Capitolo 20

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Finalmente stavamo per entrare a Mithlond.

L’ingresso non era sbarrato da alcun cancello, ma si sviluppava in un lungo viale affiancato da una serie interminabile di alberi secolari ed imponenti, fino ad arrivare ad una grande volta a botte fatta con rami di alberi bianchi.

-Ed è qui che le nostre strade si dividono- disse Calen.

-Magari ci incontreremo ancora, non credi?

-Lo spero tanto- rispose sorridendomi.

Ancora una volta prese la mia mano e appoggiò le sue morbide labbra su di  essa. Il mio strano brivido non tardò ad arrivare.

-Adesso vai dai quell’Elfo seduto sotto la volta. Ti farà alcune domande e se risponderai con astuzia ti porterà dal Re. Non è facile entrare nella mia terra. 

-Capito. Arrivederci Calen.

-Arrivederci … Belthil.

Pronunciò il mio nome lentamente, come se non volesse prendere congedo da me. Mi voltai, sollevai il cappuccio del mantello e camminai decisa verso la volta senza voltarmi.  

Come mi aveva detto Calen, trovai un giovane Elfo seduto sopra ad un piccolo sgabello di legno. Appena mi vide scattò in piedi e mi venne incontro.

-Chi vuole entrare nel regno di Gil-Galad?

-Belthil da Lorien, mio signore- mentii ancora una volta.

-Come mai un’Elfa di Lorien è giunta fino a qui?

-Chiedo udienza con il Re, devo riferirgli un messaggio importante.

-Lo potete dire a me. Lo comunicherò al più presto al mio signore.

-Mi è stato ordinato di consegnarglielo io stessa.

-E così sia. La prego di seguirmi.

Annuii con il capo e lui cominciò a farmi strada. Una volta oltrepassato l’ingresso ci trovammo su una breve scalinata decorata ai lati con statue di marmo rappresentanti i grandi eroi che partirono da Mithlond. La scalinata si sviluppava in tre direzioni e noi imboccammo quella centrale discendente  che ci portò al porto, nel quale vi era sempre una nave pronta a partire per Valinor.  Da lì potei ammirare la bellezza di quella città. Le strutture più possenti erano costituite da acquedotti che, grazie all’abilità degli Elfi, raccoglievano l’acqua del mare e la rendono potabile, dando autosufficienza all’intera città. Su questi acquedotti vi erano piccoli appostamenti per le guardie e gli arcieri in caso di guerra. Le strutture abitabili invece si sviluppavano in verticale seguendo una scala a chiocciola, coperta da bianche mura. Ancora una volta vidi il mare e all’orizzonte,dove il golfo si apriva sul mare aperto, vi erano due fari, chiamati Fari dei Rifugi. Questi fari avevano il compito di segnalare la presenza della città ai viaggiatori che si trovano per mare e di comunicare direttamente con la riva per mezzo di segnali di fumo o giochi di luce.

Da lì imboccammo un piccolo sentiero di ciottoli che ci portò all’ingresso della reggia. Anch’essa si sviluppava in altezza con alte torri ed era fatta di marmo chiaro che risplendeva alla luce del sole. La porta era di legno scuro intarsiato con motivi che riprendevano il tema del mare. L’Elfo che mi aveva accompagnata fino a lì fece un cenno alle guardie, le quali aprirono le pesanti porte. Ci ritrovammo in un ampio salone circondato da alte colonne che arrivavano fino alla guglia dell’alto soffitto. La stanza era caratterizzata dal contrasto tra il marmo chiaro del pavimento e la grigia pietra delle pareti e delle colonne. La pietra sembrava essere stata presa dagli stessi scogli che sorreggevano la città. Sul fondo vi era un trono di legno bianco sopra al quale vi era appoggiato un mantello regale blu e oro.

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