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Jimin si fermò a dormire in casa di Jungkook quella notte. Infatti, i due si trovavano già sotto le coperte a guardare un noioso programma in tv.

«Jungkook...» richiamò il più piccolo e il menzionato si voltò totalmente verso di lui.

Ogni volta che udiva il suo nome dalla bocca di quel ragazzo, scattava. Il suo cuore e le suo orecchie scattavano solo per ascoltare quel timbro così dolce di voce.

«Uh?»

«Non voglio più tornare a casa»

«Non credo sia possibile, Jimin. Ti metteresti solo nei guai» disse, accarezzandogli la guancia.

«Mi fanno così schifo... Mio padre, mio nonno sono esseri ripugnanti. Non credo di essere più in grado di guardali in faccia»

«Ti capisco ma è complicato»

«Mi troverò un lavoro per pagarmi le lezioni e per trovarmi un appartamento qui vicino, non mi importa ma devo andare assolutamente via da quel luogo. Non sto bene in quella fottuta gabbia! Se sto affrontando questo periodo di infelicità e tristezza è solo a causa loro»

E quello che diceva era vero.
Era stato abituato, sin da bambino, al fatto che la felicità e i giorni di sole non esistessero nella vita di ogni essere umano. I suoi genitori litigavano spesso e urlavano per giunta, non lo trattavano con amore, non lo abbracciavano, non lo portavano al parco a giocare a palla con gli altri bambini che per lui erano soltanto "strani".

Perché quei bambini ridevano come pazzi con una semplice palla tra le mani? Perché quelle mamme e quei papà osservavano i loro bambini con un sorriso di emozione ed orgoglio?

Jimin molto volte si era chiesto perché i suoi genitori non sorridessero mai ma l'unica risposta che riusciva a ricavare da quei dubbi era "è normale, si è normale che non sorridano mai" perché per lui la normalità erano le urla, le discussioni, gli ordini e il silenzio.

Nessuno parlava durante l'ora di cena o di pranzo. Nessuno osava dire qualcosa in quei momenti perchè il signor Park doveva ascoltare le notizie odierne sulla situazione del suo paese e non le problematiche che il suo proprio figlio stava sviluppando dentro di sé.

Stava crescendo arido, privo di ogni emozione, senza un briciolo di amore ma fortunatamente la sua passione per la danza alleviò la sua morale.

Divenne un grande osservatore e ribelle.
Era come il mito della caverna descritto dal filosofo Platone, in cui si vedevano alcuni uomini che vivevano all'interno di una caverna totalmente al buio e pensavano che quest'ultimo fosse la vera realtà delle cose ma quando uno di loro si alzò ed uscì da quel luogo, vedendo così la luce del sole e ciò che lo circondava, capì che la realtà era ben diversa da quella che pensava che fosse.

Jimin vide che la felicità e i giorni di sole esistevano realmente e che non tutto era nero e freddo come l'inverno.

La danza lo aveva educato al posto dei suoi genitori. Aveva imparato il rispetto, lo stare insieme ad altri bambini e, quindi, il gioco di squadra, la lealtà, la forza di rialzarsi dopo un errore fatto o un colpo e tanti altri valori. Era eternamente grato a quella disciplina e alle sue meravigliose insegnanti che, sapendo la sua situazione, lo aiutarono in tutto e per tutto, incitandolo a non arrendersi e a lottare per il proprio obbiettivo.

Ma, purtroppo, la famiglia non si sceglie. È un legame intrinseco di sangue e di sentimenti da cui è difficile sciogliersi o allontanarsi.

Jimin avrebbe voluto seguire il sogno e ribellarsi all'ordine di scegliere la scuola di economia, fattogli da sua padre, ma decise di rinunciare perché quell'uomo gli avrebbe tolto tutto ciò che possedeva, fino a quel momento, non aveva l'appoggio di nessuno e sarebbe finito sicuramente in mezzo ad una strada, e anche perché sperava, in cuor suo, in un cambiamento o in un misero miglioramento ma nulla di tutto ciò era avvenuto. Aveva perso le speranze.

Adesso, però, aveva Jungkook al suo fianco, che lo sosteneva sotto ogni circostanza e soprattutto che gli voleva un gran bene, e sentiva di potercela fare, di poter abbandonare quel nucleo familiare così avido e triste e costruire finalmente la sua vita, la sua e di nessun altro.

«Non vuoi scoprire i segreti della tua famiglia?» domandò il corvino cercando di fargli cambiare idea.

«A casa mia non c'è un cazzo, ne sono sicuro. La tana del lupo è casa di mio nonno» disse tra un sospiro e l'altro «Non posso più vivere così. Devo dare una svolta alla mia vita per il mio bene. Andrò via, ho già deciso»

«E dove vorresti andare?» chiese Jungkook mentre sfoggiava un sorrisino di quelli suoi abbaglianti.

«Il posto non mi manca. Potrei andare da mio zio, anche se neanche di lui mi fido più, da Hoseok o...»

«O?»

«Beh, visto che non andrò più in quella fottuta scuola... Io e te non saremo più un professore ed un alunno quindi... Non credo ci sia nulla di male se tu... Volessi ospitarmi qui come un amico che ha perduto la sua casetta e non sa dove andare...»

Le parole di quel biondino sapevano come incantarlo, come conquistarlo nel migliore dei modi. Adorava quei suoi tratti caratteriali così diversi ma che insieme incastravano alla perfezione. Dolce, timido, intelligente ma allo stesso tempo anche spavaldo e determinato.

«E chi ti dice che io voglia?»

«I tuoi occhi parlano da soli ed io possiedo la capacità di ascoltarli, Kookoo» Jimin strinse la trapunta fra le sue mani, sollevandola per coprirsi maggiormente sotto l'amorevole sguardo dell'altro che lo scrutava sorridente.

«E cosa dicono?» prima di rispondere, il minore lo baciò sulle labbra cogliendolo di sorpresa.

«Dicono che mi vuoi qui con te ad ogni ora del giorno e della notte, Kookoo»

𝑯𝒂𝒕𝒆 𝒀𝒐𝒖 | 국민 Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora