza fiatare, senza fare domande inutili e soprattutto senza controbattere da bambina viziata; Quinto: sveglia all’alba e allenamento fino al tramonto, non sono ammessi ritardi; Sesto: indossa sempre la divisa che ti ha dato Manwë, ti proteggerà; Settimo: tutto quello che ti insegnerò sarà da utilizzare solo in casi di estrema necessità.  Bla,bla,bla …

Non lo stavo già più ascoltando. L’essenziale almeno lo avevo sentito, il resto erano tutte sciocchezze come il riporre tutte le armi in ordine, non avere distrazioni ecc…

Alla ventiquattresima mi stavo seriamente chiedendo se avessero fine e quanto era distante questa arena. Durante il discorso di Tulkas avevo cercato di memorizzare il percorso, così le volte successive ci sarei arrivata da sola senza ascoltare di nuovo il sermone di quel rompi scatole.

Ad un tratto ci addentrammo nella folta boscaglia, e dopo alcuni minuti eravamo giunti a destinazione.

-Eccola.- dissi in un sussurro.

Quell’arena era una vera e propria meraviglia.

ANGOLO DELL’AUTRICE

E dopo giorni e giorni sommersa in un mare di fazzoletti ce l’ho fatta a pubblicare !

Come sempre ringrazio chi continua a leggere questa storia, vado avanti grazie a voi <3

Bacioni

Giulia :3

|Belthil|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora