CAP 19 - UN CAFFÈ

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LUCA

«Dai vieni, prendi il bicchiere e sediamoci sul divano». Ormai i piatti sono vuoti e ho notato con rinnovato stupore che Arisa è una buona forchetta. Ricordo che Kathrina si concedeva solo gambe di sedano, carote e semi di vario genere. Per non parlare dei liquidi: acqua, rigorosamente natural water. A parte quando era in qualche locale e solo allora si concedeva qualche cocktail. Come facesse a stare in piedi non lo so. Per questo non preparavo mai da mangiare a casa, non c'era gusto.

Osservo invece la mia vicina di casa e mi immagino a far saltare padelle di frittate e mescolare soffritti speziati... ma che cazzo vado a pensare? Devo essere rincoglionito.

«Allora? Parlami di questa Kathrina. Come vi siete conosciuti?» Sorseggio un goccio di Bonarda e osservo la mia ospite da sopra il bordo del bicchiere. Arisa sta cercando di mettermi a mio agio, lo capisco, e la apprezzo per questo.

«Ci siamo conosciuti circa sei mesi fa, erano i primi di febbraio. Io all'epoca lavoravo come capo chef in un rinomato ristorante milanese a due passi dal quartiere della moda. Il locale era molto frequentato da modelle, attori e imprenditori. Insomma, tutta gente di un certo spessore.

Una sera sono stato chiamato in sala perché un cliente si lamentava che il filetto non era proprio al sangue e io, che non sbaglio mai... e non fare quella faccia che è vero, già mi ero irritato.» Arisa fa un sorriso di scherno nascondendosi dietro il calice.

«Ed era vero?»

«Ma neanche per idea!! Sono andato al tavolo e questo tizio, sui 55, era seduto al tavolo con una bellezza bionda e stratosferica sui 28. Ti giuro che per un momento mi sono bloccato come un rincoglionito. Ma quando il tizio mi ha tirato per la manica lamentandosi del mio filetto alla Wellington, a momenti lo strozzo. Ho preso il piatto e l'ho trovato perfetto, ma quel deficiente sbraitava. Dallo sguardo preoccupato della modella, ho capito che era tutta scena per darsi importanza e farsi vedere meno coglione di quello che era, puntando sicuramente a un dopocena con carne meno al sangue. Lei mi implorava con lo sguardo di lasciar perdere.» Adesso Arisa si è fatta attenta.

«E tu che hai fatto?» chiede curiosa.

«Ho preso il piatto con un leggero inchino. Sono tornato in cucina, ho preso un filetto crudo e, una volta tornato in sala, gliel'ho sbattuto sulla tavola facendogli schizzare delle gocce di sangue sul suo completo bianco immacolato.»

«Caspita! Come avrei voluta esserci. Com'è finita?»

«Il cliente se n'è andato sbraitando e io sono stato licenziato.»

«Porco cazzo! Ops, scusa. Mi è scappato. Comunque hai fatto un gesto sconsiderato e ti sei giocato il posto per due occhi ammaliatori e un coglione patentato? Pensa se devo fare anch'io così con alcuni dei miei pazienti quando li ho sotto i ferri...»

«In verità non mi è andata proprio male. Era da un po' che valutavo l'idea di rilevare il locale di mio zio qui a Thiene. Diciamo che quel licenziamento è stato l'avvio della mia avventura. Il giorno dopo sono tornato a prendere i miei coltelli e ho salutato i miei colleghi.»

«Perché il giorno dopo? Non lo potevi fare subito?»

«No. La bellezza mozzafiato era rimasta a piedi e senza cavaliere e mi ha chiesto se la potevo accompagnare a casa. Chi mai avrebbe detto di no?»

«E così te la sei fatta.» Non è una domanda. Tira le ovvie conclusioni storcendo le labbra e mordendosi il labbro. Dio santo, se sapesse quanto quel gesto mi fa impazzire.

«Magari!! Almeno avrei capito per tempo in che guaio mi andavo cacciando.»

«In che senso, scusa?» adesso è sorpresa, chissà cosa si aspettava.

LUI SOTTO, LEI SOPRADove le storie prendono vita. Scoprilo ora