capitolo 32 veleni

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"Oliver.
Mi stai ascoltando?"
No, non lo sta facendo.
E da mezz'ora che Emma gli spiega un concetto di matematica.
Ma ad Oliver da un orecchio gli entra e dall'altra gli esce.
Dopo la mattinata di merda, passata tra allenamenti e messaggi del padre che gli ricorda che tra un’ora deve andare in ufficio con lui, pensava che passare un po' di tempo con la Lopez sarebbe stato un bene.
Aveva sorriso quando la ragazza l'aveva chiamato, per dirgli che lo stava aspettando in biblioteca.
Ma, dopo mezz'ora di numeri e concetti, il nervoso invece di diminuire sale.
Poiché lo sguardo non vuole abbandonare l'orologio che continua a girare, segnando ogni minuto, un minuto in meno che manca all'incontro con il padre.
"Oliver."
Ripete lei, alzando di un tono la voce, chiudendo di botto il libro.
Ringraziando che oggi la biblioteca sia libera.
Così facendo, finalmente attira lo sguardo di Oliver.
"Che c'è?"
Chiede annoiato e nervoso.
Mentre anche il suo corpo lo tortura, contando ogni battito del suo cuore come secondi che passano.
"Non è giornata Johnson.
E se non hai voglia di lavorare, dimmelo e basta."
Lo riprende Emma, cercando di rimanere empatica davanti a lui.
Mentre dentro ha un uragano da ieri sera.
A parte l'appuntamento che avrà con Andrea tra mezz'ora, ieri sera ha ricevuto una chiamata dalla clinica, che le hanno detto che le analisi del sangue sono pronte.
Esse le diranno se le pillole stanno aggravando la sua salute.
E se così fosse, non potrà più usarle e ciò comporterebbe più mali che bene.
Quindi entrambi si trovano con i nervi tesi.
Illusi di calmarsi insieme all'altro, con il risultato di essere ancora più stressati.
"Ti ricordo che ti pagano con crediti per darmi ripetizioni.
Quindi rompi meno le palle."
Ed esplodono, prendendosela con la persona che meno se lo merita.
Ma è inevitabile, se due uragani si scontrano non creano nulla di buono se non distruzione.
"Hai ragione, potrei fottermene.
Venire qui e non fare un cazzo, proprio come fai tu.
Con il risultato che tu verrai bocciato ed io avrò lo stesso i miei crediti."
Ed è un déjà-vu del loro primo incontro proprio qui.
Proprio a questo tavolo.
Ma loro sono troppo presi a sfogarsi, per rendersi conto di non essere le stesse persone di all'ora.
"La solita presuntuosa del cazzo.
Chi ti dice che senza di te non potrei farcela.
Non sei così speciale, anzi non sei nulla di che."
E quando ci si sente feriti, si può solo ferire.
Ci si fa del male, dimenticando quanto bene ci si è fatti.
"Infatti vedo i risultati.
Ti ricordo che sei ancora in squadra solo grazie al culo che mi sono fatta io."
Emma non lo pensa davvero.
Sa lo sforzo e il lavoro che ha fatto lui per raggiungere i risultati.
Ma sentirsi dire che non vale nulla, la ferita troppo.
Troppe volte.
"Tante storie per quattro appunti del cazzo.
Persino mia nonna saprebbe fare di meglio.
Perciò tiratela di meno."
No, non è così.
Oliver ammira in realtà l'impegno che ci mette in ogni appunto che gli regala.
Quanto sia brava nelle sue spiegazioni.
Ma già ha il padre che sminuisce il suo lavoro.
Non può permetterlo anche a lei.
E non soddisfatto, gira il coltello nella piaga.
Un ultimo colpo, che arriva dritto al cuore di lei.
"Forse se passassi meno tempo a farti scopare dal tuo ragazzo, potresti fare di meglio."
Ferita, affondata, seppellita.
Ad Emma non resta che ingoiare a vuoto e abbassare lo sguardo.
E lasciare che il dolore di quelle parole colpiscano a sua volta.
"Sai, se passassi più tempo ad amare, invece che a sputare veleno, forse anche tu avresti una ragazza.
Ma per te è più facile distruggere che creare."
E nella fossa dove è caduto il cuore di lei, ci sprofonda anche quello di lui.
Ci affoga mentre la guarda andare via, senza nemmeno recuperare i suoi quaderni.
Smette di battere mentre lei gli dà le spalle e scompare dietro la porta.
Non doveva farlo, non doveva dirgli quelle cazzate, Oliver ne sente il peso sulla coscienza.
Ma purtroppo ha ragione lei, per lui è più facile distruggere che creare.
E rimane seduto, passandosi le mani tra i capelli, per poi prendere una decisione.
Passare la prossima ora a studiare, per poi chiamarla e chiederle scusa, dimostrandogli di aver capito grazie i suoi appunti.
Gli stessi che Emma ha dimenticato li, troppo presa dal suo cuore che scoppia in petto.
In fretta e con mani tremanti ingoia una pillola.
Solo una, come l'ha obbligata il dottore, sperando che l'effetto duri abbastanza da superare anche l'incontro con Andreas.
Poiché il numero di pillole che ingoia cambiano sia la durata che l'amplificazione dell'empatia.
Appena esce dall'istituto lui è già lì.
Puntale e perfetto nella sua presunzione, se ne sta lì appoggiato alla sua bella macchina.
Fissandola, nascondendo le sue emozioni dietro gli occhiali scuri.
"Andiamo."
Gli dice semplicemente, con un gelo che lei però non percepisce.
Poiché la sua anima si è ghiacciata al tavolo sette della biblioteca, dove ha lasciato anche il cuore.
Nella macchina solo la musica risuona, coprendo i lunghi respiri di lui e quelli più tenui di lei.
Che si lascia abbindolare dal panorama fuori dal finestrino, volendo essere in tutt'altro posto e con tutt'altra persona.
E Britney Spears ha ragione nella canzone toxic, ed Emma ci si sente pienamente lei in queste parole.
Pensando ad Oliver, a quanto sia tossica la loro attrazione.
A come la faccia salire in alto, per poi lasciarla cadere giù.
E non è come queste pillole, che oggi non le fanno effetto.
No, lui è pericoloso.
Poiché da adrenalina, ti fa sfiorare una stella, per poi esplodere e diventare nulla.
E anche questo ragazzo al posto di guida, è tossico.
Ma è un veleno diverso.
Poiché Oliver è un veleno dolce che promette il paradiso.
Mentre Andreas è l'inferno che ti avvelenata fino a tirarsi a se.
Oliver porta alla dipendenza, ti fa amare il modo in cui ti uccide.
Mentre Andreas brucia come un ago che pizzica la vena, è una dose tagliata male che uccide.
Le note risuonano ancora, mentre Emma nota la panoramica cambiare.
Passare dalla costa a una strada sterrata in un bosco.
"Dove mi stai portando?"
Chiede in un filo di voce, senza degnarlo di uno sguardo.
Perché non le interessa davvero, a lei basta sapere che presto finirà e tornerà a casa.
"Ti ricordi la casetta sul lago?
Quella in cui andavamo con i tuoi amici?
Ho pensato che sia un bel posto dove andare a chiacchierare."
Un bel posto dove nessuno ti troverà.
E questo che pensa in realtà, mentre il nervoso gli scorre in vena spinto dalla indifferenza di lei.
Ma non importa, che faccia pure.
Una volta arrivati lì, non potrà scappare, nemmeno nei suoi pensieri.
E lei, ignara di tutto, torna a guardare il panorama.
Gli alberi talmente grandi da creare un tunnel su di loro.
Guarda gli uccellini volare in cielo, liberi come il suo cuore non sarà mai.
Si lascia avvelenare dall'illusione di essere quella farfalla che vive solo un giorno, ma libera e felice come Emma non sarà mai.
Solo una cosa può decidere Emma.
Lasciarsi intossicare dall'attrazione di Oliver.
Permettere che il veleno di Andreas la distrugga.
Oppure porre fine con le sue stesse mani che portano pillole alla bocca.
Il punto , pensa Emma, è di chi sia quella tazza di veleno che le stanno servendo.
Se il suo male sarà uno dei due ragazzi o se stessa.
E si sente sottomessa Emma.
Dalla attrazione verso Oliver, dal controllo che ha Andreas su di lei, da queste pillole che sono cura e veleno.
Ed Emma è pronta.
E’ immobile ad attendere di capire quale veleno toccherà la sua bocca l'ultima volta.
Sulle ultime note della canzone, la macchina ferma la sua corsa.
Parcheggiata senza cura davanti a una piccola casa di legno.
Ha tanti bei ricordi qui Emma.
Ci ha passato le vacanze due estati fa, insieme a Sofia e Lucas.
Un estate perfetta se non si fosse imbucato anche Andreas.
Si incammina verso la porta, lasciandosi alle spalle un lago spettacolare e calmo.
Al contrario dei cuori dei due spettatori.
L'interno della casa, non è nulla di che.
È semplicemente una casa abbandonata, forse appartenuta a un club di cacciatori.
L'unica cosa positiva è la presenza di un water e dell'acqua nelle tubature.
Il resto sono arredi che i ragazzi hanno recuperato.
Come un vecchio divano e un tavolino.
Emma sfiora il tavolino, sporcandosi le dita di polvere.
Ricordandosi che è da tanto che ci manca.
Forse un po' troppo.
"Ora.
Parliamo di cose serie."
La mano di lui che la stringe dai capelli, la fa ricapitolare nella realtà.
Una crudele realtà che legge negli occhi furiosi di lui.
Di lui che ha buttato via la maschera della calma.
Ed ora riversa la sua rabbia sulla presa stretta su di lei.
"Posso accettare che tu a letto sia insipida peggio di una bambola gonfiabile.
Posso accettarlo, infondo a me basta avere il tuo corpo."
Stringe con più forza, rubandole un mugolio di dolore.
E nulla può la mano di lei che cerca di fargli abbandonare la presa salda.
"Ma, essere trattato come un cretino.
E sentirmi un cornuto mentre tu ti fotti quella testa di cazzo, no.
Questo non lo accetto."
La lancia malamente a terra, facendole respira in affanno la polvere.
"Come pensi mi sia sentito quando ho ricevuto questa foto.
Dove la mia ragazza si lascia toccare come una puttana."
Urla lui, mostrandogli lo schermo del suo telefono.
Che si spacca poco dopo, quando lui lo lancia contro il muro.
Ma prima che venisse buttato via, Emma ha visto bene la foto.
Che ritraeva la scena di una settimana prima, dove Oliver le curava la caviglia in infermeria.
Prova a parlare lei, a spiegargli.
Ma lui le tappa la bocca, tirandole un calcio nello stomaco.
Che le blocca persino il respiro.
"Puttana."
Continua a insultarla, colpendola un altro paio di volte.
Crudele e senza pietà quando la vede sputare sangue e sporcarsi il viso di terra.
In ogni colpo ci mette la rabbia, l’umiliazione provata alla vista di quella foto, che ha confermato ogni suo dubbio.
E lei li subisce tutti, uno dopo l'altro, soffocando il respiro che si spezza nello stomaco.
Non sa cosa faccia più male.
Se lo stomaco, la gola intrisa di sangue, o il cuore che presto esploderà.
Quando finalmente si ferma, la guarda e gode nel vederla tremare e soffocare nel suo stesso sangue.
Con la mano tremante, davanti allo sguardo del suo aguzzino, cerca di prendere la borsa.
Ma lui gliela strappa via prima che lei possa sfiorarla.
Svuotandone il contenuto a pochi passi da lei.
Passi che lui sa che la ragazza non ha la forza di fare.
Le si inginocchia davanti, passandosi tra le mani il contenitori delle pillole.
Che Emma brama più di ogni altra cosa.
"Cercavi queste vero?"
Chiede lui dolcemente, per poi mostrarsi per ciò che è.
Sorridendo sadico, per poi lanciarle lontane, fuori dalla porta di casa.
"Non ti lascerò scappare nella tua empatia del cazzo.
Devi soffrire in agonia, pagando per l'umiliazione che mi hai dato."
Un ultimo calcio nello stomaco, prima di abbandonarla li, stesa su quel pavimento.
Convinto che se non potrà averla lui, non l'avrà nessuno.
Ed Emma rimane lì, con una mano sul petto, con l'unico rumore il suo cuore e le ruote che sgommano sulla terra e si allontanano da qui.
Rimane sola, con il respiro incrinato e debole, il cuore ormai vicino a crollare.
Ed è disperazione, confusione per tutto ciò che è successo.
Non capendo come ci è arrivata qui.
Stesa su un pavimento polveroso, a soffocare nel suo stesso sangue.
