CAP 03 - UN CAFFÈ

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LUCA

Devo dire che ho dormito bene. Normalmente quando cambio letto non è sempre facile ma questo materasso Memory, devo confessare che non è proprio niente male. Peccato per il piccolo incubo verso le tre di mattina, ho dovuto andare in cucina per bere qualcosa ma tanto... il frigo è vuoto come la Siberia.

Mi sono sognato di una strega dai lunghi capelli rossi che mi avvolgevano come i tentacoli di una piovra, mentre dalle iridi d'oro usciva un raggio laser che mi trafiggeva il cuore. Non pensavo che l'incontro con la mia vicina mi sconvolgesse così tanto, ma a pensarci bene, da come si è comportata ieri sera, tutte le rotelle a posto non ce le ha.

Sono le undici e sono nel mio studio, -ricavato nella seconda camera- che sto mettendo nero su bianco delle nuove ricette importanti che avevo sperimentato la settimana prima ai fornelli. Anche se mi sono preso alcuni giorni di riposo per fare il trasloco, ho preferito non lasciare questo compito ai miei ragazzi: è troppo importante e delicato. Gli abbinamenti di ingredienti e sapori sono essenziali come per un creatore di profumi. Il gusto, il palato, il profumo e l'occhio sono un insieme di componenti che devono trovare nel piatto il giusto equilibrio e appagamento, quasi una sensazione sessuale. Sono chino sullo schermo del mio portatile quando un rumore assordante arriva dal piano di sopra.

«Ma che cazzo...» Alzo gli occhi verso il soffitto neanche fossi dotato di una vista ai raggi X. «Cosa diavolo sta combinando quella pazza». Esco in giardino e guardo verso il piano superiore. Tutte le finestre sono spalancate e un forte sibilo si espande dappertutto.

«Ehi, lassù!» comincio a gridare, «Ehi, mi senti?? Brutta strega rossa! La vuoi smettere?» Forse ho gridato più forte del rumore o forse perché, per fatalità, alla seconda frase il fischio era cessato, fatto sta che si affaccia al poggiolo la famigerata rossa, in un pigiama coperto di fragoline e un foulard sulla fronte legato dietro la nuca.

«Scusa? Strega a chi!? Parlavi di tua madre?» Cavoli se è incazzata, e non posso neanche dirle che comunque ci è andata vicino. Comunque io devo lavorare e non può fare tutto 'sto casino di domenica mattina.

«Scusa per il termine inappropriato "veramente non proprio" ma stavo lavorando e tu ti sei messa a fare tutto quel casino. Sono le undici di mattina, santiddio!» sbotto alzando le braccia al cielo.

«Appunto! Le undici di mattina, non le otto! E se non te ne sei accorto, è domenica. Tu non dovresti lavorare, mentre invece io faccio le pulizie di casa, visto che è il mio giorno libero. Quindi vai a farti un giro e torna più tardi», fa per rientrare ma la blocco.

«Ehi, tu! Non potresti essere più civile?» Torna a girarsi e quello sguardo mi ricorda tanto il mio incubo.

«Intanto Tu lo dici a tua sorella. In quanto a civiltà sei tu che lasci molto a desiderare. E adesso lasciami in pace». Entra in casa e riaccende quel maledetto aspirapolvere.

ARISA

"Ma guarda te se doveva venirmi ad abitare sotto un buzzurro del genere. Ma che vada a farsi fottere". Riaccendo l'aspirapolvere e riprendo dalla sala. Però, ripensandoci, 'sto affare ha i suoi anni e fa veramente un bel casino. Devo dirlo al proprietario. E adesso chi diavolo è che suona. Non può essere il postino di domenica. Alzo il citofono.

«Si? Chi è?»

«Sarei il Tu. Puoi aprirmi... per favore? Dobbiamo parlare».

"Cavoli! E adesso che vuole? Non vorrà mica piantarmi una grana perché pulisco la casa no?" A malincuore gli apro il cancello, d'altronde sono un essere civile, io. Apro la porta e lo attendo alla sommità della scala: in casa mia non entra di certo. Sale due gradini alla volta e quando è in cima rallenta preoccupato. Forse perché ho le braccia conserte strette al seno e la bocca storta.

LUI SOTTO, LEI SOPRADove le storie prendono vita. Scoprilo ora