capitola 30 solo per stanotte

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Fine gennaio, porta solo amarezza e il gelo della distanza.
Per esempio le distanze prese da Isa e Lucas.
Distanza solamente fisica, poiché con la mente sono ancora stretti in quel ballo di inverno.
E Lucas la guarda di nascosto, mentre lei si frequenta con Marco.
E lei, lei finge che va tutto bene, mentre prende le distanza dal suo dolore.
E la stessa cosa sta facendo Emma.
Stesa su un letto, prende distanza dal mondo che è rinchiuso dentro di sé.
Per sopravvivere, per fingere di non essere qui.
Ne meno le pillole possono placare il disgusto che arriva fino al cuore.
Superando gola, stomaco, respiro.
"Sei bellissima."
Gli ansima sulla pelle Andreas, toccandola e lasciando segni.
Macchiandola di questo sesso, che non è altro che questo.
Insipido sesso.
Se lo aspettava Emma, ha atteso questo momento con terrore.
Sapendo che prima o poi Andreas si sarebbe spinto a tanto.
La visto negli occhi di lui, quando è venuto a prenderla all'istituto.
Quando le ha detto che sarebbero andati a casa di lui.
E ha ingoiato due pillole.
Ma, a saperlo, ne avrebbe ingoiate di più.
La mente, non va sotto overdose.
Rimane presente, vigile ad assaporare il disgusto delle mani di lui sul proprio corpo.
La camicia che viene aperta, il suono di alcuni bottoni che saltano.
Mentre lui continua a ripeterle che è bella.
Ma lei non si sente tale.
Si sente sporca e segnata a vita.
Si sente come una maglia bianca che finisce nel fango, sapendo che non tornerà più come prima.
E non è la sua prima volta.
E non è la prima volta con Andreas.
Ma non riesce a ricordare quanto era bello all'ora, mentre le sue mani scivolano sul pantalone e la bocca gli lascia altri segni sul collo.
Era innamorata di Andreas un tempo.
Si erano conosciuti a una festa, ed era stato un colpo di fulmine.
Si sono amati per un anno, vivendo la vita di due adolescenti che vogliono conoscere la vita.
Poi era arrivata la malattia di lei, e tutto era cambiato.
Lui invece di diventare compressivo, e diventato possessivo.
Come se il suo possesso potesse superare quello della malattia dentro di lei.
Soffocante e stressante, cercando di allontanarla dai suoi amici.
Poi, il colpo di grazia, il tradimento.
E lui aveva avuto anche il coraggio di dire che era stata colpa di lei.
Che la sua assenza la spinto tra le braccia di un'altra.
Poi un litigio, la prima crisi, la prima corsa in ospedale.
E gli amici l'hanno obbligata a lasciarlo, sostenendola finché non si è ripresa dal tutto.
Il resto è storia che è già stata scritta.
Andreas l'ha ossessionata fino a vincere.
Fino a costringerla a tornare con lui.
"Tu sei mia."
Sussurra, mordendole una spalla con forza.
Volendo lasciarle più segni possibili addosso, come una scritta che dichiara che lei è sua.
Ed Emma chiude gli occhi, trattiene il respiro, mentre i vestiti volano via.
Pelle su pelle, sono brividi, ma non di quelli piacevoli.
Ricordano quelli che si provano al buio, quelli che ti porti adesso dopo aver avuto un incubo.
Quelli che si provano dopo una caduta, una ferita.
Ed è così che si sente lei, perduta tra queste mani che la spingono in fondo agli abissi.
E non può dire no, non è un suo diritto.
Deve rimanere ferma a subire, sperando che finisca presto.
Ed è doloroso l'effetto della carne secca contro la plastica del preservativo.
Ed è violento e crudele il movimento da subito veloce.
A strappare versi di piacere a lui, mentre lei soffoca le urla.
Non vuole urlare, non lo farà.
Gli sta già violentando il corpo, non glielo permetterà anche contro la sua anima.
E sente i denti di lui sulla carne dei seni, le mani che stringono i fianchi con forza, le parole volgari che gli sputa addosso come veleno.
Sente la propria carne stringersi contro l'intruso.
"Si puttana.
Stringimi dentro di te."
Ma lui lo prende come un incentivo per spingersi con più forza.
Ignaro, anzi, fregandosene della carne che si lacera.
Rischiando di sanguinare.
E lei chiude con forza gli occhi, trattenendo il respiro.
Cercando rifugio nella sua mente.
Cercando un bel ricordo che la nascondi finché non è tutto finito.
Sfiorandolo con un dito, prima di essere sbattuta di nuovo su questo maledetto letto.
Poiché i suoi versi sono prepotenti, le spinte dolorose.
Ed è nauseante sentire il sudore di lui sulla propria pelle.
Poiché sembra si stia tatuando sulla sua pelle.
Nemmeno l'acqua bollente potrà cancellare tutto questo.
"Ci sono quasi."
Si spinge più veloce, con più forza stringe il suo seno.
Mentre lei prega con più forza, prega che quel Dio che la sta guardando, di non dargli le spalle.
E lui grida più forte, versandosi nel preservativo, pesando su di lei fino a soffocarla fisicamente.
Come ha già fatto con la sua anima.
Quando finalmente lui si sposta, lei si mette a sedere, stringendo un labbro tra i denti trattenendo il dolore che si porterà addosso per giorni.
Ma la mano di lui l'afferra, prima che lei possa recuperare i suoi vestiti, tirandola di nuovo giù.
"No mio amore.
Questo era solo l'inizio."
Gli sputa addosso velenoso, insoddisfatto dello sguardo impassibile di lei.
Ma la possiederà per ore, fin quando l'effetto della droga non svanirà.
Finché non vedrà smorfie di dolore sul suo viso.
E torna a toccarla, strappandole un pezzo di anima in più, restituendola con lividi che mai svaniranno.
"Basta così ragazzo.
Tra qualche ora hai l'incontro.
E meglio arrivarci in forza e ben riposato."
Lo ferma Al, lanciandogli un asciugamano.
Che Oliver si posa sul collo scoperto.
Oggi si sono allenati un'ora in più, poiché si prospetta un incontro interessante e pesante.
Ma Al ha ragione, ora ha bisogno di una doccia e di riposarsi un po'.
Dato che a casa sa esserci il padre, decide di fermarsi qui.
Al gli ha messo a disposizione la doccia e la buona cucina di Diana.
Così, dopo aver bevuto quasi tutta una bottiglietta d'acqua, si rifugia negli spogliatoi.
Per poi infilarsi sotto l'acqua calda della doccia.
Ed è sorprendente come l'acqua rilassa i muscoli e i nervi.
Come sembri lavi via ogni cosa, lasciandolo nudo e svestito di ogni pensiero.
E scivola sulla pelle, sanando i lividi e le ferite.
E scivola sul viso, come una carezza che sostiene.
Ed è così che si Oliver sotto il getto dell'acqua bollente.
Come se essa potesse bruciare ogni problema, lasciando solo la pelle arrossata.
I pomeriggi nell'azienda con il padre, il colletto della camicia troppo stretto, fingere sorrisi nascondendo la voglia di mandare a fan culo tutti quegli snob.
E gli allenamenti estenuanti.
La responsabilità di portare la squadra alla vittoria.
La presenza dei primi scout che potrebbero dargli il futuro che vuole.
E i test sempre più difficili e le lezioni di Emma essenziali ma diversi da come erano all'inizio.
Il vuoto nello sguardo di lei, il sorriso che ha perso da troppi giorni.
E vederla andare via con lui.
Ed è soffocante, ed è tutto ciò che scivola via con l'acqua.
Gocce che scivolano sul suo viso, accompagnando le lacrime di nervoso.
E il pomo d'Adamo che sale e scende, cercando di ingoiare l'angoscia.
Le urla dentro la testa, una violenza contro se stesso.
Dirsi che non ce la farà, che non sarà mai capace di superare tutto.
Alzare il viso, chiudere gli occhi e lasciare che l'acqua porti via tutto.
Che tutti i problemi finiscano nello scarico.
E la bocca ora bagnata, trattiene un bacio, un ricordo.
E la mente lo custodisce quell'ultimo bacio.
Quel brivido, l'acqua bollente non lo cancellerà.
Poiché è una macchia sulla sua bocca rossa, nella consapevolezza che combacia perfettamente con quella di lei.
"Sbrigati ragazzo.
Non vorrai diventare una rana."
Lo sgrida Al, richiamandolo alla realtà.
Che piomba sui polmoni, facendolo respirare di colpo.
Facendogli appoggiare la fronte sulle piastrelle fredde.
Maledicendosi per questi pensieri che gli tolgono un battito ogni volta.
E chiude l'acqua, e l'effetto svanisce di colpo.
Era solo un illusione, i problemi e i pensieri sono ancora impressi sulla sua pelle.
Fanno compagnia ai suoi tatuaggi.
Esce fuori, con i brividi tra il calore della doccia e l'impatto del gelo della realtà.
E ultimamente tutta la sua vita è così.
E un alternarsi tra calore e gelo.
È un alternarsi tra avere lei tra le braccia e perderla subito dopo.
Estenuante e soffocante.
Dopo essersi vestito e asciugato i capelli con una passata veloce di asciugamano.
Entra nel salone già pieno, dato che sono già le otto.
Al ha ragione, oggi hanno davvero esagerato.
Eppure Oliver si sente bene, riposato grazie allo sfogo fisico.
"Vai a sederti ragazzo.
Ti porto una bella bistecca, ne hai bisogno."
Oliver cerca di controbattere Diana.
Per dirle che andrà bene anche una insalata, ma nulla.
La bionda è già scappata in cucina e Oliver sa bene che non ha diritto di scegliere con lei.
Ultimamente la frequentata spesso, soprattutto in queste cene dopo allenamenti, anche se è la prima volta che si ritrova con il locale già pieno.
Arreso che dovrà mangiare quello che vuole lei si siede al solito tavolo.
Cercando, anche se inconsciamente, la Lopez che dovrebbe essere già in servizio.
Ma di lei nessuna traccia, l'unica presente sono Sofia e Isa, che continuano a scattare ogni volta che la porta si apre.
Non le ha mai viste così preoccupate.
Tanto da non notarlo, nemmeno quando gli passano a fianco.
"Non risponde al telefono.
Doveva essere qui già da mezz'ora."
Oliver origlia la conversazione.
Rimanendo fermo, in modo che le due ragazze non si fermino per la sua presenza.
"Stai calma Sofia.
Emma avrà trovato traffico."
Ma da come si guardano le due, si capisce che è una scusa, una stronzata.
Che la paura che le sia successo qualcosa è più attendibile.
Ed è la stessa preoccupazione che colpisce di colpo Oliver.
Che, come le due ragazze, scatta ogni volta che il campanello sulla porta suona.
Trattenendo il respiro che poi diventa uno sbuffo quando scoprono che non è lei.
"Ecco a te."
Gli dice Diana, posando una bella bistecca davanti a lui.
Senza che Oliver la guardi, troppo preso da vedere chi entra e chi esce dal locale.
E Diana sa bene perché, poiché è la stessa ansia che hanno addosso lei e Al.
E' da anni che Emma lavora qui.
E mai, nemmeno una volta, ha fatto tardi a un turno.
E la mezz'ora in cui non sono riusciti a contattarla, pesa su tutti loro.
"Arriverà."
Sussurra la donna, prima di tornare in cucina.
Senza dar sapere se l'ha detto a se stessa o a Oliver.
Comunque lui è malfidente.
E non ci crede finché non la vedrà.
Mangiando velocemente la bistecca, pronto ad andare a cercarla se non arriverà da qui a poco.
Poi la porta si apre lentamente, il campanello quasi non si sente nella confusione.
Ma loro la sentono bene e sospirano di sollievo quando vedono Emma entrare nel locale.
Ma poi trattengono il respiro quando vedono il suo viso bianco, il suo respiro spezzato, le gambe che quasi cedono al passo.
Sofia e Isa corrono da lei, abbandonando vassoi e taccuini sul bancone.
Pronte a sostenere il suo passo, ma Emma alza una mano.
Non vuole una mano.
È sopravvissuta a ore di inferno, ora non vuole ancora cedere.
E cammina a passo lento verso il palco.
Sotto lo sguardo della sua famiglia, compreso Oliver, che nota ogni suo respiro ogni passo affaticato.
Abbandona i pochi morsi rimasti della bistecca, per avvicinarsi al palco, dove lei è salita.
E ora è seduta su un piccolo sgabello, stringendo tra le dita tremanti la chitarra.
Il tempo ha ormai un ordine suo e rallentato tra chi guarda e lei che respira.
Finalmente respira.
E Oliver fissa le sue mani tremanti.
Il suo viso bianco, gli occhi lucidi fissi nel vuoto.
Ma essi non sono freddi come gli ultimi giorni.
Anzi, sono fuoco di inferno.
Pieni come chi l'inferno l'ha appena attraversato.
Ed è così, l'overdose è finita e in lei è rimasta la nausea e il dolore fisico e morale.
La sua voce, accompagnata dalla chitarra, ferma ogni chiacchiera, ogni suono presente fino ad ora nel locale.
Trasformando il silenzio in un respiro che scorre tra chi l'ascolta.
E c'è chi urla per la rabbia.
C'è chi prende a pugni un muro.
Chi distrugge ciò che lo circonda.
Ma Emma, lei un fiore che nasce dallo schifo.
Lei si sfoga, creando melodia e armonia.
Tra la musica e le parole, racconta una storia.
Una favola angosciante e macabra.
La voce che graffia la gola, racconta di una principessa.
Che combatte contro mostri, che sposta le montagne e supera prove impossibili.
Ma che è umana, che sanguina se cade, che non respira se affoga.
Ed Emma canta con disperazione la sua storia, le sue paure che diventano realtà,
Crollare, diventando stelle che accompagnano il viaggio dei marinai.
E la voce le trema, eppure raggiunge la nota più alta.
E la sua anima sembra cedere, ma non lo fa.
Resiste, nonostante le gambe non la reggano.
Ed è bellissima, anche così, vestita di incubi.
E Oliver non può distogliere lo sguardo.
Come Ulisse che venne incantato dal canto di una sirena.
Ma questo non è un canto.
E' un grido d'aiuto.
Di chi sta affogando e chiede salvezza, di chi supplica un bicchiere d'acqua nel deserto.
Di chi è ferito, non solo sulla pelle, ma nella parte più oscura dell'anima.
E spinge con le dita sulla chitarra.
È spinge con la sua voce il mondo.
Come se cosi potesse spingere fuori da se questo senso di disprezzo.
Ed Oliver si sente parte di questa energia negativa, che lei sta riversando sul mondo con il suo canto.
Si sente sfiorare la pelle dal gelo che sente nella voce di lei, da come le sue ferite sembrino ricoperte di sale.
E il silenzio nella sala, è causato dalla sua disperazione, che diventa quella di Oliver.
E non sa cosa le sia successo, cosa spinga un urlo così disperato.
Ma fa un passo verso di lei, anche se lei non lo guarda.
Anche se sta affondando negli abissi dei suoi lividi.
E urla più forte, toccando quelle corde come si toccano quando escono dall'anima.
Con una tale rabbia da provare dolore.
E agli occhi di tutti può sembrare una pazza, che è salita su un palco giusto per cantare.
Ma agli occhi della sua famiglia, è una pazza che ci sta provando.
Ci sta provando a resistere, ad essere più forte.
Nonostante sia cosciente di essere solo un umana.
E la voce è stanca, graffiata dalla rabbia che la guidata fino ad ora.
E l'urlo sfuma nel vento, lasciando il nulla.
Il silenzio.
Emma riprende fiato, con la gola che brucia e un peso in meno nel petto.
E poi è il classico cliscé.
Incontra gli occhi di lui e si spezza.
Affoga nella nebbia dei suoi occhi e si perde.
E le gambe non la reggono più, può solo ringraziare lo sgabello che la tiene ancora su.
E lui la raggiunge, sotto lo sguardo confuso di tutti.
Sotto lo sguardo acceso di Al, che ormai è succube di una storia che non conosce.
Che lo tormenta nel vedere la sua bambina cadere giù senza paracadute.
E i due ragazzi sono protagonisti di uno spettacolo, di cui nessuno sa la trama.
E le porge una mano, la invita al suo fianco.
Magari per una notte, magari per mai.
Ma la invita.
E lei guarda quella mano, come si guarda una scialuppa.
Come chi si è perso guarda la stella del mattino.
E la stringe, reggendosi a lui.
Senza che nessuno dei due sappia il motivo di questo gesto spontaneo e puro.
"Portami via."
Sussurra lei, in una supplica che lui accoglie, come accoglie la sua piccola mano nella sua grande e sporca di nero.
Il ragazzo guarda Al, forse per chiedergli il permesso o forse no.
Ma Al annuisce, sussurrandogli di portarla via di qua.
E così scappano via da tutto, sotto lo sguardo lucido e felice dei loro amici.
Che hanno visto la persona a loro cara crollare e poi essere salvata.
E Oliver corre via, portandola via con sé.
Lasciando la sua mano solo una volta arrivati alla macchina.
Che mette subito in moto, con una meta confusa anche se è l'unica che lui può raggiungere.
"Io devo combattere stasera.
Ma tu starai con me.
Solo per stanotte."
Ed Emma sorride stanca, mentre guarda il suo profilo.
Persa tra la musica dell'abitacolo e i suoi pensieri.
"Solo per stanotte."
Ripete lei, con un sorriso appena accentuato sulla bocca.
Poiché lo dicono sempre.
Si dicono sempre addio, per poi darsi il buon giorno.
E corrono tra il traffico della città.
Lui con i suoi demoni e lei con i suoi lividi.
Due mondi diversi nella stessa scatola di ferro.
Due ragazzi totalmente diversi eppure così simili.
Poiché entrambi macchiati da una vita che non è facile.
Da difficoltà e dolori che non guardano il portafoglio.
E Emma allunga una mano su quella di lui.
Condividendo lo stesso tremore, lo stesso brivido.
"Solo per stanotte."
Ripete lui, stringendo la mano di lei.
Lasciando che sia l'ennesima solo una notte.
Consapevole che lui ci sarà sempre quando la vedrà crollare.
Consapevole che lei ci sarà sempre quando lo vedrà crollare.
E la paura c'è, come anche i lividi e l'angoscia.
Ma c'è qualcos'altro, qualcos'altro che li tiene legati.
Che tiene queste due mani unite.
Ed è solo per stanotte, se lo ripetono in un mantra nella testa.
Consapevoli che è una cazzata.
Poiché è solo per l'ennesima sera che non sarà l'ultima.
E lui non le fa domande, e lei non spiega e non gli chiede come stia.
Basta il condividere un respiro, solo per stasera.
O forse per sempre.

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