«Ce la farò, io non sono come te»
Jungkook si lasciò trascinare dalla mano di Jimin ma la sua mente, in quel frattempo, si trovava da un'altra parte, in una battaglia tra il dispiacere, lo sconforto e la rabbia per quelle parole e per quel gesto.
Entrambi fecero ingresso in camera del biondo e quest'ultimo chiuse la porta a chiave dietro di sé, finendo poi per abbracciare l'altro con forza.
«Jimin stai tranquillo adesso... È passato» mormorò delicatamente fra i suoi capelli dorati.
«Sono arrabbiato e anche tanto. Non meritavi di essere trattato in quel modo così brusco. Scusami davvero»
«Non è nulla e soprattutto non scusarti se la colpa non è tua. Prima o poi sapevamo che sarebbe successa una cosa del genere. Hai dormito spesso fuori casa e hai fatto alcune assenze a scuola, sapevamo che avrebbe iniziato a sospettare»
«Già ma quello che mi importa realmente è come ti senti adesso... Preparo le mie cose e andiamo immediatamente via da quest'inferno» annunciò il minore sfiorandogli la guancia colpita e cominciando poi a riempire una valigia e un altro borsone.
«Dovresti pensare a te e non a me, Jiminie. Il pensiero che tu abbia dovuto sopportare le angherie di quell'uomo per tutto questo tempo, mi fa davvero imbestialire... Credo sia la decisione giusta, quella di andarsene da ciò che fa male nella propria vita. Io ti appoggio, sappilo. E soprattutto, non sei un peso per il sottoscritto! Se vuoi vivere con me, sarei molto felice di accoglierti in casa mia»
Jimin si morse il labbro mentre sorrideva e nonostante si trovassero in quella casa con quella situazione, non resistì alla tentazione di dargli un dolce bacio.
Successivamente qualcuno bussò alla porta, il minore semplicemente decise di ignorare quel suono ma Jungkook gli fece cenno di vedere chi fosse. L'altro sbuffò e andò ad aprire trovandosi faccia a faccia con la donna che lo aveva partorito, sua madre.
Se Ri lo fissava con uno sguardo lucido e arrossato come se avesse pianto poco prima di recarsi a vedere suo figlio e di fatti, era successo proprio quello.
Il signor Park non appena vide uscire Jimin e Jungkook dal suo studio, notò che anche sua moglie era lì, forse aveva origliato o era solo di passaggio, e così colse l'occasione per sfogare tutta la sua rabbia sulla donna ricordandole, come ogni volta, quanto fosse inutile e quanto la disprezzasse sotto ogni aspetto.
Ricordandole ferocemente come quel matrimonio fosse soltanto una grande farsa, un fottuto accordo tra i loro genitori, quando erano giovani, per unire le aziende e fare quanto più soldi possibili.
La signora Park, come Jimin, possedeva ancora la speranza che quell'uomo così acerbo un giorno sarebbe potuto cambiare ma con un'unica differenza, che il biondo le aveva perse tanto tempo prima, mentre lei era, tuttavia, attaccata a quella sorta di utopia, un qualcosa di ideale ma irrealizzabile.
Le persone non cambiano, migliorano ma solo se in loro esiste la buona volontà e il signor Park sembrava proprio non possederne.
«Che c'è?» chiese con frivolezza.
Jimin non provava pena né tantomeno compassione per quella persona che diceva di amarlo a parole ma i fatti dimostravano sempre tutt'altro. La riteneva una bugiarda, una grande bugiarda che era riuscita soltanto a ferirlo.
Ricordò la volta in cui suo padre lo obbligò a mangiare il sannakji, un piatto tipico coreano che prevedeva pezzetti di polpo serviti crudi, e quindi ancora vivi, con sesamo come contorno. Odiava quella pietanza, il solo odore e la vista di quei tentacoli muoversi, lo nauseavano enormemente.
Quel giorno, la donna si limitò a guardarlo silenziosamente mentre era costretto a cibarsi di quella stranezza e si mantenne in quello stesso stato anche quando vide Jimin correre in bagno per vomitare.
Non provava compassione.
Punto.«Che vuoi?» ripeté dopo non aver ottenuto alcuna risposta alla sua prima domanda.
«T-Tieni» balbettò l'adulta cercando di evitare l'ennesimo pianto.
Prese la sua mano, facendo aprire il palmo verso l'alto, e in esso collocò una carta che il minore riconobbe. Era la sua vecchia carta di credito che il signor Park gli tolse in seguito alle sue insistenti ribellioni.
«Non accetterò questa carta» affermò seccamente, riprendendo con la sistemazione della valigia.
«P-Per favore, Jiminie... Ho messo qualche soldo affinché tu non rimanga senza nulla. Accettala, ti prego»
«No, non voglio più niente che provenga da voi. Vai via adesso»
«T-Ti prego...»
«Cos'è che non capisci? Ho detto no, basta! Vattene via!»
Jungkook decise di intervenire. Bloccò i movimenti del biondo, cingendogli fermamente un polso, e fissò i suoi occhi che studiò per un paio di secondi prima di parlare.
Nonostante volesse apparire forte e pieno d'orgoglio, quasi come una pietra inscalfibile e tagliente, dentro stava soffrendo maledettamente. Era ferito, arrabbiato e triste.
Il fatto che avesse abbassato lo sguardo e che gli angoli delle sue labbra si fossero tirati giù, anche se per un brevissimo tempo, fecero capire al più grande la sua tristezza. Ormai lo conosceva e sapeva leggere i suoi stati d'animo.
«Ehi, tesoro...» sussurrò il corvino con una voce dolciastra che fece scattare l'altro «So che è molto difficile per te ma dovresti accettarli. I casi della vita non si possono mai sapere, lo sai»
«Non voglio, Jungkook. Non voglio nulla. Ce la farò da solo»
Il menzionato spostò una ciocca bionda dietro il suo orecchio e poi sfiorò il suo zigomo con le dita.
«So come ti senti, ormai ti conosco, ma devi accettarli e non per loro ma per te. Ti ripeto, non si sa mai cosa potrebbe succedere fra un'ora o domani o dopodomani»
Il biondo, dopo altri tentennamenti, impugnò la carta e la conservò, poi chiuse finalmente le sue borse, una la tenne lui e l'altra se la prese l'insegnante.
Infine i due, senza guardarsi indietro, scesero le scale e uscirono da quella casa ma una volta fatto questo, Jimin sembrò avere un crollo fisico e mentale che lo portò ad accasciarsi sull'asfalto privo di sensi.
Buona pasquetta ❤️
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𝑯𝒂𝒕𝒆 𝒀𝒐𝒖 | 국민
FanfictionDove Jimin è il solito ragazzo cattivo della scuola e Jungkook è il suo professore d'inglese ed economia; ᴋᴏᴏᴋᴍɪɴ //ᴊɪᴋᴏᴏᴋ ᴏᴍᴏsᴇssᴜᴀʟᴇ sʜɪᴘ sᴇᴄᴏɴᴅᴀʀɪᴇ: sᴏᴘᴇ, ᴛᴀᴇᴊᴏᴏɴ