Poi qualcosa spezza il silenzio.
La suoneria del suo telefono, che vibra sul pavimento di legno, a pochi passi da lei.
E ci prova a muoversi, ci prova a raggiungere il telefono per chiedere aiuto.
Supplica con disperazione il proprio corpo di muoversi.
"Segreteria telefonica..."
Oliver chiude la chiamata, amareggiato che Emma non gli risponda.
Forse ancora arrabbiata per la discussione avuta poche ore fa.
Stringe il telefono tra le mani, snervando la segreteria che ha davanti, con il movimento incessante della gamba.
Dopo aver studiato gli appunti, il padre la portato in azienda, per poi abbandonarlo nella sala d'attesa.
E Oliver aveva deciso di usare questi minuti liberi, per contattare Emma.
Ma nulla.
Tra pochi secondi il padre lo chiamerà per entrare nell'ufficio.
Quindi non ha molto tempo per decidere se richiamarla o no.
"Signorino Johnson, suo padre la vuole nel suo ufficio."
Lo avvisa la segretaria, decidendo per lui sul dare farsi.
Si alza dalla sedia scomoda, mettendo via il telefono, rimandando la chiamata a questa sera.
Mentre su quel pavimento polveroso, Emma ringrazia l'impostazione di richiamata veloce.
Prima che Oliver apra la porta, il telefono squilla.
E il nome della Lopez illumina lo schermo.
Oliver è tentato a rifiutare la chiamata.
Poi però qualcosa lo spinge a rispondere, anche solo per dirgli che si sentiranno dopo.
"Emma.
Scusa adesso non posso par..."
Ma la voce gelida e inclinata di lei, gli ferma il respiro in gola
"Oli...
Ai...
Uta...
Mi..."
È appena un sussurro, spezzato in sillabe, pronunciato con forza e disperazione.
Oliver perde un battito, abbandonando la maniglia ancora alzata.
Per poi dare le spalle alla porta.
"Emma.
Dove sei?
Dove sei Emma?
Che è successo?"
Preme con rabbia il pulsante dell'ascensore.
Ma esso è ancora al primo piano, rispetto al quarantesimo dove si trova Oliver.
E lui non può aspettare, soprattutto per i respiri incrinati dall'altra parte della cornetta.
"So..."
Ci prova Emma a parlare, ma la gola è serrata e piena di sangue.
E il cuore gli stordisce le orecchie.
"Oliver."
Lo richiama il padre, ma è troppo tardi.
Oliver sta già scendendo per le scale.
Supplicando Emma di dirgli qualcosa.
"Emma.
Dove sei Emma?
Resta con me, ti prego."
Salta le scale tre alle volte.
Con il cuore che fa lo stesso movimento in gola.
Mentre dall'altra parte si sentono solo respiri affannati e una tosse pericolosa.
Emma stringe una mano sul petto, dandosi l'ultima spinta, l'ultima speranza.
"Los Carneros."
Sussurra, poi la mano diventa debole e il telefono cade a terra.
Lasciando ad Oliver una linea chiusa e due parole a cui non sa dare un significato.
Corre fuori dall'azienda, cercando velocemente una soluzione.
Cercando di capire che cazzo stia succedendo.
Fa velocemente il numero di Rayan, per farsi venire a prendere.
Mentre nella mente ripete quelle due parole.
Chiedendosi cosa sia Los Carneros.
Una città, una via.
Dove cazzo si trova Emma?
"Mi dispiace, ma Rayan sta guidando.
Ti chiama dopo."
Risponde Sofia, ridacchiando serena, pronta a mettere giù e godersi l'uscita con il suo amato.
"Digli di venirmi a prendere all'azienda.
Emma è nei guai e..."
Sofia perde il sorriso, andando completamente in panico
"Che vuol dire che è nei guai?
Dov'è?
Con chi?
Che cazzo è successo?"
Continua ad urlare la bionda, facendo saltare i nervi tesi di Oliver.
"Stai zitta cazzo.
Mi ha solo detto Los Carneros, ma non so che cosa significhi."
Sente Sofia dare indicazioni a Rayan, sente persino il motore aumentare i giri e la mente della bionda cercare una risposta a quelle due parole
"Non ti ha detto altro?"
Gli chiede, per poi sbraitare contro qualcuno.
"Chi cazzo ti ha dato la patente?
Togliti dal cazzo."
Urla talmente forte, che Oliver è costretto ad allontanare il telefono dall'orecchio
"No, nulla, ma solo chiesto aiuto."
Oliver è vicino ad esplodere.
La disperazione di Emma gli scorre ancora nei pensieri, macchiando ogni cosa.
Sente e vede solo lei, chissà dove e in quale stato.
"Ci sono.
Cazzo forse so dov'è."
Urla Sofia nello stesso momento in cui Rayan parcheggia davanti all'amico.
Che rischia di far cadere molte persone per sbrigarsi a salire su.
"Allora?
Dove cazzo è?"
Chiede lui, guardando la bionda seduta davanti, mettendo via il telefono.
"Qualche anno fa abbiamo passato l'estate in una casetta sulla riva di un lago.
Se non sbaglio era proprio il lago Los Carneros."
Sofia non è sicura al cento per cento, ma non gli vengono alla mente idee migliori
"Dai indicazioni a Rayan.
Io provo a richiamarla."
Oliver riprende il telefono, rifacendo il numero di Emma.
Che però suona a vuoto.
Lei lo sente lontano, sente quella suoneria impersonale vibrare sul pavimento di legno.
Ma le forze ormai l'hanno abbandonata.
Rimane vigile, cosciente, mentre il suo corpo cede al dolore.
Le emozioni sono pericolose, sia quelle positive che negative, soprattutto per Emma.
Lo stress, il dolore emotivo sono un coltello che gli gira nel petto.
La testa duole, scombussolando il corpo, mandando in tilt ogni organo.
Sentendo i polmoni produrre sempre meno ossigeno e il cuore pompare sempre meno sangue.
E alla fine viene ingoiata dal vuoto, perdendo la presa sulla suoneria incessante che fino ad ora la tenuta a galla.
Si lascia andare a un sonno tranquillo, che finalmente le da sollievo dal dolore.
Si lascia cullare, pensando che non è così male.
Che è piacevole questo senso di pace, di libertà.
È dolce il veleno che la sta portando via da questa vita, che tra poco le ruberà l'ultimo respiro.
"Fermati.
E’ qui."
Urla Sofia, scendendo dalla macchina ancor prima che essa si ferma.
Seguita da Oliver, che abbandona il telefono sul sedile, per poi correre dietro alla bionda.
"Merda.
È bloccata.
EMMA."
Urla il suo nome Sofia, cercando di togliere la tavola che blocca la porta principale.
"Togliti."
L'avvisa Oliver,  prendendo una ricorsa, usando la spalla come ariete.
La porta cigola e si inclina.
Ma cade giù solo dopo il terzo colpo.
Cade giù, alzando la polvere e facendo rumore, che però non supera le urla di Sofia.
"Emma."
Corre dall'amica, inginocchiandosi al suo fianco.
Spingendola a girarsi a pancia in su.
"Emma ti prego, apri gli occhi.
Ti prego, non mi lasciare.
Ti supplico."
Continua ad urlare, accarezzandole il viso.
Sotto lo sguardo impietrito e addolorato di Oliver.
Che guarda la ragazza stesa a terra, con le mani sporche del suo stesso sangue.
Lo stesso che vede macchiarle la bocca.
"Porta fuori Sofia e chiama l'ospedale più vicino."
Rayan annuisce, prendendo di peso Sofia.
Che non si lascia portare via facilmente.
"Lasciami stronzo.
Emma.
EMMA."
Urla, con Rayan che la porta in macchina.
Mentre Oliver si avvicina ad Emma.
"Resisti.
Non osare morirmi tra le braccia.
Non te lo perdonerei mai."
Sussurra prendendola in braccia.
Con un nodo in gola nel vederla incosciente.
E partono in una corsa senza limiti di velocità verso l'ospedale più vicino.
Che è già stato avvisato dell'emergenza.
Oliver prega Rayan di fare più in fretta, mentre sente i battiti di Emma diventare sempre più deboli.
Nessuno di loro si chiede cosa sia successo e perché.
Usano tutte le loro forze per pregare di vedere di nuovo i suoi occhi aperti.
"Ti prego.
Non ti arrendere, non ancora."
È la preghiera di tutti, mentre il motore aumenta i giri e il suo respiro diminuisce.
Il veleno è dolce e letale.
Ma non sta avvelenando solo lei...

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