La punta dell'iceberg

274 12 2
                                    

•° Nathalie°•

Cammino per i corridoi spenti, nell'atrio immerso nel silenzio, passo per le camere scure e anche oggi ho perso un pò più di colore.
Inizio a dimenticare il colore della mia vita, o forse non ho mai capito davvero quale fosse.
Nella mia testa si ripete una melodia veloce, quasi malinconica, che mi riporta alla mente tanti ricordi, tanti pensieri.
È solo la punta dell'iceberg.
Ho il disperato bisogno di avvicinarmi al portone e afferrare la maniglia per guardare cosa c'è fuori da questa vita...
In realtà quà dentro, senza Emilie è come se fosse tutto abbandonato e non voglio affondare in questo vecchio maniero.
E quindi ho l'impulso di uscire fuori e ricominciare a respirare.
Come ieri notte, ho preso il Miraculous e sono fuggita.
Il freddo pungente sulle dita che mi trattiene, la voglia di sparire per un pò di tempo.
La guardia del corpo e Adrien sono in ritardo...
Vado da sola a sbrigare queste consegne, non ci metterò molto.
Afferro i documenti cartacei, sfioro la maniglia e con timore apro la porta che cigola in questo silenzio di tomba... mi fa sentire come una criminale che sta fuggendo in preda al panico: nemmeno sono così lontana da quella realtà.
In fin dei conti è quello che sono diventata: una criminale.
Parigi mi da la caccia.
Mi sono quasi fatta uccidere pur di rendere felici gli altri.
I miei sentimenti non sono ricambiati:
ogni volta è come sentire la lama di un pugnale che affonda sempre più in profondità, frantumando lentamente quella pietra che ho al posto del cuore.
Si suppone che abbia al posto del cuore.
Devo ignorare tutto. Non voglio più ignorare niente se non il sentimento stesso.
Non posso permettermi di amare. Non quando sto facendo tutto questo, non so più come si fa.
Non posso sbagliare. Non posso permettermelo: è l'unica soddisfazione che ho.
Sto disonorando ciò per cui mi sono battuta una vita. Non m'importa più ma a tratti il rimorso torna.
Quello che faccio dovrebbe essere fine alla mia felicità: non lo è.
Guardo a terra mentre delle goccioline bagnano il pavimento.
La loro estrema lentezza, il modo in cui rompono il silenzio così soavemente:
piove.
Mi stringo alla mia misera giacchetta e continuo a camminare:
un vicolo vuoto, vecchiotto;
una vetrina scura e un negozio abbandonato.
Mi affaccio alla vetrina e quel pianoforte che tante volte avevo desiderato toccare è lì.
Poggio una mano su quella vetrina, mentre le gocce bagnano un poco la superficie di vetro mostrandomi di più...
E chiudo gli occhi.
Un tintinnio lento.
I passi della gente.
Il peso dei libri tra le mani.
Il freddo pungente.
L'inconfondibile profumo e calore della cioccolata calda.
E le tremule note provenienti da quel pianoforte.
Il proprietario col panciotto e l'orologio da taschino che rideva col nipote mentre lo studente gli suonava qualche allegra melodia è come se fossero davanti a me di nuovo.
Solo l'ennesima di tante delusioni.
Due occhi verdi e una mano sulla spalla...
Due occhi verdi e una mano sulla spalla con un sorriso grande come il mondo.
Una ragazzina come me che mi ha dato e tolto tutto in un attimo.
La nostra vita è stata un oscillare tra tutto e niente in un attimo.
Chiudo il pugno su quella vetrina e apro gli occhi stanchi, ormai non importa.
Nessuna lacrima: mai più.
Nessuna pietà: mai più.
Serro i denti al solo pensiero che non ho potuto fare niente quel giorno.
Chi dovevo incolpare?
Avevo bisogno di un colpevole, non potevo solo sollevare le spalle e ripetermi "Ce la vie ma Chère..."
Forse dovevo tenerla sveglia, forse Gabriel avrebbe dovuto guardarmi in faccia e parlarmi prima che fosse teoppo tardi.
E invece le emozioni mi hanno fatta a pezzi, mi hanno portato via la lucidità della quale avevo più bisogno.
Non ho visto più nulla per il panico: mi sono risvegliata nel mio appartamento come se non fosse successo niente di tutto ciò.
Perché?
Perché non l'ho salvata?
Potevo farlo... ho passato anni a prepararmi per questo, forse la realtà era definitivamente più complessa dell'aspettativa per me: forse non ero forte abbastanza.
Ma ora sono pronta? So gestire l'emotività?
Mi so distaccare? Potrei non saperlo mai.
Potrei non essere mai del tutto consapevole di quello che posso fare.
Ma continuo a rimuginarci...
Aveva una vita da vivere:
un figlio, un marito.
Aveva ancora molto da fare.
Aveva dei sogni.
La risata, il sorriso, gli occhi giocondi che cambiavano colore a seconda del tempo o dell'umore; le smorfie, tutto quello che abbiamo vissuto insieme... tutte quelle volte che cadevo e la scacciavo dai miei errori, dalle mie delusioni, ma lei continuava a tendermi la mano senza chiedere nulla in cambio.
Mi manca.
Mi manca moltissimo.
Adesso il minimo è cercare di restituirle il favore.
No?
Mi stringo contro il muro del vicolo, dirimpetto alla vetrina e mi accascio lentamente.
Mi inginocchio sul pavimento e chiudo i pugni sulle cosce.
Da quì vedo il punto esatto dove ci siamo incontrate e piango in silenzio mentre si accendono delle luci al neon opache e sporche lampeggiando con lentezza: le prime luci della sera.
Sono sola perché ormai sono abituata a chiudere le porte del mio cuore così non posso ferire nessuno e nessuno può ferire me.
Ho capito che la strada costruita da soli è la sola via del successo: obbiettivo su obbiettivo.
Ero molto diversa un tempo.
Non m'importava, se avevo un'emozione la manifestavo senza paura di essere giudicata.
E adesso che posso scoprire cosa voglio davvero ho paura a lasciarmi andare e mi chiedo quale sia il vero punto d'arrivo, cosa ne sarà di me, di noi.

〖Shallow𝄞〗 𝑮𝒂𝒃𝒆𝒏𝒂𝒕𝒉 Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora